lunedì 31 ottobre 2011

Quintiliano

Il nostro cervello ha delle ampie pieghe in cui si nascondono, magari per decenni, ricordi mai più rivangati. Basta però un piccola scintilla per farli scaturire dal buio, così come facevano i "babau" quando scattava il coperchio della scatoletta di legno. Il mio "babau" è uscito dall'oblio l'altro giorno, mentre leggevo il "Corriere della sera": un esperto di problemi scolastici affermava che il modo d'insegnare nel modo giusto e con i giusti toni era già noto, nel primo secolo dopo Cristo, attraverso la descrizione che ne aveva fatto Marco Fabio Quintiliano, autore dell'"Institutio oratoria". Sono rimasto sbalordito, sia perché, pur consultando quasi quotidianamente i testi latini, non m'imbattevo in Quintiliano da almeno mezzo secolo, sia in quanto, nella mia gioventù, avevo avuto una frequentazione quotidiana, per la durata di cinque anni, con il medesimo autore. Nulla di libresco, anzi, tutt'altro: entrando e uscendo dal liceo Colombo leggevo ogni giorno, sul muro di fronte al portone, una scritta a grandi lettere rosse: "Abbasso Quintiliano fottuto e porco". Per cinque anni mi ero chiesto la ragione di tanta ostilità: un compito in classe sbagliato? Un'interrogazione andata male? Cerco ancor oggi la risposta. Intanto però ho imparato dal "Corriere" che quegli insulti erano immeritati.

martedì 25 ottobre 2011

Ghiglione

Lettera di protesta al Decimonono perché lo scrittore Maurizio Maggiani, nel suo articolo domenicale, ha usato la parola "culo". L'accusato ha risposto citando a propria difesa Dante Alighieri e affermando che il sinonimo "sedere" è meno genuino. La polemica sulla parolaccia mi ha fatto tornare in mente un poeta genovese, Nicola Ghiglione, con il quale avevo a che fare negli anni Sessanta: lui portava al giornale arruffate recensioni di libri e io le raddrizzavo un po' per renderle pubblicabili e garantire un reddito all'autore. Ghiglione, per la verità, non si preoccupava molto di guadagnare con gli articoli: di lui si diceva (e forse era vero) che avesse un fratello ricco e generoso, nonché una moglie con trattoria. Nel mondo letterario lo svagato Nicola vantava già una piccola fama come autore di un libretto di "Canti civili", lodato per la qualità poetica e anche per l'impegno politico. Poi un suo verso, citato fino alla noia dai detrattori, gli procurò, insieme a un po' di derisione, una più vasta popolarità. Il poeta, notando alcuni operai che stavano accosciati sul greto del Bisagno per deporre "lo soverchio del ventre" (mia citazione trecentesca). aveva così verseggiato: "I culi degli uomini sono canuti e menzogneri". Per Nicola Ghiglione fu notorietà assicurata, almeno a Genova.

mercoledì 19 ottobre 2011

Follie

Mi è arrivata una raccomandata dell'Agenzia del territorio, ossia del Catasto; sulla busta è stampato, a uso dell'incaricato del recapito, l'elenco delle persone alle quali, in assenza del destinatario, il plico può essere lasciato: parenti, portinaio, coinquilini e via dicendo "purché il consegnatario non sia manifestamente affetto da malattia mentale". Evidentemente l'Agenzia mette in conto che, ad aprire la porta, possa essere un tizio con lo scolapasta in testa e una spada di legno in pugno. E' un bel modo di sdrammatizzare gli effetti della legge Basaglia, limitando le precauzioni al divieto di consegna delle raccomandate. Anche questa prescrizione può entrare a buon diritto nell'immensa letteratura sui folli, fatta al novanta per cento da storie umoristiche, in gran parte inventate, ma non tutte. Ne ricordo una vera del paese di mia madre: un illustre psichiatra di Fiorenzuola d'Arda invitò il gran gerarca Italo Balbo, suo amico, a visitare il manicomio che dirigeva (in Emilia l'ospedale psichiatrico è chiamato "I Pavlòt", i Paolotti). Durante il giro nei reparti il medico si rivolse a un degente: "Com vala?" (Come va?). L'ammalato rispose: "Malet ti e chi t'ha dat la laurea!" (Accidenti a te e a chi ti ha dato la laurea!). E Balbo, prontissimo: "Mòllal ch'l'è guarì!" (Lascialo andare che è guarito!).

