martedì 31 agosto 2010

Le colombe

Sul Decimonono, in occasione di un nuovo trasloco dei DS, è stata ricordata la sede storica del PCI genovese, un palazzotto in salita san Leonardo acquistato dal partito nel 1953 e rivenduto pochi anni fa, quando la burocrazia politica "dimagrì". Per anni e anni l'indirizzo era stato sinonimo della dirigenza comunista, i politologi scrivevano: "In salita San Leonardo si dice...". Al momento dell'acquisto dell'edificio è legato un aneddoto che mi raccontò il pittore Aldo Bosco. Il palazzo, distrutto dai bombardamenti, era stato ricostruito dopo la guerra e a Bosco era toccato l'incarico di abbellire le facciate con affreschi. L'artista aveva scelto di rappresentare proprio la ricostruzione post bellica, con muratori al lavoro sulle impalcature e colombe bianche posate accanto ai loro piedi. In quel periodo furoreggiava la "colomba della pace" di Picasso, molto cara ai comunisti; per questo al proprietario dell'edificio, un democristiano di lungo corso, le raffigurazioni di Bosco non andavano giù: "Ma quelle colombe - gli ripeteva - ce le doveva proprio mettere?". Un giorno però disse: "Sa, caro Bosco? In fondo quelle colombe sono belle, ci stanno bene...": aveva appena venduto il palazzo al PCI. Ora il partito se n'è andato, ma le colombe affrescate sono ancora lì, piccola immagine del "come eravamo".

mercoledì 25 agosto 2010

Il telefono

La nazionale di calcio ai Mondiali ha fatto (inutilmente) ricorso alla "stanza del pensiero"per guarire i suoi mali studiando alla moviola i punti deboli degli avversari. Quel tipo di "Think room" faceva parte del mio mondo quotidiano quando il Decimonono era ancora nel palazzo di De Ferrari. Vi lavoravano i redattori più autorevoli del giornale. Il silenzio regnava sovrano, rotto solamente dallo squillo del telefono, che era collocato sulla scrivania di Nelio Ferrando. Il collega polemizzava ogni giorno, facendo notare che il fatto d'aver il telefono a portata di mano non lo retrocedeva a centralinista di tutti i redattori della stanza: era quindi giusto che anche gli altri andassero a rispondere a turno. Io ero riuscito a conquistare una scrivania nella "Think room" facendo una scambio di ruoli con Beppe Borselli, un brillante toscanaccio che aveva fra l'altro il merito di essere stato un pioniere della critica televisiva. Insediato, incassai occhiate di disapprovazione quando mi misi a scrivere a macchina, turbando il silenzioso scorrere delle biro dei colleghi. Cercando di recuperare posizioni, ebbi un colpo di genio: cominciai ad alzarmi sistematicamente per rispondere ad ogni squillo del telefono. Da quel momento fui cooptato nel gruppo: avevo, è vero, portato il rumore nella "stanza del pensiero", ma vi avevo anche realizzato la "pax telefonica".

sabato 21 agosto 2010

Cossiga

Cossiga è ancora tra noi? Quando mi sono messo a scrivere (male) di lui è andata via la luce e il computer ne ha fatte di tutti i colori. Ora ricomincio. Con Cossiga avevo un conto aperto dai tempi del rapimento di Aldo Moro, non so se ora devo considerarlo chiuso. Ero andato, rischiando la pelle, a recuperare il biglietto d'un sedicente brigatista pentito che affermava di essere disposto a rivelare dove fosse il prigioniero. A Cossiga, ministro dell'Interno, bastarono pochi minuti per esaminare il messaggio, dichiararlo inattendibile e ordinare l'interruzione di ogni contatto. Morto Moro, Cossiga si pentì d'aver sposato il partito della fermezza, si dimise e andò a inginocchiarsi al cimitero di Turrita Tiberina. Fin qui meritava il mio rispetto; se lo giocò ritornando alla grande in politica e accettando la candidatura alla Presidenza della Repubblica sostenuta da coloro che l'avevano indotto a non trattare per la vita dello statista democristiano. Di lui mi piacque una sola cosa: quando uscì dal Quirinale sbattendo la porta, fece suonare dalla banda l'antico Inno Sardo, che non sentivo (e cantavo) dai tempi delle scuole elementari: dice "Conservet Deus su Re, salvet su Regnu Sardo..". Iddio conservi il Re e salvi il Regno di Sardegna. Un bello scherzo, messo a segno nel santuario della Repubblica.

domenica 15 agosto 2010

Le voci

Da quando si è affermato il concetto che la Tv sia uno strumento di comunicazione da guardare più che da ascoltare, si pone poca attenzione alla qualità della voce di chi appare sul teleschermo. Non ci sono pronipoti di Paladini, speaker anni Cinquanta, gradevole e chiarissimo (mentre parlava, guardava sempre l'angolo a sinistra in alto del televisore) . Eppure una voce gradevole ha una grande importanza, non solo in Tv; è passata alla storia la frase di Berlusconi a proposito della candidatura di Rosa Russo Jervolino alla Presidenza della Repubblica: "Anche l'orecchio vuole la sua parte". C'è peraltro chi ha avuto successo nonostante l'audio: nessuno avrebbe mai immaginato che Marta Vincenzi, con quella voce da brava bambina, diventasse sindaco di Genova. Per quanto riguarda i miei gusti in fatto di ascolto Tv, ho preso come una iattura la nomina di Bianca Berlinguer a direttore del Tg3: la preferivo a leggere le notizie, con la sua bella tonalità medio bassa. Se poi passo alle pagelle con voti non incoraggianti, devo ricordare il birignao di Rosanna Cancellieri, l'enfasi di Gad Lerner alle prese con una ragguardevole chiostra di denti, la perenne agitazione di Salvatore Bagni, la vuvuzela di La Russa, le tonalità acute di Ilaria D'Amico. Sì, lo so, parlo io che ho la erre moscia. Però non vado in Tv.

giovedì 5 agosto 2010

L'acqua

I gruppi contrari alla privatizzazione dell'acqua potabile hanno raccolto un milione di firme di protesta. Non sanno però che, più di un secolo fa, furono proprio le società private a portare, nelle città in espansione, acqua sufficiente alle necessità. A Genova agivano l'acquedotto De Ferrari Galliera e l'acquedotto Nicolay. Il sistema era quello dello "spandente", oggi ancora in uso nel centro storico: l'acqua saliva, con pressione naturale, fino ai tetti delle case, poi discendeva, riempiendo i serbatoi degli alloggi. Il liquido in eccesso finiva nelle fognature. Si pagava "a grano", cioè in base alla larghezza del foro che collegava il tubo del caseggiato alla condotta principale. Gli acquedotti di Genova erano popolarissimi, nel bene e nel male; ci si inventavano anche delle barzellette: "Pierino, dove sbocca lo Scrivia?" "Nelle cucine di Genova, signor maestro". Una volta il celebre giornalista Gandolin, che si vantava di saper fare qualsiasi rima, fu sfidato da un amico: "Fammi una rima con tramway, ma che ci sia la ipsilon finale!". Detto, fatto, Gandolin scrisse: "E la bella donna Livia se ne andava sul tramway, come l'acqua dello Scrivia dentro a un tubo Nicolay". Il distico ebbe un tale successo che, per anni, i cronisti del Decimonono lo usarono come "incomincio" dei loro articoli dedicati all'acqua e agli acquedotti.