domenica 30 dicembre 2012

Nizzola

E' andato via a 85 anni Garibaldo Nizzola, lottatore olimpico genovese, carico di fama e di medaglie. Oltre allo sport che l'aveva reso famoso, amava profondamente il gioco del calcio e lo praticava anche sui campetti sassosi che sopravvivevano tra palazzo e palazzo nell'immediato dopoguerra. Mi capitò di giocare contro di lui, sfidarlo spalla a spalla era come cercare di spostare un pilastro di cemento armato. Lo vidi abbattere un avversario con una carica correttissima e tirarlo su da terra afferrandolo per i calzoncini con una mano sola. Il padre di Baldo, Marcello, era a sua volta un celebre lottatore degli anni Trenta, collezionava medaglie olimpiche.  Fascista fino all'osso, dopo il 25 aprile fu convocato da uno di quei "tribunali popolari" che emettevano giudizi sommari. Un cugino di Marcello, un rigattiere che si chiamava De Mattia, mi raccontò che il lottatore era andato al processo, poi, visto che le cose si mettevano male, aveva abbattuto a pugni tribunale e giuria, accusatori e guardiani e se n'era andato indenne. Fu un anticipo di "Altrimenti ci arrabbiamo", ma una soluzione effimera: sere dopo,  una raffica sparata nel buio pose fine alla vita di Marcello Nizzola. Forse era il ricordo di quell'agguato a velare sempre di tristezza lo sguardo del figlio Baldo.

lunedì 24 dicembre 2012

Sanguisughe

Forse per associazione di idee (è il periodo della seconda rata IMU) mi ha colpito una notizia, letta su un quotidiano, riguardante il ritorno in auge delle sanguisughe, i piccoli, repellenti parassiti cari ai cerusici dell'Ottocento, ma decisamente accantonati dalla medicina moderna. Cent'anni fa le "sanguette" (nome in genovese) avevano l'incarico di succhiare gli umori cattivi finiti nelle vene degli ammalati; oggi, invece, hanno un incarico molto più raffinato, quello di risarcire tessuti umani che nessun chirurgo plastico riuscirebbe a ricucire. Ad esempio, chi ha avuto un labbro sconciato da un morso di cane può attaccare alla parte un po' dei voraci animaletti e lasciar lavorare le loro mandibole. Con quale schifo è facile immaginare. Il ritorno delle sanguisughe farebbe la felicità del Boa, un curioso personaggio ottocentesco che, nelle sue periodiche lettere al Decimonono, vantava una stretta amicizia con tale monsieur Morceau, "commerciante di sanguette" marsigliese, spesso di passaggio a Genova per piazzare la sua merce, evidentemente molto richiesta. Quella strana dipendenza dall'estero oggi non avrebbe motivo di sussistere: il nostro Paese è infatti all'avanguardia in fatto di salassi indiscriminati, ad ammalati e sani.         

martedì 18 dicembre 2012

Panettone

La più curiosa storia di panettoni che mi capitò di ascoltare è quella che mi raccontò un collega, Luciano Basso, purtroppo immaturamente scomparso. Luciano aveva iniziato a frequentare una redazione giornalistica fin da ragazzo, trovandosi esposto, naturalmente, alle reprimende e agli scherzi dei colleghi anziani. Un giorno di dicembre incontrò in piazza Corvetto il redattore capo Massaro: "Dove vai, Luciano?". "E' quasi Natale, vado a comprare un panettone da regalare ai miei genitori...". "E tu compri il panettone a Genova? Per trovarlo fresco bisogna andare a Milano. Forza, dai, prendiamo il treno, in due ore ci arriviamo". Sommerso nel suo complesso d'inferiorità di fronte al capo, Luciano ubbidì. Quando furono alla meta, Massaro si fece consegnare dalla sua vittima tutti i soldi che aveva in tasca e si allontanò, affermando che sarebbe ritornato in breve con l'agognato panettone. Invece sparì, lasciando il collega in mezzo a Piazza Duomo, intirizzito e senza una lira. Il rientro a Genova in quelle condizioni fu penoso. Quando qualcuno rimproverò a Massaro lo scherzo crudele, l'autore rispose: "L'ho fatto perché un vero giornalista deve imparare a cavarsela anche nella peggiore delle situazioni". Una cura d'urto, insomma.

mercoledì 12 dicembre 2012

L'inno

Alla prima della Scala hanno "toppato", attaccando il "Lohengrin" senza farlo precedere dall'inno di Mameli. Il maestro si è giustificato affermando che l'accostamento tra i due tipi di musica strideva. Inconsapevolmente ha addotto lo stesso argomento avanzato da Toscanini al tempo del fascismo, quando rifiutò di suonare "Giovinezza" e incassò per questo un paio di schiaffi. Anche nell'Ottocento il fuori programma era fonte di guai: i patrioti appostati in loggione gridavano "L'inno! L'inno!" fino a quando il maestro non li accontentava. Il delegato di pubblica sicurezza, per parte sua. provvedeva a identificare gli autori della gazzarra, che venivano denunciati per "grida sediziose". Oggi penseremmo che l'inno reclamato a gran voce fosse quello di Mameli; invece si trattava di quello di Garibaldi, di gran lunga più popolare e certamente più solenne e vigoroso dell'esile composizione che ascoltiamo prima delle partite della nazionale. Sarebbe persino il caso di chiedere il cambio, se non fosse che l'inno dell'eroe nizzardo non ha, ai nostri giorni,  alcuna probabilità di candidarsi a rappresentare la nazione: il ritornello dice infatti : "Va' fuori d'Italia, va' fuori stranier!". I cinque milioni di nuovi abitanti dello Stivale non gradirebbero.

giovedì 6 dicembre 2012

Le primarie

Dobbiamo essere grati a Renzi e Bersani. Se non ci fossero state le primarie del PD, la sola notizia in grado di nutrire un po' a lungo la cronaca bianca dei teleschermi sarebbe stata quella riguardante una nota attrice italiana che ha mostrato alla macchina da presa ciò che di solito le signore concedono allo sguardo del ginecologo di fiducia. Anche se artisticamente sfuocata dal regista, la scena avrebbe certamente suscitato illazioni da 007, analisi sociologiche, gaie reminiscenze e dure reprimende. Forse, dalle segrete stanze di qualche "servizio" sarebbe filtrata la voce dell'uso di una controfigura e, a questo punto, un noto critico d'arte avrebbe sostenuto, in base alle sue infinite esperienze, che "non ce n'è una uguale all'altra"; in un celebre studio Tv sarebbe stato ricostruito il set del film, una rigorosa inchiestista avrebbe rivelato l'esistenza di un commercio clandestino di obiettivi cinesi. E via dicendo. Tutto è stato invece spazzato via dal duello a cuscinate tra Pigi e Matteo, che sembrava ambientato nel "Bar Sport" di Stefano Benni. Ha vinto Bersani, che è nato a un tiro di schioppo dal paese di mia madre. Fra lui e me, potremmo parlare tranquillamente in dialetto piacentino. Ma come se la caverà, da premier, con il "tetesco" della signora Merkel?    

venerdì 30 novembre 2012

La Pietà

A Milano, le teste d'uovo più autorevoli della città, cioè il sindaco e l'assessore alla cultura, hanno rivolto pensosi sguardi alla Pietà Rondanini, la scultura che Michelangelo, morendo, lasciò incompiuta. Il loro lodevole scopo è quello di valorizzare l'opera, dandole una sistemazione  più consona. Nella città distratta da altro, le idee dei due maggiorenti sono filate via come l'olio. Nulla da ridire, anche da parte mia, sulla futura sistemazione della Pietà alla fine di un percorso che valorizzi altre opere d'arte milanesi; qualche dubbio che l'attuale "quinta" in pietra posta dietro la scultura debba essere sostituita da un antico  ambiente tutto in cotto (mi pare che nel Cinquecento i mattoni avessero ormai ceduto il passo al marmo). Molto da ridire sui sei milioni che la Cariplo sborserà per finanziare l'operazione. Ma sono soldi loro.  Mi ha lasciato a bocca aperta la nuova interpretazione della scultura: "Macché Pietà, quella è la rappresentazione del Dolore! Anzi, mentre faremo i lavori, collocheremo l'opera di Michelangelo in due luoghi simbolo della sofferenza, il carcere di San Vittore e il Palazzo di Giustizia di Milano". Così la Madonna, con il cadavere del figlio tra le braccia, darà il buongiorno alla Boccassini e all'avvocato Ghedini. Lasciatemelo dire: "Pietà l'è morta...".       

sabato 24 novembre 2012

Letizia

Annuncio con orgoglio che la mia nipotina Letizia Buratti si è laureata martedì scorso in Scienze pedagogiche e dell'Educazione. Confesso, senza far torto agli altri cinque più giovani nipoti, di nutrire un affetto particolare per Letizia: quando lei nacque, imparai il mestiere di nonno portandola in giro con il passeggino. Ecco dunque che "la Leti" mi riconduce ai tempi di una fotografia che teniamo in vista a casa: c'è lei con i fratelli Stefano e Fausto e i cugini Edoardo e Annalisa (Leonardo, il nostro cucciolo, doveva ancora arrivare). C'è soprattutto, in quella bella immagine scattata da mia figlia Isabella,  il bisnonno Gaetano Grosso, mio suocero, che se n'è andato dieci anni fa, dopo un secolo di vita. Oggi più che mai quella foto mi emoziona, perché Letizia si è laureata nello stesso edificio in cui il bisnonno Gaetano lavorò per vent'anni. A Genova molte prestigiose sedi cambiano spesso inquilini: così è capitato che, nel palazzo che ospitava la grande "Eridania", a quei tempi regina degli zuccherifici, si sia installata anni fa  la facoltà universitaria frequentata da Letizia. Salendo, in occasione della cerimonia di laurea, quelle scale tanto familiari a mio suocero, mi sembrava di ascoltare di nuovo il suo tipico intercalare: "Ho tante cose da fare...".

