venerdì 30 gennaio 2009

Sedere e stivali

Ci fu un tempo in cui il bello e il buono erano strettamente legati fra loro. Poi Lucifero, l'angelo più bello del Paradiso, si ribellò e fu buttato fuori da ciò che era buono, come uno Zidane qualsiasi. Da quel momento non ci sono più state certezze; in compenso l'uomo ha acquisito il diritto di giudicare bella anche una cosa che fa a pugni con i principi morali. Meditavo su questa contraddizione osservando una fotografia di Tom Cruise in divisa nazista: lui è un bell'uomo, ma bisogna ammettere che la giubba di Von Stauffenberg aumenta di molto la sua venustà. Quella tenuta così calzante è stata una calamita irresistibile anche per molti altri attori di sicura fede democratica: cito al volo Richard Burton e Clint Eastwood. Persino Curd Jurgens, superstite dei campi di concentramento nazisti, nei suoi ruoli cinematografici sembrava nato con l'odiata divisa indosso, era un vero commilitone di quell'ufficiale hitleriano che Sven Hassel definiva beffardamente "sedere e stivali". Per fortuna, a dispetto di Lucifero, il fastidioso dissidio tra morale ed estetica non è perenne: a rimettere i valori a posto può provvedere un'uniforme ancora più bella, quella tutta bianca della marina Usa, magari indossata da Steven Seagall.

sabato 24 gennaio 2009

Lupara accademica

E' scomparso recentemente, novantunenne, il professor Vincenzo Longo, per molti lustri amatissimo docente di latino e greco al liceo classico "Colombo" di Genova. Fino all'ultimo aveva dedicato le sue giornate allo studio degli autori classici, cercando di far nuova luce sul mondo antico. Persona dal tratto signorile, ottimo e fluente oratore, il professor Longo aveva tutte le qualità per farsi largo nel mondo della cultura; eppure, circa quarant'anni fa, toccò proprio a lui subire le ferite di un'incredibile "lupara accademica". Si era liberato un incarico universitario per l'insegnamento di una delle discipline in cui si articola lo studio del latino. Forte del suo curriculum, il professor Longo presentò domanda per ricoprire quel ruolo . L'incarico (con il relativo raddoppio di stipendio) era però appetito da un cattedratico, che avrebbe potuto ottenerlo solamente se il bando per un docente esterno all'università fosse andato deserto o avesse registrato concorrenti non idonei. Questa seconda ipotesi era abbastanza improbabile: venivano infatti ammessi a concorsi di quel tipo anche i semplici "cultori della materia". Ebbene, la commissione accademica si riunì e dichiarò ufficialmente che il professor Longo, unico concorrente, non risultava essere almeno un "cultore della materia"; pertanto l'incarico spettava al cattedratico. Longo ci rise sopra, amaramente, e andò a insegnare, per molti anni, in altre università che lo avevano chiamato. Ora è in cattedra nell'aldilà degli Antichi.

lunedì 19 gennaio 2009

Didascalie in agguato

Sul "Corriere della Sera" di oggi 19 gennaio è comparsa, a pagina 17, questa imbarazzante didascalia di un foto: "Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ieri sera a "Che tempo che fa" su Raitre con Fabio Fazio (a sinistra) e Luciana Littizzetto (a destra)". Immagino che giornata avrà passato oggi al giornale l'autore (o l'autrice?) di un simile capolavoro; una soave collega avrà chiesto ad alta voce, alla mensa aziendale: "Preferisci questa arancia, a sinistra, o questa mela, a destra?". Anche nei giornali dei miei tempi le didascalie delle foto erano spesso motivo di guai: di solito si facevano all'ultimo momento, quando l'articolo era già in tipografia e il nome della persona raffigurata non era più controllabile. Così i Giovanni diventavano Giuseppe e viceversa. Adesso, con le nuove tecnologie, non si corrono più questi rischi, basta premere un tasto sul computer e il nome si recupera. Rimane il problema dei corto circuiti mentali di chi lavora sempre con un occhio alla lancetta dei minuti. Mi capitò una volta di scrivere al volo una didascalia in cui facevo un dotto riferimento alla lotta "tra Golia e il gigante". Mi salvò un impaginatore, Ercole Bazzurro, ex terzino sinistro del Genoa: mi telefonò dalla tipografia dicendo "Scià me scuse, ma scià l'ha scritu unn-a belinata". Ogni volta che l'incontro, l'abbraccio.

martedì 13 gennaio 2009

L'alpino Will Smith

Da ragazzo mi arrampicavo con gli amici verso la Madonna della Guardia scandendo il passo sulle note del "testamento del capitano", una canzone alpina della prima guerra mondiale. Aveva il ritmo giusto e raccontava la storia di un capitano morente che chiedeva di dividere il suo corpo in cinque pezzi, da inviare alla patria, al battaglione, alla madre, alla fidanzata e anche alle montagne "che lo fioriscano di rose e fior". La canzone mi è ritornata in mente quando ho letto la trama del nuovo film di Muccino "Sette anime": una vicenda drammatica che vede il protagonista, Will Smith, destinare sette parti del suo corpo ad altrettante persone bisognose di un trapianto. Incuriosito dalla parziale coincidenza del tema ho fatto un po' di ricerche e ho scoperto che l'idea del dono del proprio cadavere fatto a pezzi risale addirittura al 1528, quando fu composta la ballata "Il testamento del marchese di Saluzzo". In questo antico canto, raccolto da Costantino Nigra, il moribondo destinava la sua testa alla madre, il cuore alla fidanzata e il resto del corpo, diviso in due parti, al Saluzzese e al Monferrato. A quei tempi era un'idea preromantica con risvolti macabri, ai nostri giorni è divenuta una scelta razionale e soprattutto utile.

mercoledì 7 gennaio 2009

Questione d'incomincio

Nessun vocabolario degno di tal nome registra il sostantivo "incomincio". I cronisti d'antan sanno tuttavia che cosa significhi: era usato nelle redazioni per indicare l'inizio di un articolo, la frasetta introduttiva che doveva indurre il lettore a non abbandonare il colonnino capitato sott'occhio. Certe volte l'incomincio era più attraente del titolo, altre cedeva invece alla frase fatta, all'ovvietà: ad esempio, per una nevicata come quella di oggi, si scriveva, per commuovere le vecchie signore: "E' arrivata la bianca visitatrice". Chi inventò la parola "incomincio"? Pare che sia stato un cronista del Decimonono degli anni Quaranta, afflitto dal complesso della pagina bianca: quando doveva scrivere un articolo passava di collega in collega implorando: "Mi fai l'incomincio?". Ottenuta la frasetta iniziale andava avanti come un treno, perché era un giornalista diligente e bene informato. Una volta si fece coraggio e decise che l'incomincio l'avrebbe scritto lui: la redazione, attonita, seguiva le sue mosse. Infilò un foglio nel rullo della Remington, batté brevemente sui tasti e subito appallottolò la pagina. La scena si ripeté per una decina di volte, poi il cronista si arrese e ritornò all'antica implorazione: "Mi fai l'incomincio?". Qualcuno raccolse le pagine spiegazzate per scoprire cosa mai avesse scritto il collega: per dieci volte aveva ripetuto "Che non mi venga l'uzzolo di...". Provate voi ad andare avanti, se ci riuscite.