venerdì 29 maggio 2009

Corridoio 24

Va di moda il "corridoio 24" che collegherà su rotaia Genova e Rotterdam, porti essenziali per i traffici tra l'Europa e il resto del mondo. Il corridoio si farà, i protocolli sono firmati, pare addirittura che ci siano anche i soldi. Nessuno si chiede, tuttavia, quale vantaggio potrà derivare da quel collegamento. Mettiamo che l'architetto vi mostri una piantina della vostra nuova casa e vi faccia notare, come idea geniale, un corridoio disegnato per unire direttamente i due bagni. Gli chiedete: "Ma a che serve, in pratica?" e lui vi risponde: "Supponga che nel primo bagno sia finito il dentifricio, percorrendo quel corridoio lei può rimediare facilmente al contrattempo". A quel punto voi pregate il professionista di voltarsi e lo prendete a calci. Nessuno si è invece preso la minima pedata quando ha proposto di collegare Genova e Rotterdam, porti da sempre in concorrenza e animati da un reciproco, sincero odio. Quel corridoio potrà servire al massimo per far giungere in uno dei due scali un container sbarcato per errore nell'altro: un caso dentifricio, appunto. In realtà, ciò che fa gola è la prima stazione intermedia del corridoio: ufficialmente parliamo di Rotterdam e non di Frugarolo o di Valmadonna per non mettere in dubbio il nostro prestigio mondiale e, soprattutto, per incamerare fondi comunitari; ma la vera meta europea di Genova continua a essere il vigneto di Paolo Conte.

domenica 24 maggio 2009

Il malloppo

La storia dei due neozelandesi fuggiti con dieci milioni di dollari versati per sbaglio sul loro conto corrente ha avuto una risonanza mondiale. Commentandola, una giornalista del "Corriere" ha fatto la sua bella figura perché ha rivelato di aver ricevuto un "regalo" analogo dalla sua banca e di aver subito segnalato l'errore. Io farò invece una figuraccia perché ammetto d'aver tifato per un mio compagno di lavoro che, invece, i soldi proprio non li restituì. Accadde in era pre-computer, quando i movimenti si registravano su schede cartacee. L'onesto (almeno fino ad allora) lavoratore, che guadagnava trecentomila lire al mese, si trovò sul risicato conto bancario un versamento di quattordici milioni. Li ritirò immediatamente, ma non fuggì come i neozelandesi, si mise semplicemente in attesa: "Quando me li chiederanno - ragionava - pretenderò una percentuale per il disturbo ricevuto". Accadde invece l'incredibile: nessuno reclamò il malloppo. O meglio, chi aveva perduto i soldi strillò, eccome; la banca, però, non riuscì a scoprire dove fosse finita la somma. E questo - si suppose - perché l'indagine era stata fatta solamente sui conti che avevano una giacenza superiore all'entità del denaro scomparso, saltando la scheda del mio amico che in quel momento era quasi in rosso. Come finì? La ricchissima banca risarcì il danno e il mio amico estinse il mutuo.

martedì 19 maggio 2009

Pediluvio

Tutti (penso) mettiamo da parte, durante l'anno, qualche pagina di giornale che contiene un riferimento alla nostra persona oppure una notizia "da conservare". La pagina finisce in un cassetto e non la guardiamo più per anni, fino a quando non salta fuori durante la "settimana dei buoni propositi" caratterizzata dallo slogan "Adesso butto via tutto". Durante la revisione, le notizie che allora vi sembravano indispensabili non sembrano più tali, ma la pagina rimane ugualmente nel cassetto, perchè in un angolo fino ad allora ignorato avete scovato altre righe che vi hanno riaperto un mondo ormai remoto. Mi è capitato ieri, con una pagina del Decimonono del 3 gennaio 1975: vi ho letto questo incunabolo delle diete per dimagrire che adesso dilagano: "Alle otto un tè senza zucchero, poi un prolungato lavaggio delle mani in un bacile colmo di tè. Verso le dieci un cucchiaino di miele e, un'ora dopo, ancora un bicchiere di tè amaro. Verso mezzogiorno cento grammi di pesce o di carne lessata senza sale e, prima di cena, il solito cucchiaino di miele con un prolungato pediluvio nel tè; poi cento grammi di verdura lessata". Cura riservata agli uomini, assicurata la perdita di dieci chili in quindici giorni. Penso che, per i seguaci della prescrizione, sia insorto il problema di uscire dalla vaschetta del pediluvio: come farcela, con quella debolezza?

giovedì 14 maggio 2009

Le dita

Lo incontro tutte le mattine, quando vado a comprare i giornali. L'interrogo con lo sguardo e lui si sfoga. Sua moglie ha avuto una grave crisi cerebrale, i medici la tengono in coma farmacologico ma non assicurano che quello stato sarà reversibile. Ieri un nuovo racconto: "Sono andato a trovarla come ogni giorno e le ho parlato a lungo, anche se sapevo che era fuori conoscenza. Poi ho appoggiato una mano sul lenzuolo, accanto alla sua. Improvvisamente lei ha mosso le dita e, piano piano, è venuta a cercare le mie. E' uscita dal buio". Quel tocco dall'ignoto potrebbe farmi evocare il mito di Orfeo, di Euridice. Mi accorgo invece di non accontentarmi, per una volta, di parole antiche; neppure il ricordo di Eluana mi assorbe del tutto la mente. Penso piuttosto al mistero della vita del giovane uomo che ho di fronte: ha incontrato la sua donna per caso, dall'altra parte del mondo, a Buenos Aires. Si sono innamorati e lui se l'è portata a Genova. Adesso il male, improvviso, devastante, ha sconvolto la loro vita, ma ha dato anche la riprova di quella scelta reciproca: lei ha sconfitto il coma per cercare le dita di lui. Chiedete a uno scienziato quale sia il segreto di queste unioni così totali: vi parlerà senza dubbio di affinità genetiche, di compatibilità chimiche. Lasciatelo perdere, chiedete a un poeta: vi convincerà che l'amore esiste davvero.