domenica 18 novembre 2012

I ciùngai

I chewing-gum hanno trovato a Genova una versione italianizzata del loro nome: per il popolo sbrigativo sono diventati i "ciùngai". Anni fa, i ragazzi ruminavano palesemente con questi bocconi elastici, ora, invece, si sono fatti più discreti ed è difficile scoprirli all'opera. Non hanno tuttavia smesso: i marciapiedi della città (e, ahimé, pure gli splendidi mosaici di Via Venti) sono infatti tuttora costellati di macchie nere che testimoniano la cattiva abitudine di scaricare in terra il prodotto esausto. Anche a Pietra Ligure, dove trascorro le vacanze estive, le tracce dei ciungai sono abbondantissime. Mi hanno anzi permesso di fare una piccola scoperta sul comportamento dei giovani: c'è, nella cittadina, un vialetto che conduce prima a un grande parcheggio e, più oltre, a un ingresso del cimitero. Ebbene, le macchie nere dei ciungai arrivano fino all'accesso del parking; più oltre, invece, il lastricato del vialetto è perfettamente pulito.  Applicando le teorie poliziesche (sono un affezionato frequentatore del canale tv 38, quello dei "gialli") ho concluso che i giovani girano alla larga dal cimitero e si guardano bene dall'andare a dare un saluto ai propri parenti e amici defunti. Questa prospettiva di futura solitudine mi immalinconisce.

lunedì 12 novembre 2012

Falsari

Cerchi una cosa in un cassetto e ne trovi un'altra, dimenticata da anni eppure traccia di un momento preciso della tua vita: mi è capitato l'altro giorno, quando ho rivisto una manciatella di monete da dieci lire false, legate a una mia inchiestina giornalistica. Negli anni Settanta scarseggiavano gli spiccioli, la gente riceveva i resti sotto forma di miniassegni, caramelle e francobolli. Era successo che, a Roma, i dipendenti della Zecca avevano deciso di non poter più sopportare il tonfo continuo delle macchine coniatrici e sedevano in assemblea permanente per chiedere rimedi. Indagando sul problema, venni a sapere che qualcuno del settore industriale del porto di Genova aveva deciso di farsi una zecca privata: le  dieci lire di alluminio erano facilmente riproducibili e, a suon di martellate sui due conii, ne erano nate a migliaia. Si riconoscevano perché le due facce, non  impresse contemporaneamente, risultavano ruotate fra loro rispetto ai pezzi autentici. Andai alla Banca d'Italia con un po' di esemplari e chiesi se avessero intenzione di fare una denuncia. Mi rispose un pacioso dirigente: "Vedremo, segnaleremo alla Zecca; ma le dirò in confidenza: il danno economico è minimo, molto minore del costo di un'indagine". Mi ritirai con le pive nel sacco.

martedì 6 novembre 2012

Gae Aulenti

Grande rilievo dei media alla scomparsa, in avanzata età, di Gae Aulenti, da tutti riconosciuta come l'indiscussa signora dell'architettura italiana. La fama dell'Aulenti era planetaria, grazie a opere realizzate in tutto il mondo con una particolare inclinazione a rinnovare rispettando le vestigia del passato. Proprio per questa sua benemerita cura, Gae Aulenti era stata chiamata dal Comune di Genova a partecipare alla ristrutturazione del  Palazzo Ducale, la colossale costruzione che domina il centro della città.  La celebre star dell'architettura arrivò, s'informò su quanto si progettava di fare, poi, quasi subito, disse "No, grazie" e se ne andò. Era una persona discreta, non rivelò che cosa riteneva incompatibile con le sue idee; d'altra parte il Comune non s'allarmò per la rinuncia e andò avanti nei lavori, durati anni. Oggi, guardando il Ducale, scopriamo che cosa non sarebbe piaciuto alla signora Aulenti: la rimozione delle iscrizioni antiche e di due statue, la demolizione di una scala settecentesca, gli squarci nella cortina muraria per realizzare un ingresso monumentale del tutto inventato, la creazione di una "montagnetta" esterna, attuale dimora degli sfaccendati. Si salvano, è vero,  nuovi intonaci e imbiancature, ma per quelli non occorrevano grandi firme.

mercoledì 31 ottobre 2012

Finanziamenti

Ecco uno spaccato di come funziona, ai nostri giorni, il credito in Italia. Il signor Giuseppe ha bisogno di un'auto: ne trova una usata che fa al caso suo, concorda il prezzo e chiede un pagamento rateale. Il venditore s'informa preventivamente: "Lei ha subìto dei protesti? E' un lavoratore precario? In questi casi non potrà ottenere un prestito rateizzato dalla finanziaria". Risposta: "Ho un lavoro fisso da cinque anni e finora non ho mai fatto ricorso al credito". "E' il cliente ideale" pensa il venditore e inoltra la richiesta alla finanziaria, che però, dopo una rapida istruttoria, risponde negativamente. Venditore e acquirente, sbalorditi, sollecitano una spiegazione: "Il richiedente - replica la finanziaria - non ha mai fatto ricorso al credito, quindi non c'è la prova della sua propensione a pagare le rate d'un debito". I guai del signor Giuseppe non finiscono qui: la pratica andata a male ha anche provocato l'inserimento del suo nome in un elenco di coloro che sono stati "bocciati" da una finanziaria.  D'ora in poi ogni sua richiesta ad altri prestasoldi verrà inesorabilmente respinta. E sarà inutile spiegare il perché dell'inserimento nell'elenco. Risponderanno: "Può essere, ma è anche possibile che si siano apprese sul richiedente cose che noi ignoriamo. Meglio non rischiare".

giovedì 25 ottobre 2012

Il riso

L'altro giorno, al supermercato, ho visto una cosa insolita, una pila di sacchetti di riso da cinque chili l'uno. Mi è sembrato d'imbattermi nel simbolo dell'Italia come sarà tra quattro o cinque anni. Il commercio ha già capito che gli italiani stanno avviandosi per conto loro a una lotta incruenta che avrà come unico avversario il potente mondo economico cinese. L'uomo della strada ha fatto un suo ragionamento: la Cina ci invade di prodotti industriali a bassissimo prezzo perché la sua mano d'opera lavora quattordici ore al giorno, non fa ferie, mangia una ciotola di riso, indossa una casacchina blu e fa ginnastica in strada invece che nelle palestre. Tutte cose che potremmo fare anche noi, ritornando così a fabbricare a basso costo tutto ciò che ci occorre: il dragone cinese finirebbe sommerso dall'invenduto. Dovremmo però realizzare una cosa di segno contrario a quanto prescrivono i governanti di Pechino: loro obbligano le coppie a non avere più d'un figlio, noi dovremmo indurre i nostri sposi a farne almeno uno. Le mammelle decorative e i pancini senza gonfiori possono servire per far bella figura sulle spiagge e sui rotocalchi, ma hanno il segno del presente, non quello del futuro. (Ma guarda un po' dove va a finire uno guardando un sacchetto di riso. A proposito, costa tre euro e qualcosa).

venerdì 19 ottobre 2012

Cristiana

La trasmissione  Tv "La storia siamo noi" ha rievocato Gigi Meroni, che negli anni Sessanta era il calciatore più estroso della serie A. Lanciato dal Genoa, passato al Torino, riempiva le cronache con i suoi fantastici gol e con le sue stranezze esistenziali: capellone, barba lunga, si era fatto vedere in giro con una gallina al guinzaglio. Amava con totale dedizione una ragazza del luna park, Cristiana, che gestiva un tiro a segno. Mori giovanissimo, investito da un'auto nel 1967. Un paio di mesi dopo la disgrazia, un tifoso granata dalla mente instabile, convinto che la morte del suo idolo fosse solo una messa in scena, andò ad aprire la tomba, profanò la salma e portò un sacchetto di resti  in questura a Torino.  Ricevetti, al giornale, quell'orribile notizia e mi accingevo a riscriverla in modo accettabile, quando mi passarono una telefonata: era Cristiana, che si trovava a Genova con il suo luna park. Singhiozzando mi chiese conferma dell'accaduto, voleva particolari. Non mi sentii di darglieli, temetti,  conoscendo la sua grande storia d'amore, un gesto disperato. Mentii e divagai, riuscii infine a calmarla e a congedarmi da lei. Povera Cristiana, mi ha emozionato, dopo tanti anni, vederla sul teleschermo con i segni del tempo sul volto, ancora bellissima.

sabato 13 ottobre 2012

Il battipanni

Il portinaio m'interpella: "Lei che è di un'altra generazione, lo possiede un battipanni? L'avvocato tale mi mette a perdere perché gli tolga la polvere dai tappeti, ma mi manca lo strumento...". Faccio mente locale:" Sì, il battipanni l'avevo, era di giunco, ma l'ho eliminato nell'ultimo trasloco. Mi spiace...C'è però una donnetta che tutti i martedì batte i tappeti su un terrazzino del palazzo accanto... Provi con lei...". "Sì, la conosco, ma è difficile parlarle... Ho chiesto anche alla signora del quarto piano, si è messa a ridere e mi ha detto che ormai i suoi figli sono adulti, il battipanni non le serve più...". La spiritosa risposta mi ha aperto un orizzonte quasi storico: insieme al mattarello, il battipanni è al primo posto, ex aequo, tra gli strumenti domestici di uso improprio; un uso glorificato da decine di fumetti che hanno allietato la mia infanzia: Bibì e Bibò, gemelli terribili, venivano presi a mattarellate dalla Tordella e qualche legnata toccava anche a Capitan Cocoricò e all'Ispettore. Il battipanni era invece l'arma preferita di Petronilla, in perenne lotta con il marito Arcibaldo, refrattario alle manie di grandezza della consorte. Dalle mani di Petronilla il battipanni era poi passato a quelle di Paperino, alla caccia di Qui, Quo e Qua. Dio mio, quanta scorrettezza pedagogica e quante risate!

domenica 7 ottobre 2012

Portaborse

Il sindaco di Genova, Marco Doria, è stato aggredito per strada da un tizio che l'ha colpito (per fortuna in modo non grave) e ha cercato di strappargli lo zainetto. Che un sindaco giri con lo zainetto non è cosa da tutti i giorni: direi che siamo al cospetto della pietra tombale sui portaborse, caratteristici paria della giungla politica e protagonisti di infinite storie parlamentari. Una me la raccontò, molti anni fa, Mario Del Vecchio, caposervizio del Decimonono. Fin dai tempi della Resistenza, Del Vecchio era amico fraterno di Paolo Emilio Taviani, poi divenuto un potente ministro democristiano: gli faceva un po' da ufficio stampa e andava a salutarlo alla stazione quando rientrava da Roma per il fine settimana. Una volta, dopo i soliti convenevoli all'arrivo del treno, il ministro, forse distratto, allungò il braccio con la borsa verso l'amico, come per dargliela. Del Vecchio lo guardò addolorato e non la prese. Taviani fece finta di nulla, ma da quel momento tra i due amici calò un'impercettibile cortina di gelo. Il mancato portaborse capì che si era chiusa una porta e, lasciata perdere la politica, si dedicò unicamente al giornalismo. Era un caustico, disincantato napoletano e sapeva insegnare il mestiere ai giovani. Lo insegnò anche a me.   

