martedì 30 marzo 2010

Il figlio

C'è un Sergio più simpatico di me: Sergio Romano, che scrive in modo pacato e attraente sul "Corriere". Rievocando un diplomatico degli anni '40, Giacomo Paulucci di Calboli, mi ha fatto tirar giù dalla libreria un volume del 1920 che ricorda un eroe della stessa famiglia, decorato con medaglia d'oro nella prima guerra mondiale. Questo Di Calboli dal nome dantesco, Fulcieri, era totalmente dedito a due ideali oggi fuori attualità, l'amor di patria e la castità prematrimoniale. Si era laureato in legge a Genova sostenendo la giustezza della tassa sul celibato ("Chi non paga in figli paghi in denaro"). Ufficiale di cavalleria, fidanzato con Alessandra, crocerossina di sangue blu, aveva chiesto il permesso di sposarsi prima di andare al fronte, ma gli era stato negato. Ferito a un ginocchio, ottenne di ritornare in trincea con una gamba rigida; un'altra pallottola gli spezzò la schiena e lo ridusse paralizzato su una carrozzella. Morì poco dopo la fine del conflitto. Durante la permanenza al fronte, aveva conosciuto una giovane contadina messa incinta dal fidanzato, che poi era partito per la guerra. Lei era ben felice di aver quella testimonianza d'amore, soprattutto in caso di non ritorno del suo caro. Una storia serena, che, tuttavia, al nobile Fulcieri era sembrata possibile solo nel ceto popolare. A lui toccò di morire vergine, rimpiangendo il figlio mai avuto.

mercoledì 24 marzo 2010

Le teste

Erano un milione! No, erano cinquantamila! No, centocinquantamila! Quante discussioni sul raduno del PDL a San Giovanni. Sembra impossibile che, in questo 2010 super tecnologico, non sia stato ancora inventato un aggeggio elettronico che conti in un attimo le teste. In attesa del nuovo strumento, basterebbe intanto attaccare una macchina fotografica alla pancia di un elicottero e poi mandare un'istantanea a un istituto di analisi cliniche, pregandolo di far contare dai suoi apparecchi, per una volta, i globuli neri invece di quelli rossi. Non possiamo restare come ai tempi in cui cercavamo d'indovinare il numero dei fagioli secchi nel bottiglione di Raffaella Carrà, ne va dell'onore del Viminale e pure di tutti i ricercatori che affollano i laboratori della Penisola. Anche con una cifra sicura in mano, però, temo che non cesserebbero le polemiche: qualcuno accuserebbe la nuova macchinetta di aver contato pure i poliziotti, i venditori di ombrelli e fazzolettini, i lavavetri e le battone in cerca di clienti. Persino ovvia la replica: e le teste coperte dalle bandiere e dagli striscioni? Quelle la macchinetta non ha potuto contarle! Conclusione, forse sarà meglio mettere dei sensori sul lastricato e contare i piedi, sottraendo quelli piatti e dividendo per due.

giovedì 18 marzo 2010

L'innamorato

Il "Corriere" ha riportato alla ribalta, con un articolo, l'armatore genovese Raffaele Rubattino, che fu al centro di due grandi momenti della vita nazionale, la spedizione del Mille e l'inizio delle avventure africane con l'acquisto della baia di Assab. Non ha parlato invece della vita privata del personaggio, caratterizzata da un amore senza confini nei riguardi di una nobildonna che si chiamava Bianca Rebizzo. Anni fa, nel boschetto del cimitero di Staglieno, fui attratto da una cappella il cui cancello era stato scassinato. Entrai e mi trovai di fronte alla rappresentazione funeraria dell'amore tra Raffaele e Bianca: lei in un sarcofago in alto, sulla parete centrale della cappella, lui in un'altra arca, sul pavimento, a sinistra, come un cagnolino sdraiato ai piedi della padrona. Sulle casse di pietra erano posati due piccoli coperchi di zinco: sollevai quello più a portata di mano e mi trovai faccia a faccia con Rubattino, o meglio, con quello che restava di lui al di là di un vetro. Sembrava che mi fissasse, poi mi resi conto che le sue occhiaie guardavano lassù, verso il sarcofago di Bianca Rebizzo. Fui tentato di non rimettere il coperchio, per non spegnere la visione all'eterno innamorato.

venerdì 12 marzo 2010

Il rosticciere

"Freddo boia" dico, entrando dal rosticciere. "Guardi che a me va benissimo - mi risponde - quando fa freddo la gente mangia di più. Se viene il caldo, si mettono tutti a insalata e mozzarella e io sto qui a girarmi i pollici". "Ma non pensa ai barboni, ai cassaintegrati sui tetti, ai terremotati senza casa?" "Ha ragione, mi scusi". "Lasci perdere. Stia attento piuttosto a non dire queste cose per telefono, altrimenti l'indomani si ritrova sul giornale". La realtà è che c'è anche chi campa sul contrario di quello che noi auspichiamo. Avevo un amico impresario di pompe funebri in un paese, gli chiedevo: "Come va?"."Male, un funerale in una settimana". La volta dopo era soddisfatto: "Due in un giorno". Trilussa, raccontando la storia dell'Arca, dà la parola a Noè: "Avemo da resta' sei settimane/ tutti sott'acqua: e lì, tocca a chi tocca!"/. Ogni bestia tremò. Ma un pescecane/ strillò: "Viva il diluvio!". E aprì la bocca". Adesso non dite che un conto sono i pescecani e un conto gli sciacalli umani. Sbagliato: secondo la vulgata corrente, anche i pescecani possono scegliere come noi; i documentari tv ci mostrano lo squalo bianco che si fa fare ghirighiri dai sommozzatori. C'è poi chi sostiene, addirittura, che non esistono squali cattivi. Mmm...vorrei sapere che cosa si dicono al telefono.

sabato 6 marzo 2010

L'onda

L'onda che ha ucciso due turisti sulla "Louis Majesty" era davvero anomala? O è stato anomalo il modo in cui la nave l'ha affrontata? Sono domande che verranno fuori, prima o poi. Ai tempi dell'analogo incidente alla "Michelangelo" (1966) ne discutemmo parecchio e le conclusioni furono tutt'altro che concordi. Chi disse che l'onda anomala era tale per via della sua altezza straordinaria, chi sostenne che era un maroso qualsiasi, ma fuori tempo rispetto al ritmo delle altre onde. Chi affermò, infine, che qualsiasi grande nave può affrontare indenne un'onda altissima, a meno che non sia colta con la prua in basso o durante una virata secca. Quanto ai movimenti del mare, c' è una vecchia diceria dei marinai, i quali sostengono che dopo nove onde tutte uguali ce n'è una più alta. Lo credeva anche Gabriele d'Annunzio, il quale scrisse che il monumento di Quarto a Garibaldi sembrava "modellato sulla scogliera dal flutto decumano". Qualche volta, seduto sulla spiaggia, ho provato a identificare la decima onda, ma mi sono sempre distratto nel conteggio. Ho solamente concluso che la diceria dei marinai può essere vera: in fondo il dieci in natura esiste, basta che ci guardiamo le mani e i piedi. Per rispettare l'anomalia "decumana" dovremmo però avere un solo pollice e un solo alluce.