venerdì 27 febbraio 2009

La cassaforte

Avevo un amico, si chiamava Carlo Piccaluga ed era un ex mediatore di carboni. M'invitava a casa sua per mostrarmi i suoi acquisti d'arte: comprava piccoli blocchi di quadri e mi chiedeva d'indicargli i pezzi più meritevoli. Fatica inutile, perché, di fatto, teneva tutto. Con un becco a gas e un crogiolo di porcellana creava sul tavolo di cucina piccoli gioielli d'argento che poi regalava. La moglie, la signora Tita, lo adorava. Poi Piccaluga rimase vedovo e, poco dopo, morì. Mi convocò un notaio, perché ero stato nominato esecutore testamentario. Nulla di complicato, i quadri andavano alla Cassa di Risparmio in cambio dell'istituzione di borse di studio, la casa toccava a un ente religioso, il resto a lontani parenti. C'era però un'incognita che angustiava il notaio: si era inventariata una chiave da cassaforte, ma il forziere, in casa, non c'era. Senza la "comare" (come avrebbe detto Capannelle) non si poteva chiudere il verbale. Per fortuna Piccaluga mi aveva confidato il segreto, che comunicai subito al notaio: la cassaforte era stata murata sulla parete esterna dell'edificio, in corrispondenza del balcone: "Voglio vedere - aveva detto il mio amico - chi sarà quel ladro che si metterà a scassinare lo sportello al cospetto dei palazzi circostanti". Andammo ad aprire il forziere: era assolutamente vuoto. Io me l'aspettavo, perché Piccaluga, in realtà, teneva i valori nel ripostiglio, in una scatola da scarpe. Anche lui era seguace del "maniman" caro ai genovesi.

sabato 21 febbraio 2009

Le ombre del Lagaccio

Il litigio del giorno, a Genova, riguarda la costruzione della moschea alle spalle del Lagaccio, il quartiere che ha dato il nome a un notissimo tipo di biscotto, nato da un impasto dolce tagliato a fette spesse, poi passate in forno. Prima di entrare anche nella storia della gastronomia, il nome Lagaccio si riferiva a un vero lago, un invaso per nulla attraente creato al servizio di un proiettificio. Chiuso lo stabilimento, lo specchio d'acqua gli sopravvisse a lungo, poi fu interrato, con grande sollievo degli abitanti della zona che lo consideravano un pericolo per i ragazzi abituati a giocare sulle sue sponde. Purtroppo, in un paio di casi, i timori si erano tragicamente avverati. Ancor prima, nell'aprile-maggio 1945, il lago aveva inghiottito altri corpi, quelli delle vittime di esecuzioni sommarie: la cronaca di quei giorni ne ricorda quattro, una professoressa di matematica con i suoi genitori e un altro docente della stessa materia. Oggi il sito del Lagaccio ospita un impianto sportivo, ma si porta dietro, con il nome, le ombre del suo passato. Che diventi anche un luogo di raccoglimento e preghiera è, tutto sommato, una buona notizia.

lunedì 16 febbraio 2009

Etaoin etaoin

Non possiedo un telefonino, non lo desidero e non amo chi strilla gli affari suoi in quell'aggeggio per strada o sul bus. Mi piace invece il popolo dei messaggini, che non dà fastidio a nessuno. Alla taciturna comunità del Xchè offro in omaggio una nuova sigla: etaoin. Significa "scusa, ho sbagliato, cancella tutto". Non l'ho inventata io, esiste da quando entrò in uso un'altra tastiera per scrivere, quella della linotype. Nelle tipografie dei giornali il linotipista, battendo velocemente sui tasti, componeva con le matrici metalliche e il piombo fuso le righe che formavano un articolo; quando si accorgeva di aver iniziato una riga sbagliando un paio di lettere, preferiva completare a casaccio la riga errata e riprendere il testo giusto dalla riga successiva. Come faceva? Dava due colpi secchi con il taglio della mano in una zona della tastiera e in tal modo finiva la riga con "...etaoin etaoin". Il correttore l'adocchiava al volo sulle bozze e la segnalava all'impaginatore, che la toglieva, sempre che non fosse impegnato in una discussione sulla partita domenicale. Non è una calunnia: se andate in biblioteca a leggere qualche vecchio articolo, vi capiterà d'incontrare, nel bel mezzo del testo, l' etaoin etaoin finito trionfalmente sul giornale.

giovedì 12 febbraio 2009

Dal profondo

Mentre si celebrano le esequie di Eluana Englaro mi chiedo quali preghiere siano state scelte per il doloroso rito. Spero che il sacerdote abbia rinunciato al terribile Dies Irae, allo sconfortante Miserere, al semplice ma forse troppo sbrigativo Requiem e si sia soffermato invece sul De Profundis. Anche questo antichissimo salmo ha un contenuto poco consolatorio, ma le accorate parole iniziali ("Dal profondo ho gridato a Te, o Signore") hanno il potere di evocare l'abisso in cui Eluana è rimasta per diciassette anni. Se da quel baratro sia veramente uscita un'anima è materia di fede. Fermiamoci alla realtà, alla consolazione delle suorine che hanno così a lungo curato la giovane inferma e hanno ricevuto da quel ruvido mangiapreti di Beppino Englaro un ultimo, silenzioso grazie: quello del funerale religioso.

sabato 7 febbraio 2009

Colei che si trascina

E' una triste giornata, con un occhio alla Tv in attesa di notizie dalla clinica La Quiete. Si cerca un perché alla vicenda anche nel vocabolario di greco: forse l'insolito nome della povera protagonista ha un significato nascosto, profetico. Ecco il responso, Eluana significa "colei che si trascina", Englaro vuol dire "nella sorte". La lingua è quella dei cori nelle tragedie greche, il dorico. Forse varrebbe la pena di riaprire le dispense del professor Untersteiner, che ci spiegava come i personaggi di Eschilo si dibattessero in un dilemma senza uscita perché si straziavano a vicenda avendo ragione entrambi: dike contro dike, diceva il professore, giustizia contro giustizia, diritto contro diritto. Sì, Beppino Englaro potrebbe essere un personaggio eschileo, per la sua determinazione, per il suo dolore, per la sua ostinata ricerca di un'ultima pagina della storia. Si contrappone a lui non un antagonista altrettanto tragico, ma un coro di religiosi, di politici, anche di gente qualsiasi: tutti con una loro giustizia da gridare, da sostenere, da imporre. E' davvero dike contro dike. Se ne discuterà per anni, senza risultati.