lunedì 1 ottobre 2012

Sallusti

Gran rumore e grande scandalo perché il direttore responsabile del "Giornale", Sallusti, dovrà scontare una condanna per un articolo ritenuto diffamatorio. La levata di scudi mi sembra esagerata: ogni giornalista conosce le regole del proprio mestiere e deve sempre applicarle. Ho passato quasi trent'anni a soppesare notizie e parole per evitare la galera ai diciassette direttori che ho avuto. Oggi si fa meno attenzione (me ne accorgo da lettore) ma non è certo un fatto positivo. Nell'Ottocento, con un giornalismo incentrato sulla polemica più che sull'informazione, i direttori non ricevevano denunce, ma sfide a duello; quanto poi ai problemi con la Procura del Re, si era escogitata un'astuta soluzione, il "gerente responsabile". Questo gerente era un tizio di bassa estrazione sociale che riceveva una paga per firmare il giornale e incassava un'indennità extra per ogni giorno di carcerazione scontato a causa di un articolo fuori dalle righe. I processi a questi poveracci erano uno spasso: portato di fronte al tribunale, il "gerente responsabile" inforcava gli occhiali, fingeva di rileggere l'articolo e dichiarava, sempre con la stessa frase, di non trovarvi alcunché d'illecito. Perché fingeva di rileggere? Perché spessissimo era totalmente analfabeta.

martedì 25 settembre 2012

Virgilio Crocco

Il Sessantotto segnò anche l'ingresso della gioventù nel giornalismo. Le redazioni furono invase da "ragazzini"; alcuni, con faccia franca,  salivano in cattedra.  Un giorno del 1969 mi telefonò il redattore capo Macchi e mi disse: "Il "Messaggero" di Roma manda negli Usa due giovani inviati. Ora sono qui, ho parlato con loro e ho capito che hanno bisogno di qualche consiglio professionale. Te li mando, pensaci tu". "Ci vorrà molto tempo, quanti mesi mi dai?" chiesi scherzando. "Un paio d'ore". I due giovani vennero in redazione, erano proprio principianti ma pieni di buona volontà: li istruii soprattutto sul modo di trasmettere i servizi giornalistici, per telefono o con la telescrivente. Uno dei due mi colpì in modo particolare: si chiamava Virgilio Crocco, era un bel ragazzo, simpatico, elegante, dai modi garbati. Mandai a mente il suo nome, mi dissi "Ne sentirò riparlare". L'anno dopo Crocco incontrò Mina a una serata musicale; s'innamorarono e si sposarono. Nacque Benedetta, la sorella di "Paciughino". Poi il matrimonio da favola finì e Crocco trovò un altro amore. Partì, forse con la nuova fiamma, verso gli Stati Uniti, ma, nel Wisconsin, fu investito da un'auto e morì. La sua fu una breve vita felice, come quella di un personaggio di Hemingway.

mercoledì 19 settembre 2012

Sbragi

Di tutti, quando è il momento, si può dire "E' andato in cielo". E' una frase consolatoria, che però questa volta mi sembra non utilizzabile: devo infatti citare la scomparsa, a 91 anni, di Fioravante Sbragi, che in cielo ci andava tutti i giorni, da tempo immemorabile, come pilota di piccoli aerei. A Genova tutti ricordano quella volta che fece, via radio, un corso accelerato di atterraggio ai passeggeri di un velivolo il cui pilota si era sentito male. Quando le ruote toccarono finalmente la pista, chi assisteva dovette recuperare il cuore dai calcagni. Sbragi era sempre pronto a saltare sull'aereo, bastava dargli una telefonata. Nel 1965 lo chiamò il mio collega Zamorani: "Comandante, la "Raffaello" ha avuto un incendio in Atlantico, pare che stia rientrando a Genova, ma alla società Italia non vogliono darci altre notizie. Che dice, andiamo a dare un'occhiata?". "Andiamo" rispose Sbragi. Partirono con l'aeroplanino, fecero il Mediterraneo, superarono Gibilterra e finalmente videro il transatlantico che stava ritornando: la scia asimmetrica non lasciava dubbi, la nave  procedeva con un solo propulsore. Almeno quella volta, le cortine fumogene che la società di navigazione era solita stendere sui propri guai svanirono: le aveva spazzate via l'elica di Sbragi.      

giovedì 13 settembre 2012

Raiteri

E' scomparso giorni fa il dottor Giorgio Raiteri, che, nei cosiddetti "anni di piombo" genovesi, fu spesso al centro delle cronache: finì impantanato in quella terra di nessuno che stava tra la militanza ideologica e la reale partecipazione a fatti eversivi. Si fece tre anni di carcere, poi fu rilasciato e ritornò al suo lavoro di medico. Trovò posto, provvisoriamente, in un ambulatorio di San Martino e lì l'incontrai recandomi a una visita per un fastidioso disturbo. Aveva l'aria un po' assente, la rasatura trascurata. Ascoltò i miei sintomi, poi andò a frugare in un armadietto pieno di medicinali. Tirò fuori una scatoletta e me la diede: "Prenda queste pillole, le faccio la ricetta". Quando andai in farmacia a chiedere il rinnovo della medicina, il farmacista mi guardò stupito: "Sono anni che questo prodotto non è più in commercio!". Mi sembrò, in quel momento, di toccare con mano la vera pena del carcere, cioè la perdita dei contatti con il mondo esterno, il buio sugli aggiornamenti umani, sociali e anche professionali.   In morte di Raiteri sono apparse sul Secolo XIX necrologie fatte da amici che si sono firmati con il solo nome di battesimo. Capita spesso, per la verità, ma in questo caso l'assenza dei cognomi mi ha fatto pensare che certe vecchie storie scottano ancora.

venerdì 7 settembre 2012

Spadolini

Eravamo i soliti quattro gatti del turno di notte, quella sera del 1982: ogni ora facevamo il giro di telefonate alla polizia, ai carabinieri, al pronto soccorso; chi giocava a scacchi, chi a scopone. Improvvisamente entrò in redazione Giovanni Spadolini, allora presidente del Consiglio. Era venuto a Genova per una cerimonia e indossava eleganti pantaloni da tight. Si mise comodo su una sedia, accavallò a squadra una gamba e disse: "Oggi mi sono veramente annoiato, la politica non mi entusiasma. Parliamo un po' di giornalismo?". Era un conversatore amabile, in pochi minuti svariò dai ricordi del passato all'attualità della carta stampata. Sapeva tutto sui direttori in carica, compreso il nostro; si capiva che aveva nostalgia dei tempi in cui dirigeva "Il resto del Carlino" e, ancor più, il "Corriere della Sera". S'interessò anche alla tecnologia tipografica, parlammo della rivoluzione portata dai computers e della fine dei caratteri di piombo; delle meravigliose linotypes messe in pensione dalle stampanti su carta. Quando l'illustre ospite si congedò, lo chiamai "direttore" anziché "presidente", poi mi scusai della "gaffe". Si mise a ridere: "Non si scusi, è il mestiere che preferisco". Lo accompagnammo fino in strada e ci rendemmo conto che era solo, non aveva scorta.

sabato 1 settembre 2012

Uno sbadiglio

Con l'immatura scomparsa di Salvatore Orlando, avvenuta giorni fa, si è estinta una dinastia di armatori ed industriali legata alla storia del Risorgimento. Mazziniani, esuli dalla Sicilia borbonica, i tre fratelli Orlando - Luigi, Giuseppe e Paolo - si stabilirono a Genova, dove impiantarono, alla Foce, un grande cantiere navale. Passarono poi a Livorno, dove costruirono la più potente nave da guerra dell'epoca, la "Lepanto". A Genova nacque un comitato per onorare gli Orlando e, tramite un  neonato giornale, "Il Mare", si aprì una sottoscrizione per una medaglia d'oro. La raccolta superò le attese, tanto che il denaro avanzato fu distribuito tra gli operai poveri del cantiere livornese. Non ebbe invece successo il giornale, che cessò le pubblicazioni, lasciando disoccupata la tipografia, sistemata in un seminterrato di Salita San Gerolamo. La scoprì, passeggiando, Ferruccio Màcola, un giovane professore di francese che insegnava nella vicina via Caffaro, coltivava ferventi idee politiche e in cattedra si annoiava parecchio. Gli venne un'idea:"E se facessi io un giornale?". Cominciò così la sua  esistenza "Il Secolo XIX", il quotidiano nel quale ho lavorato per 28 anni e che compro ogni mattina. Una grande e longeva impresa nata da uno sbadiglio.    

domenica 26 agosto 2012

Linke

Se si parla di cravatte di gran classe, i riferimenti d'obbligo sono due: Marinella a Napoli e Finollo a Genova. Del negozio-laboratorio genovese, in bello stile Liberty, era impareggiabile guida Roberto Linke, la cui immatura scomparsa, appresa dal Decimonono, mi ha riempito di amarezza. Linke era un amico vero e un  cultore dell'arte ligure: con lui e con altri appassionati avevo organizzato a Palazzo Ducale un'esposizione regionale di pittura e scultura legata alla rinascita della Promotrice di Belle Arti. Un'iniziativa ancor oggi rimpianta, specie al confronto con le grandi mostre "chiavi in mano" in arrivo da altri lidi; rassegne di successo, ma estranee alla cultura locale. Linke, abituato a trattare alla pari con personaggi blasonati di tutto il mondo, mi raccontò una volta che era entrata nel suo negozio la figlia del presidente Scalfaro, Marianna, giunta a Genova con il padre in visita ufficiale. Voleva dei foulard e fu servita con il consueto stile della ditta. Era uscita da poco quando arrivò un funzionario della Prefettura, a protestare perché la signora si era lamentata di non essere stata trattata secondo il suo rango. Evidentemente Linke non era apparso abbastanza emozionato al cospetto dell'illustre cliente. Lui che discuteva di camicie e polsini con Gianni Agnelli.

