domenica 29 marzo 2009

Il grande Indro

Il Corriere della Sera ha fatto pace con Indro Montanelli dedicando due pagine ai diari privati del grande giornalista. Sono note piacevolissime, così come lo era lui. Lo conobbi all'inizio del 1972, quando andai a Milano ad assistere al processo per diffamazione intentato dal sindaco di Venezia a causa di una tipica strigliata montanelliana apparsa sul "Corriere", allora diretto da Spadolini. Con l'aula piena zeppa, riuscii a trovare un sedile e un punto d'appoggio per il taccuino a un'estremità del bancone dei giudici. Iniziato l'interrogatorio, mi accorsi che Montanelli, nella sua perorazione difensiva, si rivolgeva anche a me: mi credeva, evidentemente, un magistrato della Corte. Sospesa per un po' l'udienza andai da lui e gli dissi: "Guardi che non sono un giudice, sono un giornalista". Rimase sorpreso, poi ribatté: "E allora, perché mi dai del lei?". C'era da aspettare un'oretta e lui propose: "Passeggiamo un po". Con le sue lunghe gambe mi portò a fare il giro di parecchi degli enormi corridoi del palazzo novecentista. Era curiosissimo di cose genovesi, sapeva quasi tutto sul caso di Milena Sutter ma non si stancava di chiedere nuovi particolari. Ritornato in aula, proclamò con enfasi davanti ai giudici: "Dedicherò il resto della mia vita alla difesa di Venezia!". Poi mi diede un'occhiata di sbieco: forse voleva che lo scrivessi o forse voleva dirmi di non prenderlo troppo sul serio.

Anche tu, Hugo?

E così Hugo Chavez ha fatto rimuovere la statua di Colombo, definendolo invasore e massacratore d'indigeni. Ma è sicuro il presidente venezuelano di non discendere a sua volta da una stirpe di tagliagole? Dall'epoca di Cro Magnon la storia del mondo è stata scritta da popoli che si sono sovrapposti l'uno all'altro, per lo più cruentemente. Ne sappiamo qualcosa noi in Italia, dove gli arrivi senza invito dalle Alpi o dal mare sono stati talmente numerosi da non poter essere elencati con precisione. Nella situazione d'oggi, tra approdi disarmati e accoglienze "buoniste", ci gratifichiamo con il melenso slogan "Anche noi siamo stati emigranti"; dovremmo dire invece, più sinceramente, "Siamo tutti invasori". Il passato testimonia infatti che - data la costante abitudine degli ultimi arrivati di eliminare a fil di spada i precedenti occupanti - ognuno di noi ha una sola probabilità su un milione di derivare da una popolazione autoctona italiana, se mai ce n'è stata una. Chissà con quale piroga o con quale slitta è arrivato, un'arma in pugno, l'uomo dai cui poco magnanimi lombi discendiamo. Così dev'essere stato anche nel continente americano, dove le guerre tra tribù hanno talvolta cancellato civiltà capaci di creare opere d'arte meravigliose. Ma è chiaro che la parola spetta sempre agli ultimi vincitori: così Chavez ha potuto dire quello che ha detto. Peccato che l'abbia detto in spagnolo.

martedì 24 marzo 2009

Amaro ritratto

Centoquaranta dei mille ritratti eseguiti da Andy Warhol nella sua istrionica carriera sono esposti a Parigi in una grande mostra. Forse c'è anche quello di Luigino Accame, che fu presidente del Teatro stabile e della Camera di commercio di Genova. Originario di Pietra Ligure, Accame fu invitato a una festa in onore di Warhol e della sua corte dei miracoli a Boissano, dove la signora Jeanneret (nipote del grande architetto Le Corbusier) aveva restaurato un borgo medioevale, ponendolo a disposizione degli artisti. Warhol si disse colpito dalla fisionomia di Luigino e lo indusse a ordinare un ritratto che costò (amara sorpresa) quaranta milioni dell'epoca, quasi un appartamento. Accame non era fortunato con le arti: dopo essersi svenato per fare il mecenate di una galleria a Genova, aveva deciso di esporre permanentemente a Pietra Ligure , in un alloggio preso in affitto, la sua notevole raccolta di quadri. All'inaugurazione si presentò solamente il cameriere del ristorante frequentato da Luigino. "Forse non ho passato bene la voce" pensò lo sconcertato ospite. Una settimana dopo squillò di nuovo il campanello: era il solito cameriere che chiedeva di poter ripetere la visita. A quel punto Luigino smontò la pinacoteca e, non molto tempo dopo, disperse la raccolta, vendendola con l'aiuto di un corniciaio di Finale. Naturalmente fu criticatissimo dall'apparato artistico che l'aveva munto per decenni.

