lunedì 29 novembre 2010

Gastronomia

La ragazza incrociata per strada sta, naturalmente, telefonando. Proprio nel momento del mio transito conclude la comunicazione dicendo: "Ci sentiamo poi, cotto e mangiato". Probabilmente voleva dire "dopo cena", o forse "ti saluto". Dunque, anche la clausola finale della rubrica gastronomica di Benedetta Parodi su Italia uno ha fatto danni alla lingua italiana. L'unica consolazione è che il nuovo slogan durerà quanto il programma, non di più; e i piatti illustrabili non sono infiniti. L'altro giorno l'avvenente cuoca era già arrivata alla bistecca alla griglia, segno di una fantasia in calo. Non posso correre in suo soccorso perché molte delle vecchie ricette che ricordo io sono ancor più banali: da bambino la merenda offriva la scelta tra pane burro e zucchero oppure pane olio e sale; a cena capitava spesso l'uovo à la coque, appena bollito e poi decapitato per ospitare il sale e molte striscioline di pane da ripescare con un cucchiaino da caffè. Quando l'uovo era sicuramente fresco, la ricetta si semplificava ulteriormente: si prendeva un ago da lana (di quelli con la cruna larga) si facevano due buchi nel guscio, uno sopra e uno sotto e poi via a succhiare: prima arrivava in bocca il bianco, poi, delizioso, il tuorlo. Niente, quindi, di adatto alla signora Benedetta. E poi, un uovo di giornata, dove lo troviamo?

martedì 23 novembre 2010

Vignettisti

La vignetta quotidiana è l'ammazzacaffè del giornale. Sotto il profilo politico l'autore deve essere in sintonia con il direttore del momento, ma può anche deviare un po' dalla rotta se la battuta è particolarmente felice. Fisicamente, i vignettisti si assomigliano un po' tutti: hanno espressioni da funerale, come se il prodotto del loro ingegno fosse una sanguisuga di buonumore. Il solo autore che abbia visto ridere mentre lavorava si chiamava Rino d'Anna e fu per molti anni illustratore del Decimonono. Dopo di lui vennero i fratelli Origone, detti "il braccio e la mente". Uno trovava la battuta, l'altro la sceneggiava. Talvolta si mettevano all'opera in redazione: il "pensatore" si aggirava con la faccia feroce e le mani dietro alla schiena; l'altro, serafico, preparava con la matita il fumetto ancora in bianco. Erano la mia consolazione, mai un ritardo nella consegna. Tutt'altra musica con Vauro che, nel breve periodo della sua collaborazione, fu per noi un vero incubo. Ogni sera occorreva fargli due o tre telefonate per sollecitarlo e la risposta era sempre la stessa: "Che vuoi che m'importi, io devo pensare...!". Quando lo vedo arrivare da Santoro con una ventina di vignette, fresche di giornata e fulminanti, mi chiedo se allora ci prendesse in giro o se, adesso, sia stato Berlusconi a scatenargli la vena umoristica.

mercoledì 17 novembre 2010

Il dilemma

Alla fine, anche gli studiosi spagnoli hanno alzato bandiera bianca, riconoscendo che Cristoforo Colombo era genovese. Adesso ci sarebbe un'altra battaglia da condurre, rimuovere dalle spalle dell'Ammiraglio l'accusa d'aver importato in Europa la sifilide. Di questa diceria si era fatto portavoce, nel 1919, anche il poeta Olindo Guerrini, autore, con Corrado Ricci, di un curioso libretto, il "Giobbe". Scriveva dunque il Guerrini: "Ahi, Genovese improvvido, / che delle ispane navi / le prue sull'onde incognite / dell'Oceàn guidavi / e de le strane Americhe / aprivi il reo cammino / a Florio, Rubattino / ed altre società, / non sai di quanti spasimi / crebbe l'uman dolore / poi che recasti il tossico / che ci guastò l'amore? / Non sai che notti orribili / passiam, che giorni grami / e che bevande infami / il medico ci dà? ..." . Ai giorni nostri ci sono buone probabilità di assolvere Colombo dalla pesante accusa: a Kingston-upon-Hull, in Inghilterra, sono state trovati scheletri con evidenti segni del morbo e il radiocarbonio li ha datati al 1340. E' un successo, ma anche un mezzo guaio: poiché l'origine della malattia al di là dell'Atlantico sembra indubbia, quegli stessi scheletri dimostrerebbero che qualcuno aveva fatto la traversata prima di Colombo. Genova sarà dunque nel dilemma: accollarsi la sifilide o perdere la scoperta dell'America?

giovedì 11 novembre 2010

Broccolino

Ai tempi della direzione di Michele Tito, il Decimonono riceveva articoli dagli Stati Uniti scritti da una giovane giornalista italiana della quale non ricordo in questo momento il nome ( ma mi verrà). I contenuti erano interessanti, la forma lasciava a desiderare: si capiva che l'autrice era impegnata, per il momento, a imparare bene l'inglese, talvolta a scapito della lingua madre. Avevo i miei problemi nel raddrizzare quegli articoli e un giorno, quando la fanciulla mi telefonò per sapere se andava tutto bene, glielo dissi fuori dai denti: " I tuoi pezzi sarebbero ottimi se non fossero scritti in Broccolino...". Mi aspettavo una risata, invece l'interlocutrice la prese male: borbottò "Come ti permetti!" e buttò giù la cornetta. Lì finirono i contatti, ma l'italiano degli articoli migliorò. Tornata in Italia, la nostra giovane corrispondente venne in visita alla redazione: era una ragazzina smilza e giocosa, che amava sedersi sulle scrivanie. Girò alla larga solamente dalla mia, evidentemente se l'era fatta indicare a scanso di spiacevoli discussioni sul suo stile di scrittrice. Me ne feci una ragione e seguii poi, su altre testate e in Tv, la progressiva carriera della collega. Sembrava proprio che nessun traguardo le fosse precluso e così è stato. Unica variazione, adesso non ha più una figuretta smilza. Ah, ecco il nome: Lucia Annunziata.

venerdì 5 novembre 2010

Benito

No, non è quello che pensate. Per noi del "Decimonono" Benito era il collega più geniale; un grande, simpatico guascone. Di cognome faceva Bragone, ma lui i cognomi non li usava mai, non facevano parte delle sue tattiche. Espertissimo del settore marittimo, andava alle cerimonie (soprattutto al varo delle navi) e attaccava bottone con il potente ospite di turno: "Naturalmente ci diamo del tu" gli diceva. E poi: "Senti, Giovanni (o Francesco), se mi capitasse una notizia che ti riguarda, come faccio a controllarla, dove ti trovo?". Ritornava con il numero telefonico diretto del personaggio, il quale si sarebbe sentito chiamare quasi ogni giorno: "Ciao, Giovanni, sono Benito...". In questo modo Bragone aveva sempre notizie di prima mano e dava terribili "buchi" ai giornali concorrenti. Nel tempo libero, Benito aveva un hobby, versare sale nelle piaghe degli invidiosi accreditandosi capitali e profitti del tutto esagerati. Ancora sulla breccia del giornalismo, se n'è andato l'altro giorno, a 83 anni. Quando l'ho saputo, ho pensato quasi subito al suo taccuino custodito gelosamente, pieno di nomi importanti e di numeri telefonici riservati. Dati che non invecchieranno, perché, nel mondo del mare, al timone ci sono sempre gli stessi. "Vuoi vedere - mi sono detto - che quel notes farà la fine misteriosa dell'agenda di Borsellino?".