lunedì 20 agosto 2012

Abdon Pamich

Un ricordo Olimpico ci vuole. Nel 1964, a Tokyo, Abdon Pamich vinse la 50 chilometri di marcia, assicurando all'Italia uno dei titoli più prestigiosi dell'atletica. Pamich, profugo da Fiume, era genovese d'adozione, meritava quindi un festeggiamento particolare della sua città. Il direttore del Decimonono, Umberto Vittorio Cavassa, venne in segreteria di redazione e mi disse, porgendomi un foglietto: "Sabato prossimo Pamich arriva in visita al giornale. Mi procuri una medaglia d'oro con questa dedica". Non rammento quel testo, mi è rimasta impressa solamente la frase "...con passo italiano...". Mancavano sei giorni alla visita. Mi misi subito alla ricerca di un orefice e di un incisore, ma piombai nello sconforto: mi chiedevano tutti dai dieci ai quindici giorni di tempo. Che fare? Mi ricordai a un tratto di Martino Fontana, l'orefice di Canino, il paese del Lazio dove avevo abitato fino a due anni prima. Martino, gran compagnone, fisarmonicista di classe, era genovese come me e nel suo lavoro non ammetteva ostacoli. Gli telefonai, si mise a ridere: "Genova è così mal ridotta? Stia tranquillo, ci penso io".  Il venerdì avevo sulla scrivania la medaglia con dedica. Martino l'aveva spedita per contrassegno: da vero ligure, non si era fidato del pagamento su fattura.   

martedì 14 agosto 2012

Svacanzando

Il verbo di questa torrida estate è "svacanzare". L'ho scoperto in un serioso articolo del "Corriere della Sera" sulla situazione in Israele. Colpito dalla divagazione linguistica, mi sono affidato a Internet e ho constatato che non si tratta di un caso sporadico: esistono nel Web esempi abbastanza copiosi di uso del verbo "svacanzare". Il meno elegante viene da un commentatore che, riferendosi ad alcuni giovanotti passati per le forche caudine di X Factor, ha scritto: "L'idea di marketing che manifestavano era quella di far vagheggiare al pubblico l'idea di poter svacanzare dentro le loro mutande". Restando immersi nella calura estiva, non vanno poi dimenticate alcune risposte della scrittrice Maria Perosino a un questionario di Paolo Di Stefano su "Io Donna": "Il suo principale difetto?" "Sono tonta"; "Se dovesse cambiare qualcosa nel suo fisico?" "L'alluce destro"; "Il dono di natura che vorrebbe?" "Un bell'ombelico". Chi ha letto queste risposte ha sicuramente pensato: "Perbacco, che persona spiritosa, ha messo nel sacco il giornalista!". Io sono stato invece colto da un dubbio: e se la faccenda dell'ombelico fosse vera? Le donne d'oggi vogliono contare soprattutto dalla cintola in su, ma non hanno ancora detto se l'ombelico è di sopra o di sotto.
 

mercoledì 8 agosto 2012

Biscotti

E' morto, a Saronno, l'ultimo discendente di una dinastia di fabbricanti di biscotti, i Lazzaroni. Popolarissimi ai tempi della mia infanzia, i Biscotti Lazzaroni venivano venduti in scatole di lamiera  che riconoscevamo a colpo d'occhio. Proprio quelle scatole diedero spunto a una storiella antifascista, nata all'epoca della visita di Hitler a Roma, nel 1938; un evento che fa da sfondo anche al film "Una giornata particolare" con la Loren e Mastroianni. Si diceva dunque che, in occasione del saluto dei due dittatori dal balcone di Palazzo Venezia, fossero state messe sotto i loro piedi  delle scatole metalliche, per farli sembrare più alti e imponenti. Peccato che sulle scatole campeggiasse la scritta "Fratelli Lazzaroni". I fascisti si raccontavano volentieri queste barzellette, sottovoce e dandosi di gomito, ma poi persistevano nella loro fede politica: nessuna satira ha mai provocato un cambio di campo. Ricordo, a questo proposito, i plateali gesti di scongiuro che facevano gli uomini in camicia nera quando si pronunciava il nome di Telesio Interlandi, direttore della rivista "La difesa della Razza" e capintesta della persecuzione antiebraica. Mai persona riuscì a raccogliere su se stessa tanto disprezzo, riuscendo tuttavia a realizzare i propri tenebrosi intenti. 

giovedì 2 agosto 2012

Cesare Viazzi

Nel giro di pochi giorni se ne sono andati tre "big" genovesi della Rai: Alfredo Provenzali, popolare radiocronista sportivo, Arnaldo Bagnasco, geniale artefice di programmi Tv e Cesare Viazzi, che fu tra i creatori del Tg3 e direttore di diverse sedi regionali. Con i primi due ho avuto rapporti di semplice conoscenza, a Cesare invece ero legato da una quarantennale amicizia, nata ai tempi dei miei studi sulla pittura ligure: il nonno di Cesare, suo omonimo, era infatti il pittore più noto della Belle Epoque genovese. Con l'amico Cesare prendevamo il sole alla rotonda di via Corsica e, da giornalisti in pensione, riandavamo spesso al passato. Ricco di un ottimo aspetto, di una voce profonda, pastosa e di una invidiabile cultura, Cesare avrebbe potuto essere un conduttore Tv di primissimo piano;  la carriera lo aveva invece portato a compiti organizzativi. Il fatto è che l'amico non amava farsi avanti, gli importanti incarichi li aveva ricevuti senza averli sollecitati: ci teneva a precisarlo e si capiva che era orgoglioso del proprio rigore morale. Considerava suo maestro, nella professione, un altro grande genovese della Tv, Emilio Rossi, che fu gambizzato dalle BR. Ora, sicuramente, stanno facendosi compagnia.

venerdì 27 luglio 2012

Tortora

Feci conoscenza con Enzo Tortora in un momento poco felice per lui: cacciato dalla Rai, faceva l'inviato della "Nazione". C'incontrammo a un processo a Milano, poi lo rividi la mattina dopo mentre ritornavo al Palazzo di Giustizia. Gli dissi: "Vorrei vedere come hanno pubblicato il mio articolo di ieri, ma dove lo trovo, il "Decimonono", a Milano?". Attraversò la strada, andò a un'edicola e ritornò con il giornale che cercavo. Me lo porse dicendo: "Anche tu non ti sottrai al pessimismo genovese...E' proprio un antico vizio...". Quel suo gesto affettuoso è un gradevolissimo ricordo.  La tragica odissea di Tortora, che fu colpito da folli accuse di traffico di droga, è ritornata alla ribalta l'altra sera, su "Rai Storia", quando Minoli ha ricostruito l'allucinante caso, che si concluse con l'assoluzione piena. Il programma ha rafforzato la mia stima per Tortora che però non è condivisa da tutti: mi è capitato di discuterne e di ricevere domande alle quali, sul momento, non ho saputo rispondere. La più intrigante riguarda la donna che conviveva con Tortora al momento dell'arresto: perché, nelle ricostruzioni giornalistiche e televisive, non compaiono mai sue interviste e neppure si parla di lei? La risposta certamente esiste ma io, finora, non l'ho trovata.

sabato 21 luglio 2012

Borsa Nera

La gogna mediatica che oggi tocca agli evasori fiscali, ai tempi della seconda guerra mondiale era riservata a coloro che praticavano la Borsa Nera, che consisteva nel vendere sottobanco alimenti sottratti alla ferree leggi del razionamento. I borsari neri (nome ispirato dal Corsaro Nero di Salgari) viaggiavano per lo più sui treni, allora composti da carri bestiame; nelle stazioni gli agenti fingevano di non vedere i loro enormi fagotti; dopo tutto quel commercio aiutava la gente a non morire di fame. Sui  carri  bestiame viaggiavo spesso anch'io, con la mia famiglia e con una borsa di pelle nera che conteneva i pochi preziosi di casa. Ogni tanto mia madre, preoccupata, ci chiedeva: "Avete preso la borsa nera?". La domanda suscitava reazioni stizzite dei contrabbandieri, che sibilavano "Stai zitta, vuoi farci arrestare?". L'equivoco finì quando i preziosi furono venduti ed io mi trovai due enormi buchi nelle suole. A quel punto andammo da un parente, Pirèn Illari, che fabbricava scarpe ma aveva la sua piccola industria ferma per mancanza di pelli: la borsa si trasformò in un paio di scarpe nuove per me.  A scanso di consumi eccessivi, le suole erano ricoperte di bullette: quando entravo in chiesa facevo tanto di quel rumore che il prete all'altare si voltava per vedere se erano arrivati i tedeschi.

domenica 15 luglio 2012

Al mare

E' cominciata la nuova stagione balneare: per la nostra famiglia significa il trasferimento a Pietra Ligure, in una vecchia casa del centro storico. Saranno (speriamo) due mesi tranquilli, non prevediamo che siano diversi da quelli che abbiamo vissuto negli ultimi cinquant'anni. Nella mia vita ci sono state stagioni estive ben diverse, al limite del rischio e dell'imprevedibilità: ricordo quella del 1943, in piena guerra; andavamo in spiaggia, a Chiavari, sfilando in mezzo alle betoniere che costruivano il "Vallo Mediterraneo", un sistema di bunker anti-sbarco. Si occupava di quello sbarramento, che poi si sarebbe rivelato inutile, una Organizzazione Todt, tedesca, della cui efficienza si dicevano mirabilia.   Sul mare ondeggiavano enormi chiazze di nafta delle navi affondate e qualche volta le onde portavano a terra i corpi delle vittime dei siluramenti. Arrivava allora un picchetto di soldati a rendere gli onori militari, anche se spesso si ignorava la nazionalità dei poveri morti. Ritornai sulla stessa spiaggia nell'estate del '45 e il percorso si rivelò ancor più avventuroso: le strade di accesso erano ancora minate e si doveva camminare su stretti sentieri delimitati da nastri. I bunker ormai abbandonati ci ricordavano a ogni istante la guerra appena finita. Nonostante tutto, riuscivamo a divertirci: eravamo giovani, spensierati e pieni di speranza. 

lunedì 9 luglio 2012

L'autorete

Il gol fantasma (era dentro, era fuori?) ha fatto la sua comparsa anche all'Europeo e ha convinto i maggiorenti del calcio che è ora di mettere i sensori sulla linea di porta. In fatto di gol non visti sono un esperto, posso vantarmi di essere stato il solo, fra i trentamila spettatori di una partita (più i giocatori e la terna arbitrale) a scorgere un pallone finito oltre la linea. Accadde molti anni fa, allo stadio di Marassi, dove giocava l'Inter contro una delle squadre genovesi. Non posso essere più preciso perché non ricordo altri particolari, se non che il portiere nerazzurro si chiamava Sarti. Io ero capitato in un posto di gradinata dal quale si vedevano, in un'unica riga, la linea di fondo, la traversa e la linea di porta. Era proprio un punto di vista privilegiato: me ne accorsi quando, in un mischia in area, Sarti riuscì a parare,  ma si trovò di fronte a un avversario che lo bloccava. Allora, con un braccio, lanciò il pallone a un compagno. In quell'istante vidi chiaramente che il portiere, prendendo lo slancio per il rinvio, con la mano che teneva il pallone aveva superato nettamente la linea di porta. Era una chiara autorete. Schizzai in piedi e gridai "Gol!". Gli  spettatori più vicini a me mi guardarono come se fossi matto: le mie spiegazioni furono inutili, nessun altro si era accorto dell'errore di Sarti. La partita continuò e l'Inter vinse.

