mercoledì 30 novembre 2011

Fotografi

Anche ai miei tempi i fotografi che lavoravano con i giornali sembravano pirati moderni: gente ossessionata dalla voglia di fare lo "scoop", di scattare foto a costo di farsi insultare, percuotere e anche arrestare. Quando fu assassinato Guido Rossa, uno di loro fece un chilometro nelle fogne per raggiungere il punto dell'attentato a dispetto dei posti di blocco. Poche le eccezioni: il mio caro amico Dario Moretti, di recente scomparso, coltivava uno spirito francescano; andava sul teatro di una tragedia e magari si metteva a consolare i superstiti. Poi ritornava con le lacrime agli occhi a raccontarci tutto e solo a quel punto si accorgeva di essersi dimenticato di fare le fotografie. Di tutt'altra pasta un vero artista dell'obiettivo, Nàzzaro. faccia di pietra, un incursore da film: con lui ebbi un incontro ravvicinato ai tempi in cui le BR sparavano ai giornalisti. Arrivò in redazione, si mise comodo su una sedia, davanti alla mia scrivania, poi cominciò a scattarmi foto. Al primo accenno di protesta mi disse: "Lavora tranquillo, non badare a me, se no mi guardi in macchina...". Replicai: "Ma che stai combinando, mi prepari la lapide?". Mi fissò gelidamente: "Non vorrai mica finire sui giornali con la fotografia della carta d'identità!". Per lui non ero più un amico, ero un'istantanea da tenere pronta.

giovedì 24 novembre 2011

La cultura

Al tempo del ginnasio. cominciai a frequentare il cinema Cristallo di piazza della Zecca: aveva prezzi abbordabili, film di seconda visione, poltroncine senza parassiti. Novità assoluta, la pubblicità, rappresentata da un intrattenitore che, nell'intervallo del film, metteva in palio tra gli spettatori pacchi di pasta e biglietti omaggio, destinati a chi sapeva rispondere a domande di cultura generale. Era una versione molto casalinga del "Botta e risposta" che aveva moltiplicato gli ascolti alla radio e portato alle stelle la popolarità del conduttore Silvio Gigli. In quei tempi ancora ingenui, si rideva a crepapelle se il presentatore inventava il "color singhiozzo di pesce" per descrivere la cravatta di un concorrente. Al "Cristallo", mentre le domande fioccavano, mi resi conto di essere in grado di rispondere a quasi tutte; così imparai ad alzare la mano fulmineamente per fare bottino. Ogni pomeriggio, quindi, rientravo a casa con i miei bravi pacchi di pasta e il biglietto per il giorno dopo. Il successo mi diede da pensare: se, ragionai, la cultura mi consentiva di sfamarmi e di divertirmi gratis, tutto ciò avrebbe potuto far parte di una scelta di vita. Per la verità, avevo già in mente di iscrivermi alla facoltà di Lettere, posso però dire che quei pacchi di pasta ebbero il potere di rassicurarmi sul mio futuro.

venerdì 18 novembre 2011

Lucchetti

Ora che il Cavaliere si è dimesso, sono curioso di vedere se finirà l'annosa polemica tra i fan dell’ex premier e coloro che Silvio non lo possono proprio vedere. Io propongo che vadano insieme ad Arcore, portando ognuno un lucchetto: chi è fan l'appenderà all’inferriata con il cartello “Succursale di Ponte Milvio / monumento all’amore per Silvio”, chi è ancora accanito detrattore userà il suo lucchetto per bloccare il cancello, con lo striscione “Resta dentro fin che non giunga/ la sentenza sul bunga-bunga”. Aspettando il viaggio, bipartisan ma a lucchetti rigorosamente separati, possiamo occuparci un po’ del nuovo premier. Ha un nome demodé che i fatti hanno riportato alla ribalta: Mario Monti ha preso in mano la nazione, Mario Balotelli la nazionale di calcio, Mario Draghi la banca internazionale. Scommetto che troveremo molti Mario nell’elenco dei nuovi nati pubblicato dal Decimonono (adesso, per le bimbe, va di moda chiamarsi Melania, come la vittima di un fosco delitto). E poi, avanti con scritte e poesie: "Dopo il Mariotto dei referendum / ecco don Mario, il reverendum". "Cominciò con Veronica Lario / e adesso finisce con Mario". "Mario Monti, stringendo il discorso,/ ha lo stesso nome di Corso,/ ma non sa tirare in porta/ le punizioni a foglia morta".

sabato 12 novembre 2011

Buoni del Tesoro

Si fa un gran parlare delle peripezie dei Buoni del Tesoro italiani, ormai sappiamo tutto sullo "spread" e pranziamo con un occhio ai grafici dei telegiornali. Lo faccio anch'io, chissà poi perché, dal momento che non ho investimenti del genere. So però che una volta era tutto più semplice: i Buoni si compravano allo sportello bancario, erano stampati e al portatore. Ogni cedolina raffigurata su quei fogli filigranati rappresentava l'interesse semestrale: alla scadenza, bastava ritagliarla e incassarla in banca. La durata dei buoni era novennale, all'interesse annuo del cinque per cento. In più c'erano le estrazioni a premio a ingolosire i risparmiatori: si sperava sempre che al proprio numero di serie toccasse un milioncino. Non si pagavano commissioni bancarie e diritti di custodia, gli interessi erano esentasse. Tutto questo paradiso, per noi e per lo Stato, finì all'epoca di Tangentopoli, quando gli inquirenti si accorsero che, dato l'alto valore nominale di alcuni Buoni de Tesoro, in una valigetta si potevano trasportare comodamente alcuni miliardi di lire. Così i Buoni cartacei, sospettati di essere l'ideale strumento per il contrabbando di valuta e soprattutto per il pagamento di tangenti, furono soppressi. Li sostituirono i Buoni virtuali, registrati, tassati e senza premi. E con poco appeal.

domenica 6 novembre 2011

L'alluvione

A Genova è ritornata l'alluvione quarantennale, con un solo anno di ritardo sulla precedente del 1970. Mio figlio Vittorio e mio nipote Edoardo hanno messo in salvo i cento automezzi del loro salone portandoli sul tetto di un capannone, al riparo dalle furie del Bisagno. Hanno lottato contro il tempo, bagnati fradici e con la morte per annegamento in agguato a pochi metri. A Genova, per lavorare, si deve rischiare anche la pelle. Quando c'è stato il quarantesimo anniversario della precedente alluvione, ho scritto un intero inserto del "Secolo XIX" per raccontare che cosa era accaduto allora e perché era successo. Ho ricordato che gli esperti avevano individuato sotto il ponte della ferrovia il punto critico in cui il Bisagno s'ingolfava e diventava una diga mortale. Per tutta risposta i soloni del Comune hanno fatto lavori di allargamento del letto a valle di quel tappo, spendendo centinaia di milioni: hanno messo il rossetto a un morto. Stavolta l'acqua non è venuta giù dalle colline e non ha gonfiato il Bisagno attraverso gli affluenti: è caduta in centro città ma il Bisagno non l'ha accolta, forse perché era troppa, forse perché le condotte di scarico erano ostruite. A cause differenti, effetti uguali: gente affogata, automezzi e negozi distrutti. A Bangkok succede lo stesso: potremmo proporre un gemellaggio.