mercoledì 18 marzo 2009

Alfabeto muto

Volevo insegnare l'alfabeto muto a mio nipote Leo, ma ho scoperto che lo conosce meglio di me. O mi hanno preceduto gli altri nonni o il linguaggio dei segni ha ancora una sua cittadinanza nel mondo infantile, come ai miei lontanissimi tempi. A proposito di segni, seguo spesso il telegiornale del tardo pomeriggio con l'annunciatore affiancato da una signora che traduce le notizie per i sordomuti. Lo faccio anche perché ho un simpatico ricordo dei capannelli gesticolanti che sostavano accanto all'istituto di via Santi Giacomo e Filippo e sembravano comunicarsi sempre cose divertentissime, che rimpiangevo di non poter apprendere. Dunque, ascolto lo speaker Tv e guardo i gesti dell'interprete, per scoprire le possibili corrispondenze tra voce e mani. L'altro giorno l'annunciatore parlava di una persona "portatrice di un lieve handicap psichico"; incuriosito, ho scrutato l'interprete e ho visto che traduceva la complicata definizione appoggiandosi semplicemente l'indice sulla tempia; proprio come facevamo noi da bambini, nella nostra crudele innocenza, per far notare che a qualcuno "girava la pallina". Evidentemente il linguaggio "politicamente corretto" non è ancora riuscito a fare proseliti tra i sordomuti. Non so perché, ma proprio non riesco a rammaricarmene.

venerdì 13 marzo 2009

Mille giorni

L'altro giorno è morto in avanzata età l'impresario edile Mario Valle, che per molti anni, nel bene e nel male, dominò la politica e l'economia tra Arenzano e Cogoleto. E' stato commemorato con il giusto rilievo, ma non è stata sottolineata abbastanza una pagina importante della sua vita, la ricostruzione del teatro Carlo Felice di Genova. Quando Valle vinse l'appalto nessuno si stupì, aveva la giusta potenzialità economica e non incontrava ostacoli politici, neppure a sinistra. Quando garantì che in mille giorni avrebbe rifatto il teatro, chiavi in mano, tutta Genova disse "Campa cavallo!". Quando, al millesimo giorno, Valle consegnò davvero al sindaco l'edificio completo di tutto, gli scettici, invece di applaudire sportivamente, si limitarono a tacere. Si decise l'inaugurazione, contando sulla presenza del Presidente della Repubblica: dopotutto il teatro era rimasto per cinquant'anni allo stato di rudere bellico. All'ultimo momento, però, il Presidente non venne "per precedenti impegni". Che cosa era successo? Si seppe, in via riservata, che erano emersi problemi di protocollo: non sarebbe stato possibile presentare a Cossiga il benemerito "uomo dei mille giorni" in quanto Valle, nel corso della sua attività imprenditoriale, era incappato in un arresto. Così l'unico impresario puntuale in un appalto pubblico dovette rimanere in un'ombra, tutto sommato, immeritata.

lunedì 9 marzo 2009

La mano misteriosa

La pranoterapia è un argomento di conversazione suscettibile di far terminare in rissa una tranquilla serata tra amici. Mia cognata Luisa giura che è un cosa vera come la luce del sole, Cecchi Paone (l'altro giorno in Tv) garantisce che è solo un'illusione. Io non l'ho mai provata e quindi non ho opinioni in proposito, ricordo però un caso di tanti anni fa, quello del signor De Bernardi, proprietario di un grande negozio di strumenti musicali e dischi in via San Luca, dove ora c'è Assolibri. A quei tempi (anni Cinquanta) si andava da De Bernardi così come oggi si fa un giro da Ricordi: nel negozio troneggiavano, richiestissimi, i radiogrammofoni Grundig, Telefunken, Marelli, ognuno con il suo stile; si vendevano migliaia di dischi a 78 e 45 giri e si assisteva a un vero via vai di pianoforti. Insomma, una miniera d'oro. Un giorno il titolare del negozio, cercando di consolare un suo dipendente acciaccato, gli mise affettuosamente una mano su una spalla: il dolore passò immediatamente. Fatte più riprove, De Bernardi si convinse di avere il "fluido", lo prese come un dono soprannaturale e immaginò di essere stato chiamato da Dio a compiere una missione. Chiuse il negozio d'oro e si ritirò a Ruta, dove per molti anni si trovò davanti a casa una fila di ammalati. A tutti impose le mani, a nessuno chiese mai una lira. Spese bene il resto della sua vita regalando speranza. Regalò anche vera terapia?

mercoledì 4 marzo 2009

Ciao Grissom

Il "Corriere" di oggi annuncia che il poliziotto scienziato Gil Grissom, della serie tv CSI, sarà sostituito da un altro detective, più propenso alle indagini vecchio stile. Peccato, gli esperimenti di Grissom e dei suoi collaboratori suscitavano interesse e ispiravano parecchia fiducia nei telespettatori. Si vede che sono tempi così. A Genova si grida allo scandalo perché nel laboratorio di Luciano Cavenago (il Grissom di casa nostra, recentemente scomparso) sono state trovate molte armi e munizioni: evidentemente si ignora che un perito balistico forense ha bisogno di fucili e pistole da comparazione. Conobbi Cavenago tanti anni fa, quando era un giovane pioniere della sua scienza: un personaggio brillante, avrebbe potuto fare l'attore. Mi parlò della non facile vita dei periti giudiziari, legati a incarichi sporadici e mal pagati. Il compenso era una miseria giornaliera, per un massimo di sessanta giorni: "E' per questo - disse - che molte perizie sfruttano tutto il tempo disponibile. Io, in realtà, per confrontare due bossoli impiego un'ora al massimo. Do subito un referto ufficioso, poi per consegnare quello ufficiale aspetto due mesi". Può darsi che da allora le cose siano cambiate, però quotidiamente, per quasi ogni delitto, sento dire o leggo che "il perito ha chiesto sessanta giorni di tempo". Allora penso a Cavenago e alla sua sincerità.