martedì 3 luglio 2012

Il ragno

Il nome della località mi è sfuggito, ma mi è rimasta impressa una notizia apparsa in Tv: la costruzione di un centro commerciale è stata sospesa perché in quel terreno c'è una rarissima colonia di ragni coccinella, una specie che gli esperti definiscono in via d'estinzione e destinata a non sopravvivere a eventuali trasferimenti. Bene, l'altro giorno vado in circonvallazione a monte e, mentre aspetto il bus a una fermata, chi ti vedo sulla ringhiera  che delimita la strada? Un ragno coccinella, con i suoi puntini neri sul dorso rosso. Secondo me mi stava guardando con aria ostile, così gli ho dato un buffetto per farlo volare nel giardino sottostante: niente da fare, ha tirato un filo e dopo un minuto era di nuovo sulla ringhiera. Mi sono detto: "Se è un insetto così raro, quasi quasi telefono alla protezione animali per segnalare l'avvistamento, tanto di lì il coccinella non si muove". Poi però ho pensato: "Va a finire che accusano la fermata del bus di disturbare e l'aboliscono". Ho avuto pietà degli utenti. E il ragno? Che s'arrangi. P.S. Ho letto su internet che, in Inghilterra,  un'altra colonia di ragni coccinella è stata trasferita senza danni a parecchi chilometri di distanza. Ora gli ecologisti diranno che quella è una sottospecie nomade: il ben noto "coccinella globetrotterus".

mercoledì 27 giugno 2012

Mezzo vino

Il gran caldo mi fa pensare alla campagna emiliana, uno dei regni della mia infanzia. Nei poderi di mio zio Andrea - il Follo e i Filagnoni - non si coltivava grano, tutta la produzione era incentrata su frutta e ortaggi. Nonostante questo, si evocavano spesso le fatiche dei mietitori, appena alleviate dal fazzoletto in testa (una specie di bandana) e dal mezzo vino contenuto nelle damigianette da cinque litri, conservate al fresco dei fossi. "Pensate a quei poveretti che fanno i covoni con la falce, voi almeno state all'ombra" ci diceva lo zio, mentre riempivamo di pesche le cassette. Il giorno dopo, però, il sole bollente toccava anche a noi, perchè dovevamo raccogliere i pomodori perini e lì non c'erano, a proteggerci, le chiome degli alberi. A noi ragazzi quel vino annacquato non spettava, ma l'assaggiavamo di frodo quando lo preparavano nelle cantine: il suo gusto ci sembrava delizioso. Ripensando a quel mondo, ho tentato un esperimento per placare l'arsura continua di questi giorni: ho fatto la mezza aranciata, dividendo in due bottiglie il contenuto di una e aggiungendo acqua. Con mia grande sorpresa, ho ottenuto una bevanda gradevolissima, leggera e dissetante. La saggezza del nostri nonni contadini si è rivelata più che mai attuale.

giovedì 21 giugno 2012

Ada Cenni

La settimana scorsa un necrologio sul Decimonono ha ricordato che, quel giorno, Ada Cenni avrebbe compiuto cent'anni. Ada è scomparsa da tempo, come il marito Renato, pittore, giramondo, cineasta e scrittore. Erano una coppia perfetta, lei nei quadri di Cenni compare con un cappellino Belle Epoque e la veletta: un'affascinante modella.  Fuggirono insieme dall'Italia, ai tempi del fascismo e della guerra, lui "anti" e libertario, lei decisa a seguirlo ovunque. Vissero a Parigi e rientrarono quando Badoglio richiamò gli esuli. Ai posti di controllo della frontiere c'erano ancora i vecchi ordini di cattura, così Cenni finì per un po' in cella insieme a un altro ricercato, Giuseppe Saragat, futuro Presidente della Repubblica. Per farla breve, dopo la guerra l'Inps convocò Ada Cenni per dirle che, come esule antifascista, aveva diritto a una pensione speciale. Lei rifiutò: "Non voglio- disse - monetizzare i miei ideali". Il direttore la portò davanti agli sportelli e l'additò alla gente in coda: "Guardatela bene, non vi capiterà più: al contrario di voi, lei la pensione non la vuole!". "Ero rossa di vergogna" ricordava Ada. Quando morì Renato, mi regalò il portacenere del marito, accanito fumatore. E' una civetta di bronzo, un caro ricordo nel cassetto.

venerdì 15 giugno 2012

Biglietti

A Genova, l'ascensore pubblico che porta dalla centralissima via XX Settembre al soprastante corso Andrea Podestà costa ottanta centesimi a corsa. Il tragitto dura circa dieci secondi, dopo i quali il biglietto non serve più a niente. Il biglietto del bus, invece, costa un euro e cinquanta e dura cento minuti. Facendo le dovute proporzioni, il biglietto bus da seimila secondi dovrebbe costare seicento volte il prezzo dell'ascensore, cioè 480 euro. Viceversa, se il biglietto dell'ascensore da dieci secondi avesse un prezzo proporzionale a quello del biglietto bus da seimila secondi, costerebbe meno di un centesimo: una tariffa che non si può neppure pagare, per mancanza di monete adeguate. Vogliamo lasciare il biglietto dell'ascensore a 80 centesimi? Benissimo, allora allunghiamone la validità: proporzionalmente dovrebbe durare un'ora, il tempo di andare al mercato Orientale e ritornare. Particolare interessante: l'ascensore in questione è presidiato quasi costantemente da un controllore che dà la caccia ai portoghesi. Tutto questo mentre, sui bus, chi timbra il biglietto viene guardato con stupore.

sabato 9 giugno 2012

I mattoni

Nessuno l'ha scritto, che io sappia, ma il recente terremoto nel Modenese è stato soprattutto una Caporetto del mattone: le riprese televisive hanno mostrato intere facciate in laterizio finite sull'asfalto mentre i soffitti ancora resistevano; torri e campanili squarciati da irrimediabili ferite diagonali; case sbriciolate senza alcun resto di strutture portanti. E dovunque mattoni, mattoni, mattoni. Il mio pensiero di ex archeologo è andato subito ai resti di abitati dell'epoca romana che mi è spesso capitato di visitare: lì la situazione è del tutto opposta: gli edifici in pietra sono ridotti a muretti ad altezza di ginocchio, mentre le costruzioni in laterizio sono sempre le più conservate; specialmente i templi dedicati alla triade Capitolina, realizzati con mattoni larghi e sottili. E' stata questa differenza di forma a segnare i diversi destini delle costruzioni antiche e di quelle moderne? E' probabile: il mattone pieno, nella forma attuale, possiede una grande resistenza alla pressione verticale, ma sotto spinte laterali sembra slegarsi troppo facilmente dalla malta che dovrebbe tenerlo a posto. La lezione dei costruttori romani - più strati d'impasto e mattoni più sottili - è forse ancora attuale.

domenica 3 giugno 2012

Vento

Quando Domenico Modugno attaccò "Volare", il mondo gli andò dietro, in coro. E' certamente la canzone italiana più tradotta e anche la più longeva nei gusti del pubblico. Chi la canta non ci pensa, ma in quel momento sta rinverdendo le aspirazioni di Icaro, di Leonardo da Vinci, di Lindbergh e di tutti coloro che, nei secoli, hanno invidiato gli uccelli. Da ragazzi, quelli della mia generazione non conoscevano  "Volare" che era di là da venire; cantavano però una canzone analoga, che diceva "Vento, vento, portami via con te, raggiungeremo insieme il firmamento, dove le stelle brillerano a cento.,,, Vento, vento, portami via con te!". Era una canzone da tenore, mi pare che facesse parte del repertorio di Tito Schipa. Quell'idea di una folata capace di portarci in alto nel cielo ci affascinava, ma dovevamo fare i conti con lo scetticismo delle femmine nostre coetanee, che preferivano compagni con i piedi in terra e senza testa tra le nuvole. E' da quella parte che giunse la parodia: "Vento, vento, portami via il cappello, così la mamma me ne compra uno più bello...". Inguaribilmente scettiche, ma anche sempre pronte a tener d'occhio la moda. Allora, "la cappellina" era ancora un obbligo, per le signore.

lunedì 28 maggio 2012

Condominio

Me ne raccontano di tutti i colori e io me le fisso in mente, anche per tenere aggiornato il mio blog sugli umori della fauna umana. Sentite questa: il mio amico Mimmo abita in un condominio di Sestri Ponente che ha dimensioni abbastanza impegnative e fa registrare costi di amministrazione in salita. Così, in assemblea, è nata la proposta, accolta con entusiasmo, di dar vita a un volontariato dei condomini per eseguire almeno i lavori di piccola manutenzione, in modo da addebitare in bilancio le sole spese del materiale occorrente. L'idea ha avuto un avvio abbastanza favorevole, ma l'altro giorno, uno degli abitanti del caseggiato ha scritto al comitato questa lettera: "Nel nostro parcheggio c'è una lampadina bruciata da almeno quindici giorni. Evidentemente il volontariato dei condomini non funziona!". Mimmo ha risposto in stile kennediano: "Non chiedere che cosa può fare per te il condominio, chiediti che cosa puoi fare tu per il condominio". Io, francamente, avrei piuttosto invitato il reclamante a svitare la lampadina e a farne un uso inappropriato; rammaricandomi che non fosse ancora bollente. Ma Mimmo è un buono e certe cose non le pensa neppure.

martedì 22 maggio 2012

Il conto

Un amico racconta: "Vado al supermercato, prendo poche cose, le dispongo sul tapis roulant della cassa e metto davanti e dietro due barre distanziatrici. Il cassiere è un principiante, agitatissimo. Chiede in continuazione consigli ai colleghi. Quando viene il mio turno mi vedo arrivare, oltre alla mia roba,  altri prodotti. Dico "Alt, queste cose non sono mie". Il cassiere protesta: "Non c'era il distanziatore!". Interviene la signora in coda subito dopo di me: "L'ho tolto io, mi serviva spazio...". Il cassiere chiama il capoturno che arriva con la chiave della cassa, brontolando: "Dài, fai lo storno: no, non così, devi schiacciare il tasto ogni volta. Ricomincia...". I barattoli da stornare passano davanti al lettore ottico tre o quattro volte. Alla fine, ecco il conto: quindici euro e quaranta centesimi. Pago, ma controllo lo scontrino: in realtà la mia roba costava poco più di sette euro. A quel punto mi dico: "Questo cassiere è certamente in prova, chissà che fatica ha fatto a trovare un lavoro. Se pianto la grana, magari non lo confermano. Ne vale la pena per otto euro? Proprio no". Così me ne sono andato e ho pure sorriso alla candida signora che mi aveva messo nei guai". E' una storia dei tempi bui, che fanno venire anche questi scrupoli.       

