sabato 30 ottobre 2010

Matrimoni

Finalmente si sta facendo qualcosa per impedire i matrimoni a pagamento che permettono di entrare in Italia con tanto di cittadinanza. Un imbroglio messo in atto, particolarmente, dalle donne dell'America Latina. Anni fa mi capitò di essere complice involontario di uno di questi sposalizi con il trucco. Conoscevo un raccoglitore di anticaglie al quale ero grato perché, frugando in un cassonetto della spazzatura, aveva recuperato delle rare fotografie dello scultore Baroni e me le aveva vendute. Quando pubblicai la biografia dell'artista, non dimenticai di ringraziare nelle note il fortunato ritrovatore e gli regalai alcune copie del volume. Un giorno l'uomo mi disse: "Sa, mi sono sposato in Centroamerica". Annusai l'imbroglio e insinuai: "Immagino che la prima notte di nozze l'abbia trascorsa senza moglie, ma con un bel pacco di dollari...". "Proprio così" mi rispose. "Ma - obiettai -le autorità italiane del posto non le hanno fatto delle difficoltà?". "Sicuro, ma io, per dimostrare di essere una persona importante e per bene, ho aperto davanti al console il suo libro su Baroni e gli ho detto "Legga qui, un illustre studioso mi ringrazia...". Il console si è convinto e mi ha dato il nulla osta". "E' bastato quello?"."Beh, avevo anche un vestito nuovo, me l'ha comprato la mia cara sposa". "Mai più vista, eh?". "Già".

sabato 23 ottobre 2010

Mannoni

Una settimana fa è morto Tiziano Mannoni, genovese, uno dei massimi archeologi italiani. Lo conoscevo da oltre mezzo secolo, da quando la sua figura altissima e allampanata si affacciò all'Istituto di Studi Liguri per chiedere di consultare delle riviste. Lui era appena agli inizi di un percorso che lo portò a creare una nuova figura di ricercatore, l'archeologo di formazione scientifica. Fino ad allora l'archeologia era stata un territorio riservato agli umanisti, gente che sapeva di latino e di greco, studiava storia dell'arte antica e, in giacca e cravatta, dirigeva il piccone degli operai sulle antiche vestigia. Con Mannoni cambiò tutto, l'archeologo si mise la tuta e imbracciò la cazzuola, dimenticò "rosa rosae" se mai l'aveva studiata, si affidò al microscopio, alla conta dei cerchi nei tronchi d'albero, all'esame chimico delle calcine, alla classificazione delle forme dei mattoni. Amici da sempre, polemizzavamo sorridendo: lui mi squadernava sotto il naso i risultati ottenuti, io gli dicevo che l'antichità è una bella donna da amare, non da sottoporre ad autopsia. Ha vinto lui perché era in linea con i tempi, che vedono Giulio Cesare in calo rispetto alle storie minime dei popolani del Medioevo. Adesso temo che l'amico Tiziano si troverà a disagio in Paradiso. Lassù è tutto una nuvola, non c'è terra da scavare.

domenica 17 ottobre 2010

Psichiatria

A Silvano d'Orba, paese dove oltre trent'anni fa possedevo una casa da villeggiatura, un giovane uomo ha strangolato la moglie, poi è andato a prendere un caffé e infine si è costituito dicendo "Non so perché l'ho fatto". Guardando sul giornale le foto della strada del delitto, mi è sembrato di riconoscere un doppio cancello dietro al quale abitava, ai miei tempi, uno strano personaggio che la gente schivava se poteva. Reduce da un lunghissimo soggiorno in manicomio ( allora si chiamava ancora così) l'omino in questione era stato rispedito al paese munito di un certificato di sanità mentale da esibire al sindaco. Riammesso "ope legis" a circolare per Silvano, l'eccentrico personaggio trascorreva il suo tempo fermando in strada i compaesani e formulando questa imperativa domanda: "Tu ce l'hai il certificato di sanità mentale?". Alla risposta negativa l'ex alienato replicava trionfante: "Ecco, lo vedi, se non ce l'hai vuol dire che sei pazzo. Sei pericoloso, fatti ricoverare!". Tutta questa messa in scena, che si rinnovava quotidianamente, era stata riassunta dalla saggezza popolare in un soprannome: "il sano di mente". E' del tutto possibile che un giorno anche l'uxoricida di Silvano ritorni al paese esibendo un certificato di sanità mentale. Sempre che la rivoluzione di Basaglia non abbia abolito questo tipo di attestato.

lunedì 11 ottobre 2010

La Julia

Ci sono nomi che ti colpiscono alla bocca dello stomaco e ti riportano a dolori antichi. Così è stato per me quando ho sentito citare in televisione la divisione Julia, il corpo al quale appartenevano i quattro alpini uccisi in Afghanistan. Era della Julia anche Riccardo Pessagno, mio vicino di casa a Chiavari ai tempi della seconda guerra mondiale. Eravamo amici con Riccardo, anche se lui aveva una decina d'anni più di me. Come tutti gli studenti universitari chiamati alle armi aveva ricevuto la nomina a sottotenente di complemento. Lo vidi in divisa, con il cappello da alpino, pochi giorni prima che partisse per la Russia, nel 1942. Mi strizzò l'occhio come al solito, era il suo modo di salutarmi. Non lo rividi più. Sapemmo poi che era caduto a Nikolajewka, nella famosa battaglia del sottopassaggio ferroviario, insieme a migliaia di altri soldati italiani in ritirata. I superstiti raccontarono che l'accerchiamento totale di 40mila alpini, realizzato dalle armate sovietiche, era stato rotto con un'epica carica a piedi guidata, a costo della vita, dal generale Reverberi. Molti anni dopo, passando da Arzeno, un piccolo paese dell'entroterra chiavarese, entrai nel cimitero e vi trovai una tomba con il nome del mio amico. Era una tomba vuota, che la madre di Riccardo aveva fatto costruire per sentirsi meno sola nel loculo accanto.

martedì 5 ottobre 2010

Cisnetto

L'altra sera, in Tv, ho rivisto Enrico Cisnetto: elegante, disinvolto, spiritoso, distillava con nonchalance giudizi e previsioni. Adesso ha 55 anni ed è uno dei giornalisti italiani più in vista nel settore dell'economia. D'estate organizza, con la moglie, i famosi convegni di "Cortina incontra", che hanno finora mobilitato seicentomila spettatori. E' stato direttore di parecchie testate, ha fatto messe di premi ed è tanto potente ed autonomo da non aver bisogno di uno stipendio mensile: la sua nota autobiografica lo definisce "editorialista economico ed opinion leader". Nientemeno. Se non l'avessi riconosciuto sul video, avrei pensato a un caso di omonimia: il Cisnetto che ricordavo io era un giovanotto un po' spelacchiato e abbastanza imbranato che circa trent'anni fa faceva i primi passi nella redazione economica del "Secolo XIX". Non aveva affatto propensione per le pubbliche relazioni, almeno con i colleghi: respingeva, arruffandosi come un riccio, gli approcci che toccavano ad ogni neofita, a metà tra un nonnismo all'acqua di rose e un tentativo d'instaurare rapporti camerateschi. Neppure l'invadenza di Nino Cavassa, impenitente strizzatore d'attributi, riusciva a farlo uscire dal suo brontolìo: "Non ho tempo per voi - diceva - io ho una meta da raggiungere". Che stesse già pensando a Cortina d'Ampezzo?.