domenica 27 febbraio 2011

Le regate

Trascinato da mio figlio Vittorio, ho assistito a una tornata d'asta che comprendeva un bozzetto del più conosciuto quadro di Eugenio Olivari, "Le regate". E' un'opera che, in una sinfonia di azzurri, fa rivivere lo stile e lo spirito della "belle Epoque" genovese: capannelli di signore con eleganti toilettes, uomini con ampi panama o con tenute da skipper schierati su scalette di legno e sugli scogli di Sturla per assistere alle competizioni a vela. Quel capolavoro fu lasciato in eredità da Max Oberti allo Yacht Club Italiano ed è il sogno di tutti i collezionisti d'arte nostrani: se lo avessero esposto alla mostra "Mediterraneo" in corso a Palazzo Ducale avrebbe annichilito i più celebri dipinti di marine fatti arrivare da ogni parte d'Europa. Il bozzetto in asta è stato disputatissimo: grande un po' più d'un foglio A4, è andato via per ventimila euro. Assistendo alla gara ridevo, ripensando a quarant'anni fa, quando partecipai al premio letterario "Caffaro" proprio con una biografia di Olivari che mi era costata anni di ricerche. Quella volta il riconoscimento non fu assegnato poiché la giuria ritenne che non si potesse dare "un premio così importante" a un'opera (la mia) "dedicata a un artista del tutto sconosciuto". Oggi per portarsi a casa un bozzetto delle "Regate" ci vuole un chilo d'oro. E il premio Caffaro non esiste più.

lunedì 21 febbraio 2011

Il divano

Negli anni Sessanta, in via XX Settembre, c'era ancora la piccola casa d'aste della signora Vitelli, mia vicina di casa in via Lata. Disperdeva, per lo più, arredamenti che provenivano da alloggi dell'alta borghesia. Io, sempre a caccia di quadretti di pittori liguri, non mancavo una tornata di vendite: quando mi aggiudicavo un lotto, l'anziana signora batteva il martello e, sorridendo, diceva: "Finirà in via Lata!". Capitò in asta un divano di una bellezza clamorosa, decorato a mazzi di fiori su fondo bianco: proveniva dal dismesso corredo di scena del teatro Margherita. Ci presi una cotta e, al momento della gara, alzai la mano. Quasi subito, però, mi resi conto di avere un accanito competitore: se ne stava in fondo alla sala e superava ogni volta la mia offerta. Lo scrutavo con astio e mi dicevo: "E quello da dove spunta? Eppure lo conosco...". Per farla breve, fui costretto ad arrendermi. Il giorno dopo ritornai nel salone delle aste per vedere gli oggetti dell'incanto successivo. In un angolo c'era il divano perduto, imballato e pronto per la spedizione: sopra la iuta avevano incollato un foglio con l'indirizzo: "Maestro Umberto Bindi, Roma". Ecco perché conoscevo l'odiato avversario. Quando, quasi quarant'anni dopo, appresi dalla Tv la morte di Bindi, pensai subito: "Chissà che fine farà il divano...". Cose da maniaci, lo ammetto.

martedì 15 febbraio 2011

Le donne

La massiccia manifestazione di domenica per rivendicare la dignità delle donne mi ha riportato alla mente un fatterello al quale ho assistito un mese fa. Ero alla posta per pagare l'abbonamento Tv, ma l'attesa si prolungava perché una giovane donna aveva impiantato una discussione con l'impiegato allo sportello. A un certo punto dalla fila si è levata la voce d'un ometto che era il sosia di Ferribotte: "Le donne...a casa devono restare!". "Mamma mia - mi sono detto - adesso scoppia un putiferio". La destinataria dell'invettiva ha invece risposto, con voce pacata: "Ha ragione, signore, bisognerebbe però che i mariti ricevessero uno stipendio sufficiente per mantenere la famiglia". Ferribotte l'aveva scampata, incocciando una donna che lavora per necessità e non "per realizzarsi". Tutto sommato, quell'episodio ha confermato che il "pianeta donna", spesso rappresentato come una forza omogenea decisa ad appropriarsi del potere, non è per nulla compatto: c'è la donna che lavora per ambizione ma anche quella costretta a sgobbare; quella che segue una vocazione e quella che spende lo stipendio per presentarsi in ufficio abbigliata all'ultima moda. Il mio interrogativo è: quali tra questi sottogruppi stanno tirando la volata alla rivoluzione femminile? E' un fenomeno di base o di un vertice sia pur affollato?

mercoledì 9 febbraio 2011

Babbo Natale

Tutta la gente della mia generazione ha nell'album di famiglia un'istantanea scattata per strada da un fotografo "volontario". L'uomo con la Leica, fatto il lampo, porgeva un tagliando numerato: "Venga a vedere la foto, senza impegno, se le piace potrà acquistarla". La curiosità faceva il resto. Uno di questi fotografi da strada lavorava sotto il pronao del Carlo Felice e veniva affiancato, a dicembre, da un figurante in costume da Babbo Natale, che attirava mamme e figlioletti. La ditta si chiamava "Foto Cineclair" e ne era titolare il signor Giugno, il quale aveva due figli, entrambi giornalisti stenografi, uno al "Secolo XIX" e l'altro al "Corriere della Sera". Lo stenografo del Decimonono, Giorgio, per aiutare il padre fotografo, indossava spesso il costume da Babbo Natale. Talvolta, però, dimenticando di essere travestito, quando passava un collega del giornale lo salutava e rivelava così la propria identità. Niente di male, ovviamente; tuttavia alcuni redattori un po' snob criticavano quel secondo lavoro, a loro dire ridicolo e disdicevole. Giorgio Giugno non se ne preoccupava, era una persona ingenua e solare, sempre dedita al bene, specialmente dei bambini. Il suo costante impegno fu premiato con la nomina ad ambasciatore dell'Unicef: stava benissimo in quei panni, ancor meglio che in quelli di Babbo Natale.

giovedì 3 febbraio 2011

Il quadro

Incontravo il vigile Tonietto, ormai in pensione, alla fiera genovese di Sant'Agata e nelle botteghe di rigattiere. Cercavamo quadri e spesso lui mi bruciava sul filo degli acquisti. Quando era ancora in servizio, Tonietto godeva di una popolarità indiscussa: dirigeva il traffico in piazza della Zecca muovendosi solennemente su una pedana di legno; la mole fisica, l'incerata antipioggia e i baffoni bianchi, a manubrio, lo facevano sembrare un monumento vivente. In casa sua, l'amico vigile aveva due cose che suscitavano la mia invidia: una pianola a rulli e un dipinto del Novecento che raffigurava lo studio di uno scultore. Avevo chiesto di acquistare quel quadro, ma la cifra da pagare -125mila lire - mi era sembrata eccessiva. La trattativa andò avanti a lungo, senza esito. Poi, un giorno, mi telefonò la moglie di Tonietto: "Mio marito, purtroppo, è mancato. Prima di morire mi ha detto: "Sai, quel quadro con lo studio da scultore, dàllo a Paglieri da parte mia". Per questo le ho telefonato". Ringraziai commosso, ma dissi che non mi sembrava giusto prendere il dipinto gratis; volevo pagarlo. "Certamente - mi rispose la signora- mio marito mi ha detto di farmi dare 125mila lire e di non farle sconti". Sborsai senza fiatare. Diavolo di un vigile, anche da moribondo era rimasto inflessibile come ai tempi in cui tirava fuori il blocchetto delle multe.