mercoledì 16 maggio 2012

Carabinieri

Sono cittadino onorario di un piccolo centro del Viterbese, Canino. La gente di là, simpatica e spiritosa, si prende in giro da sola per l'abitudine dialettale di mettere tutto al femminile: i carabinieri, che dovrebbero essere l'immagine somma della virilità, laggiù sono "le carabbignere"; se poi sono baffuti, sono "le carabbignere con le baffe". Proprio di carabinieri più o meno baffuti vorrei scrivere oggi, perché mi sono imbattuto in una notizia che non mi piace affatto: cento carabinieri e cento cavalli sono stati spediti a Londra per partecipare a un carosello in onore della regina Elisabetta, che celebra la sua permanenza record sul trono. Quanto saranno costati, alle tasche semivuote degli italiani, quei cento cavalieri in trasferta? Ho l'impressione che i nostri governanti siano pronti a piangere miseria quando si tratta di spendere per le necessità interne del Paese, mentre si lasciano tentare di mostrare all'estero una "grandeur" italiana che non esiste più da un pezzo. Scommetto che i nostri compagni di sventura - Spagna e Grecia - hanno mandato alla Regina un affettuoso telegramma. Mi voglio rovinare, forse hanno spedito anche un bel mazzo di fiori. Altro che caroselli.

giovedì 10 maggio 2012

Mohammed

Quando l'Italia fu sconfitta in Africa Orientale, gli equipaggi di cinque cacciatorpediniere che si trovavano nel porto di Massaua salparono le ancore, pur sapendo di essere ormai intrappolati nel Mar Rosso. Tre di quei caccia scelsero l'autoaffondamento, due si lanciarono invece in un attacco suicida contro Port Sudan, all'estremità meridionale del Canale di Suez. L'aviazione inglese li intercettò e li distrusse. Rimase, in mezzo al mare, una lancia stracarica di sessanta superstiti, con l'acqua che sfiorava i bordi. Fuori, aggrappato come poteva, c'era un sessantunesimo naufrago, un marinaio eritreo che si chiamava Ibrahim Farag Mohammed: riuscì a resistere tutta la notte, rifiutando le offerte di cambio che gli facevano i compagni di sventura; al mattino, ormai stremato, salutò il comandante e se ne andò a nuoto, a morire da solo. Gli altri si salvarono e poterono raccontare quel che era accaduto: Mohammed ebbe la medaglia d'oro alla memoria. Quando mi capita di rileggere questa storia mi faccio mille domande sul naufrago solitario: che cosa c'era in lui? Eroismo, orgoglio personale, fierezza tribale, spirito di solidarietà, fatalismo o soltanto disperazione? La risposta è in fondo al mare.

venerdì 4 maggio 2012

Sabbatella

Il mese scorso è scomparso a 86 anni l'ex calciatore argentino Mario Sabbatella, che era nel cuore dei tifosi sampdoriani per aver mandato in serie B il Genoa con uno storico gol. Sabbatella, che giocava negli anni Cinquanta all'ala sinistra, aveva un suo straordinario modo di mulinare le gambe: era veloce e possedeva un tiro fortissimo, ma l'apice della sua carriera durò poco. Se ne andò dalla Samp, non ebbe gran fortuna altrove e tentò il ritorno a Genova. La dirigenza blucerchiata gli disse che, prima di firmargli un nuovo contratto, voleva vedere le sue condizioni fisiche e lo schierò in una partita non ufficiale. Quel giorno facevo il segnalinee e mi toccava tener d'occhio proprio la linea d'attacco con Sabbatella, che a un certo punto scattò a modo suo, con le gambe in movimento vorticoso. Purtroppo il compagno che aveva il pallone ritardò il lancio e il "Sabba" finì in fuori gioco di mezzo metro. Alzai la bandierina e il pubblico rumoreggiò perché avrebbe voluto rivedere il campione in volo verso la porta. Sabbatella mi guardò amareggiato, gli feci segno che non ci potevo far niente. Non ebbe altre occasioni, uscì a capo chino e il contratto non si fece. Chissà, se non avessi alzato la bandierina...Dopo tutto non era una partita di campionato... Scusami, Sabbatella.

sabato 28 aprile 2012

Mazzini

Sono uno dei pochi rimasti al mondo che hanno visto Giuseppe Mazzini, l'apostolo dell'unità d'Italia. Ho visto la sua salma nel 1946, molti anni dopo il decesso, avvenuto nel 1872. Era praticamente intatto, grazie a un processo di "pietrificazione" che uno scienziato famoso, Paolo Gorini, aveva realizzato con lunghi interventi sul corpo del protagonista del Risorgimento. Dopo il trattamento, il cadavere era stato chiuso nel sarcofago e Gorini aveva prescritto che la riapertura non avvenisse prima di cent'anni. Nel '46, però, quando si svolse il refendum istituzionale, la nascita della Repubblica tanto vagheggiata da Mazzini indusse i Seminatori Mazziniani, custodi della tomba, a trasgredire alle disposizioni di Gorini: così il corpo fu esposto per un paio di giorni nel cimitero di Staglieno. Andarono a vederlo in molti e nella lunga fila c'ero anch'io, appena tredicenne. I Seminatori - personaggi in avanzata età, vestiti di nero, con barba e baffi - mi guardarono con diffidenza, ma mi lasciarono passare. Il grande cospiratore, l'uomo che aveva fatto tremare il trono sabaudo, mi sembrò un vecchietto innocuo, troppo piccolo per la bara che lo custodiva. La sua vera grandezza era nella Storia.

domenica 22 aprile 2012

Il ritorno

Il tema dell'emigrazione è di grande attualità, ma ci si sofferma più sulle partenze che sui ritorni. L'altro giorno mi è riaffiorato nella memoria un episodio di tanti anni fa: mentre stavo pranzando al ristorante "Cavallo grigio" di Silvano d'Orba, la padrona del locale, la signora Maria, mi disse sottovoce: "Vede quei due al tavolo d'angolo? Quello a destra è uno di Silvano che, dopo quarant'anni, è ritornato dall'America. Mi ha detto che voleva offrire un pranzo a uno della sua età rimasto sempre a Silvano. L'ho trovato, ma non si erano mai conosciuti. Temo che rimanga deluso...". La conversazione al tavolo, infatti, andava avanti a stento. Poi arrivò un vecchio fisarmonicista che attaccò, con la voce e con il suono, una canzone degli emigranti che non avevo mai sentita. La musica era bellissima, le parole evocavano una fanciulla dai capelli "color dell'or" e facevano rimare "nostalgia" con "patria mia". L'"americano" si rianimò, quella canzone la sapeva anche lui e la cantò, con il volto arrossato dall'emozione e forse anche dal vino. Andarono avanti a lungo, poi l'uomo pagò il conto e salutò. Ebbi la sensazione che avesse sciolto un voto, fatto chissà quando e chissà dove.

lunedì 16 aprile 2012

Formaggio

Se vi dicono di pensare a un posto del tutto pulito e sterilizzato immaginate sicuramente una sala operatoria; io, invece, penso a un caseificio. Porto con me quell'impressione fin da ragazzo, quando mio zio Gino mi caricava sulla canna della bicicletta a motore (il Mosquito) e mi portava a fare il giro dei caseifici più prossimi al paese piacentino dove abitavamo. Era il mestiere di Gino, quello: andare nelle fabbriche del formaggio e del burro a vendere cagli, forme e reti per tirar su dalla vasca d'acciaio quel bianco ben di Dio. Lì tutto si presentava splendente: uno specchio, veniva voglia di togliersi le scarpe. L'odore di disinfettante, poi, sembrava addirittura gradevole. Tutto il contrario della fabbrica dello zucchero, nerastra e appiccicosa. Tra le pesantissime forme di grana scoprii che quel loro aspetto lucido e quei bordi bombati erano frutto di una accurata sbucciatura della superficie, proprio come si fa con una mela. Lo scarto del maquillage, una serie di sottili, gustosissime strisce, veniva donato ai clienti e ai visitatori. Oggi che si dice "regalare è morto e suo figlio sta male", chissà che fine fanno quelle bucce: probabilmente vanno a riempire i sacchetti del grattugiato.

martedì 10 aprile 2012

Emma

Nell'elenco delle bambine nate in Liguria, pubblicato dal Decimonono una decina di giorni fa, ce ne sono quattro che si chiamano Emma. Mi sono meravigliato perché ho sempre considerato quel nome un po' antiquato; uno scrittore lo sceglierebbe solamente per il personaggio di una zia. "Chi sono - mi sono chiesto - quei genitori dal gusto rétro? Fans della Bonino o della Marcegaglia? Altre Emme non ne vedo!". Invece un'altra Emma c'è, assai più giovane: la cantante Emma Marrone, vincitrice del festival di Sanremo di quest'anno. In definitiva, quelle quattro nascite sono una medaglia per la vecchia manifestazione ligure, la prova che, dopo tutto, l'Ariston sa ancora interessare ed emozionare. Galvanizzato, mi sono inoltrato nel pianeta Emma e ho scoperto che, negli Stati Uniti, quel nome è da parecchi anni sul podio della popolarità nei battesimi. Nel 2010 è stato superato solamente da Isabel e Sophia. Non vi dico gli altri perché sono di uno squallore totale, si salva la sola Madison. Altra scoperta, si chiama Emma la più grande portacontainer mai costruita. E ora un quesito in rima: meglio Elsa o meglio Emma? Se pensate alla Fornero, uscirete dal dilemma.