sabato 9 maggio 2009

Il robot

Scusate se mi do delle arie, ma credo d'aver conquistato un posticino nel Guinness dei primati: probabilmente sono stato il primo a fare la "supercàzzola" a un robot. E' successo mentre cercavo di mettermi in contatto con un ufficio comunale di Genova per sapere se erano arrivati i moduli della dichiarazione dei redditi. Fino a un paio d'anni fa sulle "Pagine bianche" venivano elencati i numeri ufficio per ufficio ed era una gran comodità; ora invece c'è un numero unico che fa capo a un supercentralino automatico governato da un robot. Ho fatto la chiamata e una voce registrata mi ha ingiunto: "Dica a quale ufficio vuole essere collegato". L'ho detto. Il robot ha replicato: "Ripeta, per favore". A quel punto mi è scattata la voglia di una zingarata e - memore di Tognazzi - ho sillabato: " Con scappellamento a sinistra". Il robot è rimasto interdetto, poi si è arreso, dicendo quasi a malincuore: "Le passo un operatore del centralino". Sono così entrato in contatto con una telefonista che probabilmente stava facendosi le unghie in attesa che il robot s'impappinasse. Parlando tra umani, ho potuto spiegare alla signorina il mio problema e in un attimo ho ottenuto l'agognato collegamento. Sono esperienze tipiche di una città come Genova, ricca di circa diecimila dipendenti comunali più un robot che non ha mai visto "Amici miei".

lunedì 4 maggio 2009

Tappi granata

Il 4 maggio di sessant'anni fa, alle 17,03, cadde a Superga l'aereo del grande Torino. Era la "mia" squadra, l'unica per la quale abbia tifato in vita mia. Avevo quasi sedici anni, mi ritrovai immerso nello stesso dolore che avevo provato al tempo dei lutti per la guerra. E tra quei lutti c'era la morte di mio padre. Cercai di condividere con altri tifosi granata il senso di vuoto che mi sconvolgeva, andai in pellegrinaggio sul luogo della sciagura e sottoscrissi mille lire per la ricostruzione della squadra, anche se intuivo che il nuovo Toro mi sarebbe stato estraneo. Non mi sentii di portare il distintivo del "Torino simbolo" che la società mi aveva inviato in ringraziamento: per me era veramente tutto finito. Ancor oggi ripenso spesso a quella tragedia e mi torna subito in mente, nitidissimo, un particolare, minimo ma solamente mio. Con i miei amici partecipavo a un campionato di calcio da tavolo, usando tappi da birra riempiti di stucco e decorati con cerchietti di cartone che portavano i colori delle maglie, i numeri e i nomi dei giocatori (era un po' l'antenato del Subbuteo). Io giocavo, naturalmente, con la squadra del Torino. La mattina dopo il disastro aprii la scatola di latta, da sigarette, dove conservavo i miei tappi e staccai a una a una le "maglie" dei calciatori morti. Quello fu il mio funerale del grande Torino, con le lacrime di un sedicenne.

sabato 2 maggio 2009

Ciao, René

Sono stato a Palazzo Ducale a visitare la mostra sulle vittime degli anni di piombo (è aperta fino al 10 maggio). Ho ritrovato volti amici: il magistrato Coco e il commissario Esposito, uccisi, il p.m. Sossi, rapito, il giornalista Vittorio Bruno, gambizzato. Mi sono profondamente emozionato di fronte a una foto di Renato Briano, mio compagno al liceo Colombo, mio collega nell'associazione arbitri di calcio, mio instancabile partner negli allenamenti di atletica in corso Monte Grappa. Dopo il liceo facemmo insieme anche una grande mostra di trenini elettrici, proprio al Ducale: io alla cassa, lui alle manovre su un immenso plastico. René (lo chiamavamo così) era un ragazzo serissimo, metodico, nello studio e nella vita. Si laureò in legge, a Balbi. Lo incontrai l'ultima volta in Galleria Mazzini, mi disse "Vengo da un impiego in Sicilia, ora vado a Milano, sarò capo del personale in una grande azienda. E' l'occasione della vita, non la sbaglierò". I brigatisti lo uccisero il 12 novembre 1980, mentre leggeva il giornale sul metrò milanese, andando al lavoro. Non vide neppure i sicari. Stamani la mostra del Ducale sugli anni di piombo era deserta, anche se a ingresso libero. Nella porta accanto la gente faceva a gomitate per entrare al "memorial" di De André, dopo aver sopportato un'altra lunghissima coda alla biglietteria. Ognuno ha diritto di scegliersi i propri eroi e i propri simboli. Ciao, René.