mercoledì 27 luglio 2011

Lamboglia

L'apertura delle sedi di rappresentanza di tre ministeri in alcune stanze della Villa Reale di Monza mi ha fatto ripensare a quando Mussolini insediò sulle rive del Garda i ministeri della sua repubblica sociale, più conosciuta, appunto, come repubblica di Salò. Per carità, nessun tentativo di accostamento politico con l'iniziativa della Lega; solo un'analogia logistica, suggerita da quanto mi raccontò, nel 1955, il professor Nino Lamboglia, gran tutore delle memorie storiche e artistiche della Liguria: "Andavo a Salò per chiedere fondi, c'erano da proteggere centinaia di opere d'arte insidiate dalla guerra. I ministeri che m'interessavano erano tutti su una piazza, in un minuto uscivo da uno ed entravo nell'altro. Una meraviglia, mi sbrigavo in poche ore, a Roma ci avrei impiegato una settimana". "Ma, professore, nessuna remora politica?". "A me interessava salvare quadri e sculture". Che Lamboglia fosse così lo dimostrò il seguito della storia: andò a Mentone a recuperare preziosi archivi ma subì un attentato da parte dei partigiani francesi; finì all'ospedale con la sua assistente, lei ci rimise una gamba. Guarito, il testardo professore riprese la sua attività, rivolgendosi questa volta agli occupanti americani, che gli assegnarono una jeep con autista: "La jeep? Una meraviglia, arrivavo dovunque in un momento!".

giovedì 21 luglio 2011

Un giallo

Si è sparato Mario Cal, braccio destro di don Verzé al "San Raffaele" di Milano, il colossale centro medico e culturale finito in prima pagina per un miliardario buco di bilancio. Sono cominciate le dietrologie, tutti a chiedersi il perché di quel suicidio. Secondo me, una spiegazione potrebbe essere questa: Cal, ex corridore ciclista ed ex manager di ciclisti, amava profondamente quello sport; è pertanto probabile che l'altro pomeriggio avesse seguito, come tantissimi italiani, la telecronaca di una tappa pirenaica del Tour de France. Durante la trasmissione un telecronista aveva rievocato la figura di Luis Ocana, re delle salite, citando anche la fine del ciclista, suicida a 49 anni con un colpo di pistola dopo aver ricevuto una diagnosi infausta. Nel racconto era stato anche ricordato che Ocana aveva disposto che le sue ceneri fossero sparse lungo i due versanti dei Pirenei. La rievocazione del telecronista mi aveva fatto venire la pelle d'oca; immagino che altrettanto sia successo a Mario Cal, se l'ha ascoltata. Se poi sia stata quella scintilla a provocare il fatale incendio nella mente del manager forse non si saprà mai. Rimane comunque valido, secondo me, l'insegnamento dei giornalisti di un tempo: "Evitare il più possibile di riferire casi di suicidio, sono gesti privati e, per di più, contagiosi".

venerdì 15 luglio 2011

Ciclisti

Il ciclismo visto in Tv è uno spettacolo impagabile: non mi perdo una tappa, sia del Giro sia del Tour e ogni volta rimpiango di non essere mai stato, come giornalista, al seguito delle grandi carovane. Sul teleschermo si vede moltissimo, ma anche il resto, una gran mescolanza di urla, imprecazioni, vesciche, sangue, sudore, linimenti varrebbe la pena di essere vissuto, se non altro come metafora della vita di trincea. Di questa babele delle due ruote mi parlava spesso, al Decimonono, un collega, Franco Rubino, che aveva alle spalle un numero altissimo di partecipazioni al Giro d'Italia, come inviato speciale. Era un racconto giocoso, ironico, di quelli che solamente gli spezzini sanno mettere insieme: lasciati da parte i grandi campioni, emergevano le vicende minime dei gregari, proletari del manubrio. Poi Rubino descriveva i piccoli concorsi che venivano organizzati a beneficio dei giornalisti: premi senza pretese a chi risolveva quiz sul ciclismo. Erano proprio garette, ma anche il principe degli inviati, Adriano De Zan, si faceva in quattro per vincerle. Invano, perché veniva quasi sempre superato da Rubino. Ora De Zan è un simpatico ricordo, mentre Rubino, in pensione, passa l'estate a Bocca di Magra. Che fa? Colleziona edizioni dei libri di Woodhouse. Valli a capire, gli spezzini.

sabato 9 luglio 2011

Pagamenti

Stavo chiudendo le valigie: nell'ultimo controllo alla cassetta della posta ho trovato la bolletta della spazzatura, spedita dall'Amiu. Non mi sono meravigliato della poca tempestività dell'invio, anche lo scorso anno mi era capitato di ricevere la stessa tassa in pieno tempo di ferie. Stavolta, per la verità, c'è una variante: l'anno scorso per pagare la prima rata c'era tempo fino al 29 settembre, quest'anno la scadenza è al 25 luglio. L'Amiu pensa, evidentemente, che gli italiani abbiano inventato un nuovo modo di trascorrere le vacanze: stare a casa ad attendere i bollettini postali per poterli pagare senza mora. Dopo le giaculatorie di rito ho guardato l'elenco dei punti nei quali si poteva pagare la bolletta: una lunga serie di filiali di banche, ma nessun accenno ai tabaccai abilitati a sbrigare i bollettini prestampati. Ho fatto comunque un tentativo, ma il tabaccaio vicino a casa mi ha detto scuotendo la testa:"Sì, potrei pagarlo, ma oggi ho esaurito la quantità di bollettini consentita. Mi dispiace". Ecco un'altra grande trovata: aiutiamo gli italiani a non fare code estenuanti, ma solo fino a un certo punto, altrimenti le code spariscono. Comunque, ho scoperto un altro tabaccaio meno frequentato: me la sono sbrigata in due minuti. All'anno prossimo e ad altre avventure da contribuente per la "rumenta".

domenica 3 luglio 2011

Bozano

Il tribunale ha respinto la richiesta di semilibertà avanzata da Lorenzo Bozano, che sta scontando l'ergastolo per l'uccisione di Milena Sutter, tredicenne figlia d'un industriale genovese. Il delitto avvenne nel 1971, Bozano è in carcere dal 1980, dopo essere stato latitante all'estero. Lo incontrai una sera in redazione, quando ancora non si sapeva della tragica fine di Milena: la ragazza risultava solo scomparsa ed era arrivata la richiesta di un riscatto. Quella sera Bozano veniva dalle guardine della questura: si pensava che fosse lui l'autore del sequestro ma l'avevano rilasciato allo scadere del fermo perché Milena, forse chiusa da qualche parte, rischiava di morire per abbandono. Dissi a Bozano, che era venuto al giornale a proclamare la propria estraneità ai fatti: "Avrà capito che l'hanno lasciato andare soprattutto perché temono che Milena muoia. Lei afferma di essere innocente, ma che cosa farebbe, se fosse il rapitore? Andrebbe a soccorrere Milena con il rischio di farsi pedinare e scoprire, oppure la lascerebbe morire, magari sperando ancora nel riscatto?". Mi rispose in modo ambiguo: "Bisognerebbe sapere quale importanza dà quel rapitore al denaro e alla vita umana". Nove giorni dopo, il cadavere di Milena fu restituito dal mare: era stata uccisa subito dopo il rapimento.