mercoledì 4 aprile 2012

Le orecchie

Alle istruzioni per far giocare un coniglio, di cui ho dato conto qualche tempo fa, possiamo aggiungere una direttiva europea vecchia di alcuni anni e spero mai applicata, che si proponeva di evitare che i maiali, costretti giorno e notte nelle porcilaie, sviluppassero istinti aggressivi, tanto da mordersi tra loro. Il pericolo di scoprire qualche buco deturpante nei pregiatissimi cosciotti destinati a San Daniele o a Parma, aveva indotto a cercare una qualche soluzione pacificatrice: così i funzionari europei, interpellati, suggerirono d'introdurre nelle porcilaie un po' di giocattoli, per far sì che i maiali si distraessero e la smettessero di azzannare il vicino. Più di recente, poi, dall'inesauribile teatrino dell'assurdo è piombata un'altra notizia da prendere con le molle: constatato che i nuovi sacchetti della spesa ecologici tendono a non reggere grossi pesi, si è concesso il ritorno alla plastica, ma solamente nei sacchetti definiti dalla disposizione "senza orecchie", del tipo, cioè, "usato nelle farmacie e nelle profumerie". Propongo a questo punto che gli altri sacchetti, equiparabili, come possessori di orecchie, ai maiali e ai conigli, ricevano a loro volta una congrua dose di giocattoli.

giovedì 29 marzo 2012

Le gambe

Le operaie della Omsa, pur di non perdere il lavoro, si sono rassegnate: invece di fabbricare calze da donna, tappezzeranno divani. Moltissime signore hanno rinunciato al tailleur e alla mitica falcata: inquartate in jeans e pantaloni, non hanno più bisogno di indossare anche i velatissimi accessori che tanto successo riscuotevano tra i passanti a rischio di torcicollo. Ora le donne si sentono più libere e comode, i giovani non sanno che cosa si sono perduti e noi vecchi abbiamo pur sempre la risorsa dei ricordi, un surrogato a bassissimo costo. Il ricordo di oggi è per un settimanale che usciva nel primo dopoguerra: si chiamava "Sette" ed aveva fissa, in copertina, una protagonista, disegnata da Boccasile, ricca di grazie messe in risalto, a cominciare dalle gambe con la riga delle calze; gambe bellissime e floride come quelle delle ragazze che andavano ancora in bicicletta. La vignetta della Signorina Sette variava ogni settimana e aveva un suo pubblico di tifosi, ma finì sotto sequestro perché infastidiva il ministro dell'Interno, noto democristiano. La risposta fu rapida, la settimana dopo in edicola c'era la Signorina Otto: ma il cambio di numero ruppe l'incantesimo e la rivista cessò presto le pubblicazioni.

venerdì 23 marzo 2012

Brodolini

Sono giorno importanti per la sorte dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello sui licenziamenti. Ricordo che quando passai, nel 1962, dall'impiego pubblico a quello privato. mi pesò molto il problema della minor tutela che avrei trovato nel nuovo posto di lavoro. Otto anni dopo, lo statuto equiparò di fatto i due tipi di rapporto e risolse i miei residui dubbi. Data la mia personale situazione, avevo seguito con molto interesse la difficile nascita del documento, che trovava parecchi oppositori proprio a causa dell'articolo 18. Il ministro promotore della legge, Giacomo Brodolini, socialista, stava morendo per un tumore e non lo teneva nascosto, anzi se ne faceva un'arma per spingere verso l'approvazione: "Fatemi morire contento" diceva e, con le residue forze che gli rimanevano, andava a cercare ogni giorno chi poteva aiutarlo. Si spense nell'estate del ''69, la legge porta la data del 20 maggio 1970. Credo che sia stata la sola norma approvata dal Parlamento più per pietà di un collega che per convinzione; e forse proprio questa insolita nascita l'ha resa più discutibile e vulnerabile di altre. Che dire... Preferirei che rimanesse immutata: penso infatti che non tutti i "padroni" siano brave persone.

sabato 17 marzo 2012

Grillo

Negli anni Settanta, chiusa la seconda edizione, si vagabondava per la città: la notte favoriva la guerriglia armata ed era quindi prudente non rincasare sempre alla stessa ora, a scanso di agguati. Con il grafico Umberto Torlizzi arrivavo fino a un locale di Nervi, "Da Simona al Nascosto". Andavamo molto d'accordo, Umberto ed io, a lui piaceva raccontare, a me ascoltare; io preferivo la forchetta, a lui bastava un bicchiere. C'integravamo, insomma. Erano i tempi del teatro "Instabile", un palcoscenico che lanciava artisti oggi famosi, allora agli esordi: leggendone l'elenco in un libro di Faloppi e Bottaro appena uscito, si scopre che molta intelligenza cabarettistica italiana passò di là. Qualche nome: Antonio Ricci, Bindi, Michele, Gino Paoli, i New Trolls... Da "Simona" veniva a far battute e musica uno di quegli artisti, un tipo smilzo che si chiamava Beppe Grillo. Una volta intonò con un amico una canzoncina dei "Gufi", "Le coq est mort", ripetuta in italiano, francese, tedesco e latino. Ancor oggi mi capita di canticchiare "...il ne chantera plus, ni cocodì ni cocodà...". Evidentemente, allora qualcosa mi colpì: il gallo morto, i Gufi o Grillo? O quel curioso insieme di nomi zoologici?

domenica 11 marzo 2012

Dentelli

"Per un'oliva pallida si può delirare": è una battuta d'una commedia andata in scena settant'anni fa a Genova. La commedia è ormai dimenticata, ma la frase ( parodia dei poeti ermetici) è rimasta e mi è ritornata in mente l'altro giorno, mentre mi chiedevo che cosa mi spingesse a fissare fino all'ossessione un'affrancatura da 60 centesimi appena acquistata in tabaccheria. Era un comune francobollo autoadesivo, da staccare da un rettangolino di carta e da applicare. Lo guardavo e mi dicevo "Ha qualcosa di strano", ma non riuscivo ad andare oltre. Alla fine ho capito: era illogico che quel francobollo avesse i dentelli. La dentellatura è infatti il risultato della separazione manuale tra i vari pezzi di un foglio perforato; il mio francobollo, invece, era arrivato nel suo nido cartaceo dopo una nascita singola: non avevo dovuto fare strappi per staccarlo, i suoi dentelli erano finti, tutti uguali e perfettamente arrotondati; e altrettanto finti erano i dentelli rimasti sul rettangolino di carta che l'aveva ospitato. Inventate da un inglese nel 1848, le utili forature dei fogli di francobolli sono diventate ornamenti. Ormai, soltanto i ravioli caserecci possono vantare autentici dentelli.

lunedì 5 marzo 2012

I chiodi

Mi ha scritto il figlio dell'ex Sindaco di Genova, Fulvio Cerofolini, alla cui scomparsa avevo dedicato un post il 9 giugno del 2011. Il figlio, Diego, mi ha narrato cose interessantissime, che fanno più che mai desiderare una biografia di suo padre. Mi ha colpito, in particolare, il racconto di come Cerofolini iniziò a lavorare: tutti lo chiamavano il sindaco-tranviere perché erano convinti che il suo primo incarico fosse stato quello di vendere biglietti in vettura; invece c'era stato un doppio prologo, prima un tentativo fallito di fare il minatore, poi l'assunzione presso un negozio di ferramenta, con il compito di recuperare i chiodi storti raddrizzandoli sull'incudine. Un inizio umilissimo, dunque, che nobilita ancor più il ricordo del vecchio sindaco. L'accenno ai chiodi storti mi ha riportato alla memoria i molti traslochi che hanno caratterizzato la mia vita: tanti anni fa non esistevano scatoloni e nastro adesivo, il contenuto di armadi e librerie viaggiava in casse di legno, che venivano inchiodate alla partenza e schiodate all'arrivo. La fase conclusiva comprendeva, appunto, il recupero e il raddrizzamento di tutti i chiodi: "Potrebbero servire di nuovo" dicevamo. E tutti assentivano.

martedì 28 febbraio 2012

Ambrogio

Chi, negli anni Novanta, stava già davanti alla Tv, ricorderà certamente uno spot pubblicitario che vedeva un solerte autista, Ambrogio, porgere preziosi cioccolatini a un'incontentabile contessa vestita di giallo. Lo spot aveva suscitato un malizioso movimento d'opinione, secondo il quale Ambrogio doveva, una volta o l'altra, gettar via il berretto con la visiera e possedere, volente o nolente, l'altezzosa signora. Quella variante sembrava irrealizzabile; invece, dopo tanti anni, scopro che. nell'Ottocento, un Ambrogio aveva effettivamente fatto conoscere le delizie del sesso a una diciassettenne futura contessa, portata in camporella a La Spezia. Il seduttore della minorenne, Ambrogio Doria, se l'era cavata perché a quei tempi le procure si occupavano di altro; lei, Virginia Oldoini, era stata sposata di corsa dalla famiglia al conte di Castiglione ed era divenuta la famosa "Nicchia", nel cui letto doveva poi realizzarsi, auspice Cavour e complice Napoleone Terzo, l'unità d'Italia. Ma anche dai magnanimi lombi di Ambrogio Doria qualcosa d'importante è giunto fino a noi: un suo discendente, Marco, è ora il candidato più forte nell'elezione del nuovo sindaco di Genova.

mercoledì 22 febbraio 2012

Farfalle

Come si colloca, culturalmente, la scandalosa "farfalla" di Belèn al Festival di Sanremo? Direi abbastanza lontana dalla "Farfalla di Dinard" cara a Montale e più prossima alla "Vispa Teresa": "La vispa Belèn / mostrò la coscetta / e poco più in su / gentil farfalletta...". La fragile abitante del Creato ha avuto, nel tempo, una certa varietà d'impiego, nel linguaggio e nella realtà: quand'ero giovanotto, un tizio "pieno di farfalle" era in realtà inseguito da cambiali scadute. Andando più indietro negli anni, ricordo addirittura farfalle per uso bellico: alle elementari, in piena guerra mondiale, facevamo esercitazioni per limitare i danni dei bombardamenti; ad esempio, imparavamo a neutralizzare gli spezzoni pieni di fosforo che si rompevano cadendo e s'incendiavano a contatto con l'aria (per spegnerli, bisognava immergerli in un secchio pieno di sabbia). Bene, una volta, durante quelle lezioni, ci mostrarono una farfalla esplosiva lasciata per strada da un sabotatore: si capiva benissimo che non era naturale, aveva piuttosto l'aria di un giocattolo perduto da un bimbo. Ancor più insidiosa, quindi. Forse, anche la farfalla di Belèn è un ordigno bellico: è stata l'arma segreta di un Festival traballante.