giovedì 13 ottobre 2011

L'Europa

Domenica sera, davanti alla Tv, mi sono divertito come non mi capitava da tempo. Sul teleschermo c'era Riccardo Jacona con la sua trasmissione "Presa Diretta". Jacona è un tipo un po' mesto, talvolta sembra in procinto di fare le condoglianze a qualcuno; domenica, invece, anche a lui scappavano sorrisi mentre spulciava le statistiche nazionali sul patrimonio zootecnico e sulla produzione di latte. Dunque, di regola la Comunità europea concede un contributo per ogni capo di bestiame registrato e infligge multe per il latte prodotto in eccesso. Dalle comunicazioni ufficiali italiane inviate all'Europa, risulta che un'anziana allevatrice abitante sulle Alpi è proprietaria di trentamila mucche, ognuna delle quali produce un litro di latte all'anno. Quindi le toccano trentamila contributi comunitari e nessuna multa. Intervistata, la mandriana ha detto che le sue mucche sono in realtà cinque e che la sua stalla non potrebbe ospitarne di più; ha inoltre escluso d'aver mai visto un euro dei contributi versati dalla Comunità europea. Ce ne sarebbe stato abbastanza per ridere un bel po'; ma l'ilarità è arrivata al massimo quando si è appreso che la Comunità europea ha accettato quei dati statistici senza fare una piega. Sono gli stessi signori che ci scrivono lettere ultimative sulle misure economiche da prendere.

venerdì 7 ottobre 2011

L'italiano

C'è un certo ritorno d'attenzione per la lingua italiana, dopo le sbracature del romanesco imposto dalla Tv. A Genova ha fatto scandalo una pubblicità che consiglia: "Non lo sai? Sallo!". "Diamine - hanno osservato in molti - non si dice sallo, si dice sàppilo". E' vero, ma c'è un'attenuante: credo che l'errore sia nato dall'analogia con "Non lo fai? Fallo!". Perché poi sia giusto dire "sàppilo" e non si debba invece dire "fàccilo" è un mistero. Il verbo "sapere" si presta a giochini linguistici: nel Settecento, un bello spirito inventò una falsa tragedia alfieriana e la fece rappresentare. Il dialogo più noto diceva così: "Sailo?" "Sollo!" "Sallo?" "Sassi in Atene e in tutta Roma sassi!". Non finì a sassate, ci furono anche applausi. Le sorprese linguistiche non sono infrequenti: parecchio tempo fa restai allibito davanti all'espressione "la qualunque"che mi era ignota; giorni fa ho scoperto con altrettanto sconcerto, sul "Corriere della sera", la notizia che un capocorrente di un partito aveva "attovagliato" una dozzina di parlamentari. Si capiva che li aveva invitati a pranzo, ma quel verbo, da dove veniva? Una rapida indagine mi ha rivelato la fonte dell'espressione mai sentita: Dagospia, al secolo Roberto D'Agostino, che ha recuperato per il mondo gastronomico una bella immagine di Papini dedicata all'aspetto della neve.

sabato 1 ottobre 2011

L'esame

A una certa età la prostata si fa sentire, eccome: addirittura ti condiziona la vita, dandoti un'autonomia di poche ore. C'è poi il tarlo che quei disturbetti nascondano qualcosa di ben più grave. Allora la dottoressa di famiglia chiede: "Da quanto tempo non fa il PSA?". Troppo, come al solito. Finisco in coda all'ospedale per un esame del sangue che mi chiarirà questi e altri dubbi. L'addetta alla ricezione incassa l'importo dei ticket e poi mi dice: "Vedo che tra le analisi richieste c'è il PSA. Tenga presente che, se il risultato di questo esame sarà alto, lei dovrà pagare un ticket supplementare al momento del ritiro dei referti". Fatto il prelievo del sangue, me ne torno a casa rimuginando: un risultato alto è la cosa peggiore che uno possa aspettarsi; quindi la burocrazia, con la richiesta del ticket supplementare, ha inconsapevolmente inventato un nuovo sistema per comunicare una diagnosi poco simpatica. Addio alle occhiate di sfuggita ai fogli degli esami per spiare se gli asterischi sui risultati anomali sono pochi o tanti. Stavolta basterà sentirsi dire: "Guardi, ci sono da pagare altri tre euro...". Da ipocondriaco come sono, immagino che potrei restarci secco. E i giornali, come riferirebbero il fattaccio? Mi prenderebbero per il solito tirchio: "Genovese muore d'infarto alla richiesta di un ticket".