lunedì 30 novembre 2009

Il precario

E così un garante ha inibito a Calzedonia l'uso dell'inno di Mameli. Applaudendo, un'interpellata da uno dei tanti "Cosa ne pensa?" televisivi ha detto che l'inno non è un collant, ma un collante degli italiani. Ottima battuta, se non fosse che il pezzo forte di Calzedonia sono le autoreggenti. E anche "Fratelli d'Italia" è un autoreggente (senza apostrofo, a scanso di vilipendio) in quanto sta attendendo da sessant'anni di diventare inno ufficiale della Repubblica. E' un eterno provvisorio, un precario, un paziente fidanzato che spera nel "sì" di una ragazza invecchiata. Mi pare il momento di tirar fuori una poesiola dedicata a Mameli da Pompeo Bettini, poeta socialista di fine Ottocento e traduttore del "Manifesto" di Marx. Dice: "O fratello d'Italia/o guerriero innocente/ sognatore di rime/ a vent'anni cadente/ d'una morte sublime:/le trombe di fanfara/ dove alberga il tuo canto/ destano ai dì festivi/per strada un clamor santo/che fa fremere i vivi;/ danno ai giovani il passo/dei padri volontari, /fanciulli tolti al gioco/che con fucili impari/ rispondevano al fuoco./Resta la tua canzone/eco spenta di guerra;/i militi son vecchi,/liberata è la terra,/ gli allori cadon secchi:/ gloria di baionetta/ a che serve, o fratello?/ L'Italia non è forte/ed il suo cielo è bello./ Io non amo la morte". Oggi Bettini sarebbe in imbarazzo.

martedì 24 novembre 2009

Coloriture

Gianfranco Fini ha colto di sorpresa tutti pronunciando una "parola del gatto"; la stessa che rese ancor più popolare Trapattoni quando il simpatico trainer, conducendo in tedesco maccheronico una concitata conferenza stampa, ripeté più volte, con un crescendo quasi wagneriano, il cognome del calciatore del Bayern Thomas Strunz. Non è che Fini mi abbia scandalizzato, la volgarità non costituisce, in assoluto, un disvalore. Può rappresentare addirittura un arricchimento verbale, una simpatica coloritura, a patto di trovarla sulla bocca del volgo (appunto) non su quella di uno come Fini, che, di solito, è piuttosto stilé. L'unica tuta che il presidente della Camera abbia indossato è quella da sub: non era quindi il caso che si sforzasse di trasformarsi in Cipputi. A meno che l'astuto Fini non abbia pensato che, vista la facile fama conquistata da Cambronne con una sola parola, valesse la pena di porsi sulle sue orme per contendere a Berlusconi il "feeling" con la plebe. Anche in questa ipotetica impresa, però, l'ex delfino del raffinatissimo Giorgio Almirante è stato frenato dalla propria estrazione alto borghese: il rude generale napoleonico, infatti, con la sua esclamazione aveva decisamente puntato sulla "sostanza", mentre Fini ha preferito privilegiare la "forma" della sostanza stessa.

mercoledì 18 novembre 2009

Gli Incrociati

A Genova c'è la chiesa dei Diecimila Crocifissi. I turisti che vi si recano pensando di poter ammirare diecimila "Cristi" di legno, restano delusi: il tempio è quasi spoglio e si chiama così perché è dedicato a diecimila soldati fatti crocifiggere dall'imperatore Adriano dopo che si erano rifiutati di sacrificare agli dei. L'episodio, vero o leggendario che sia, è stato riassunto, alla genovese, con un laconico ( o cinico?) sostantivo: gli Incrociati. E il quartiere in cui sorge la chiesa si chiama appunto Borgo Incrociati. E' l'ennesima banalizzazione dell'orrore, quella stessa banalizzazione che consiglierebbe di togliere davvero il Crocifisso dalle scuole: il bambino che lo vede tutti i giorni è lo stesso bambino che, fattosi adulto, scavalcherà con indifferenza, sul marciapiede, il corpo d'un uomo appena assassinato. Forse il Crocifisso in classe aveva un senso quando si diceva una preghiera prima d'iniziare le lezioni. Adesso che non si fa più, sarebbe meglio sostituire la sacra immagine con l''"Uomo di Vitruvio", quello stesso che figura sulle monete italiane da un euro. Per i non credenti sarebbe una raffigurazione assolutamente laica, addirittura scientifica; i cattolici potrebbero invece ritrovare facilmente, in quel disegno leonardesco, le linee del Crocifisso soppresso. E almeno segnarsi, all'antica.

giovedì 12 novembre 2009

Gratta e vinci

Cent'anni fa, Trilussa descriveva così i convenevoli tra due Sovrani: "E la regina?" "Allatta!" "E er principino?" "Succhia!" "E er popolo?" "Se gratta!". Oggi il popolo continua, se non a grattarsi, a grattare. Gratta i biglietti a tempo dei posteggi, i concorsi stampati sui sacchetti delle patatine fritte e, soprattutto, i tagliandi del "Gratta e vinci". Anche le classi abbienti grattano, ma con più moderazione, come si conviene quando ci si misura con i tartufi e il parmigiano reggiano: in questi casi, il termine più usato è "grattatina". Ora c'è una novità: nell'atrio della stazione Brignole è stata installata una grande macchina distributrice di "Gratta e vinci" da tre e cinque euro. E' più frequentata della cugina che emette biglietti ferroviari, ma ha causato un inconveniente agli occupanti di un vicino ufficio, separato dall'atrio da una grande vetrata: quasi tutti gli acquirenti dei "Gratta e vinci" hanno infatti una gran fretta di grattare e qualsiasi superficie rigida per loro va bene; figuriamoci una lastra di vetro a portata di mano. Così, stufi del raspamento, gli impiegati hanno esposto sul divisorio un grande cartello: "Chi gratta su questo vetro perde". Mi sono fermato sul posto una mezz'ora, ma non ho visto utenti del distributore disposti a sfidare la maledizione. Si sono appoggiati altrove. Hanno perso lo stesso.

venerdì 6 novembre 2009

Prima Tv

Distratto dalle celebrazioni di Ognissanti, ho lasciato scivolar via il settantesimo anniversario di un curioso evento, registrato dal Decimonono del primo novembre 1939. Il giornale, quel giorno, era pieno di titoloni sul "cambio della guardia" nel governo e nel partito fascista. L'annuncio più importante riguardava il "siluramento" di Achille Starace e la sua sostituzione con Ettore Muti; ma anche l'ascesa del maresciallo Graziani al vertice dell'Esercito era di grande rilievo. La notizia più ghiotta, ai nostri occhi del Duemila, si poteva però leggere a pagina 3 . Era su una colonna ed aveva questo titolo: "Il Duce assiste a una ricezione televisiva". Diceva il testo, datato Roma 31 ottobre:"Ieri il Duce ha assistito a Villa Torlonia, per la prima volta, ad una ricezione di trasmissione radiovisiva effettuata dalla stazione di televisione dell'E.I.A.R. di Monte Mario. Il Duce ha seguito con un apparecchio radio Marelli l'intero programma, allestito nello studio dell'E.I.A.R., interessandosi dei particolari della trasmissione". Se non avessi letto casualmente quel trafiletto, mai avrei potuto immaginare un incontro così strano e così in contrasto con le dimensioni storiche e culturali alle quali ci riferiamo solitamente. E' stato come uscire a passeggio per la città e incontrare Giulio Cesare in motorino.