giovedì 16 febbraio 2012

Conigli

Se ritornassi a scuola e mi dessero come tema "I conigli della mia vita", non andrei oltre la paginetta: citerei un film in cui James Stewart aveva per amico un coniglio invisibile di nome Harvey, il Messer Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie e lo strafottente Bugs Bunny dei cartoni animati. Tutto qui, arrosti e "umidi" a parte. Apprendo ora dal Decimonono del 9 febbraio che c'è chi va ben oltre le conoscenze letterarie e cinematografiche. Un lettore scrive, infatti, di possedere un coniglio nano dal carattere scorbutico e chiede come deve regolarsi. Risposta, giochi con lui, ma non a casaccio: "Ci sono delle regole fondamentali - spiega l'esperto - per chi decide di giocare insieme al proprio coniglio, come ad esempio fornire sempre un segnale d'inizio e di fine del gioco, interrompere il gioco quando il coniglio è felice poiché ha appena ottenuto un successo e ha ancora molta voglia di giocare. Fare sempre giochi che il coniglio è in grado di eseguire nonché capire sempre il suo stato emotivo durante il gioco...Inoltre il gioco deve essere cambiato spesso, in modo che sia sempre diverso e interessante". Figlioletti annoiati e trascurati, datemi retta, travestitevi da conigli.

venerdì 10 febbraio 2012

La lezione

A Vienna si è aperta una scuola di sesso, con lezioni piuttosto esplicite. Se il signor Rocca fosse ancora tra noi mi direbbe: "Scià l'ha vistu?" (Ha visto?). Rocca era il factotum dei redattori del Decimonono: sbrigava piccole commissioni, in cambio di una mancia; andava sempre a piedi e per questo lo chiamavano Rocca delle Camminate: un divertente nomignolo che evocava la Rocca delle Caminate (con una sola emme) "buen retiro" del Duce. Rocca veniva al giornale anche a tarda sera; imprecando agli sprechi, faceva il giro delle scrivanie per spegnere le lampade dimenticate accese. Poi si sedeva e cominciava a raccontare. Scapolo, parsimonioso per principio, qualche volta non badava a spese: aveva un debole per gli amori mercenari, che consumava in un alberghetto del centro città. Una sera, mentre era in camera, fu convocato dall'albergatrice: erano arrivati due sposi in viaggio di nozze e si erano rivolti a lei per un consiglio, non sapevano "come si faceva". Quale miglior consulente del Rocca? Il nostro amico se l'era sbrigata suggerendo che la coppia assistesse alla sua "performance" e prendesse nota. "Ma non aveva vergogna, sciù Rocca?" "Ma io l'ho fatto pe' quelli povii figgieu!".

sabato 4 febbraio 2012

Infanzia

Ho sentito raccontare, in famiglia, di un bambino di due anni che, ricevuto in dono un libro con tante illustrazioni, ha cominciato a far scorrere la mano sulla copertina pensando che fosse un Ipad: quando le figure non si sono mosse è rimasto molto deluso. La tecnologia "touch screen" ha dunque raggiunto la più tenera infanzia, complici scriteriati genitori: a Napoli direbbero "A pucchiàcchiera in mano 'a creatura" e mi rifiuto di dirvi che cosa sia questa pucchiàcchiera. Ho superato comunque la deprimente informazione di cui sopra, grazie a due novità che mi sono giunte molto gradite. La prima riguarda quelle banche on line che sembrano entità eteree e impalpabili, come gli angeli: ebbene. una di esse è ritornata tra noi, aprendo banali ma rassicuranti filiali in muratura. L'altra notizia, analoga, rivela la conversione della libreria universitaria di Padova, titolare di un nutrito catalogo di ebook, cioè di libri leggibili solo elettronicamente: ora la libreria stamperà a richiesta, su carta, alcuni volumi di quel catalogo e aprirà anche un punto vendita "fisico". Sono posticini di normale lavoro che rinascono, alla faccia delle invenzioni stellari di Bill Gates e Steve Jobs.

domenica 29 gennaio 2012

Vallechiara

Una volta si diceva: "E' il periodo delle ciliege" oppure "E' il mese delle castagne". Sbiadito il contatto con la natura, anche i fim di Natale vengono bene per scoprire il succedersi delle stagioni: diciamo infatti "E' il periodo dei cine-panettoni". Quest'anno De Sica e la Ferilli hanno vissuto le loro avventure a Cortina, sulla neve, facendo molto meglio di Boldi, protagonista di un analogo film girato, qualche anno fa, sulle montagne invernali. Al primo posto in classifica, però, rimane (almeno a mio parere) un film "innevato" di tantissimi anni fa, che s'intitolava, nella versione italiana, "Serenata a Vallechiara" ed era stato girato nella celebre Sun Valley dell'Idaho. Quella pellicola arrivò da noi al seguito degli Alleati e portò con sè la prima ondata di gioia di vivere del dopoguerra: Sonia Henie danzava sui pattini da ghiaccio e tutto il resto erano sciate, intrighi amorosi da commediola, sorridenti equivoci: proprio roba da cine-panettoni. E allora, chi faceva la differenza? Direi senza esitare l'orchestra di Glenn Miller, impegnata al meglio nell'eseguire "In the Mood" e due canzoni che tutta l'Italia cantò per mesi: una diceva "Dimmi perché il vento la sera....", l'altra imitava il trenino delle nevi, il celebre "Chattanuga ciuf ciuf". De Sica, si procuri una gran bella canzone e io rivedrò la classifica.

lunedì 23 gennaio 2012

Asciugamani

Mia nipote Annalisa è stata in gita a Madrid ed è ritornata con la foto di un cartello a stampa esposto nell'albergo che l'ha ospitata. L'avviso è scritto in più lingue, ognuna preceduta dalla bandiera nazionale; nella foto si vedono il testo francese e quello italiano: il primo è del tutto normale, il secondo sembra scritto dal traduttore automatico di Internet. Dice esattamente: "Utilizzare il asciugamani responsabile. Non utilizzare il telo di rimuovere il trucco o scarpe pulite tuo. Evitare di utilizzare peraltri scopi che personale di essiccazione. Asciugamani lost rotto o sporcato da sviamento verrà addebitato sul conto del cliente e rese disponibili. A costo di € 6 per asciugamano interessati". Non avrei mai pensato che in Spagna il livello di conoscenza della lingua italiana fosse così basso: sarebbe il caso di allertare la "Dante Alighieri", l'istituzione che si propone di diffondere nel mondo il nostro idioma. Alla "Dante", che ha lanciato la campagna "Adotta una parola", potremmo proporre la variante "Adotta un cartello", così non saremmo più costretti a piangere sull'italiano assassinato dagli iberici. A proposito, sarà permessa, in quell'albergo, l'"essiccazione" delle lacrime con l'asciugamano?

martedì 17 gennaio 2012

Concordia

Al paese di mia madre, Fiorenzuola d'Arda, usano (o usavano) un'espressione piuttosto forte per commentare un accumulo di disgrazie su un unico malcapitato: "Al can rugnùs, ag va adré al muschi": il cane con la rogna è anche tormentato dalle mosche. La frase mi è ritornata in mente quando ho saputo del naufragio all'isola del Giglio: una nuova pagina nera da mettere sul conto dell'"italiano tipico" così come è visto in Europa. Più che indignarmi, il comportamento del comandante della "Concordia" dopo la sciagura mi ha sbalordito, anche se sono ben conscio che è finita l'epoca in cui il capitano considerava un onore irrinunciabile perire con la propria nave. Non era, quello, un uso perduto nella notte dei tempi: negli anni della scuola elementare, a Chiavari, avevo ogni giorno davanti agli occhi un quadretto con la fotografia del tenente di vascello Luigi Risso, medaglia d'argento, affondato con la sua torpediniera nel 1940. Quell'immagine ornava la mia aula perché Risso era il padre del mio compagno di banco, Stefano. Da allora, il mio immaginario considerava tutti i capitani di mare personaggi quasi mitici per il loro senso del dovere. Fino al 13 gennaio, alla vergogna del Giglio.

mercoledì 11 gennaio 2012

Non vedenti

Genova sembra aver rinunciato a creare proprie mostre d'arte: da un paio d'anni ospita infatti a Palazzo Ducale esposizioni di celebri impressionisti organizzate da Marco Goldin, uno specialista del settore. Visitatori a decine di migliaia. Quest'anno si è provveduto a portare alla mostra anche i non vedenti, per far vivere loro l'"atmosfera" della rassegna attraverso letture e musiche. Stranamente, nessun commento ha fatto seguito all'annuncio della straordinaria visita. Tutto l'opposto era avvenuto nel 1893, quando la città aveva sepolto sotto un cumulo di risate la proposta di allestire presso l'Istituto dei Ciechi l'annuale mostra della Promotrice di Belle Arti, priva da sempre di una sede propria. Il settimanale satirico "Il Successo" aveva pubblicato una finta lettera in rima d'un turista francese che descriveva alla moglie "les merveilles di Genes". Ne trascrivo una parte: "Ici, comme chez nous, il n'y a pas le Salon / pour faire de la peinture l'annuelle exposition / mais, chose surprenante!, et bien extraordinaire/ l'Institut des Aveugles est appellé à la faire./... Je voudrais bien la voir! Mais comment faire, helas? / n'etant pas un aveugle, je ne la verrais pas!". I genovesi di allora erano politicamente scorretti, senza dubbio; ma erano anche più attenti, geniali e vivaci di quelli odierni.

giovedì 5 gennaio 2012

Il ladro

L'ultimo dell'anno ho incontrato un ladro. Ero in casa quando ho sentito un forte rumore nelle scale: mi sono affacciato e ho visto che una delle porte sul mio pianerottolo era semiaperta. Un cartello avvertiva però che quell'ufficio era in ferie. Allora ho bussato ed è apparso sulla soglia un tizio che aveva un casco da motociclista in testa. Gli ho chiesto: "Scusi, che ci fa lei qui?". Mi ha risposto tranquillamente: "Sono qui per Francesca...Ma lei abita nel palazzo?". "Sì, ho sentito un rumore e sono venuto a vedere, con tutti i ladri che girano...". "E' colpa di questa porta che si incastra, adesso telefono". Il tizio si è messo ad armeggiare con il telefonino ed è rientrato nell'appartamento. Io sono rimasto fermo sul pianerottolo. Dopo mezzo minuto lo sconosciuto si è riaffacciato, mi ha visto e deve aver capito che il rischio aumentava. Così è tornato dentro, ha preso un sacchetto e ha gridato verso l'interno: "Allora, andiamo?". Nessuna risposta. L'invito è stato ripetuto con lo stesso risultato. Subito dopo il tizio, che aveva in mano un altro casco, forse appena rubato, si è avviato per le scale ed è sparito, lasciando la porta aperta. Io ho abboccato in pieno e sono rimasto ad attendere che il complice (inesistente) uscisse a sua volta. Quando mi sono reso conto di essere stato beffato non ho potuto far altro che chiamare la polizia.