martedì 25 settembre 2012

Virgilio Crocco

Il Sessantotto segnò anche l'ingresso della gioventù nel giornalismo. Le redazioni furono invase da "ragazzini"; alcuni, con faccia franca,  salivano in cattedra.  Un giorno del 1969 mi telefonò il redattore capo Macchi e mi disse: "Il "Messaggero" di Roma manda negli Usa due giovani inviati. Ora sono qui, ho parlato con loro e ho capito che hanno bisogno di qualche consiglio professionale. Te li mando, pensaci tu". "Ci vorrà molto tempo, quanti mesi mi dai?" chiesi scherzando. "Un paio d'ore". I due giovani vennero in redazione, erano proprio principianti ma pieni di buona volontà: li istruii soprattutto sul modo di trasmettere i servizi giornalistici, per telefono o con la telescrivente. Uno dei due mi colpì in modo particolare: si chiamava Virgilio Crocco, era un bel ragazzo, simpatico, elegante, dai modi garbati. Mandai a mente il suo nome, mi dissi "Ne sentirò riparlare". L'anno dopo Crocco incontrò Mina a una serata musicale; s'innamorarono e si sposarono. Nacque Benedetta, la sorella di "Paciughino". Poi il matrimonio da favola finì e Crocco trovò un altro amore. Partì, forse con la nuova fiamma, verso gli Stati Uniti, ma, nel Wisconsin, fu investito da un'auto e morì. La sua fu una breve vita felice, come quella di un personaggio di Hemingway.

mercoledì 19 settembre 2012

Sbragi

Di tutti, quando è il momento, si può dire "E' andato in cielo". E' una frase consolatoria, che però questa volta mi sembra non utilizzabile: devo infatti citare la scomparsa, a 91 anni, di Fioravante Sbragi, che in cielo ci andava tutti i giorni, da tempo immemorabile, come pilota di piccoli aerei. A Genova tutti ricordano quella volta che fece, via radio, un corso accelerato di atterraggio ai passeggeri di un velivolo il cui pilota si era sentito male. Quando le ruote toccarono finalmente la pista, chi assisteva dovette recuperare il cuore dai calcagni. Sbragi era sempre pronto a saltare sull'aereo, bastava dargli una telefonata. Nel 1965 lo chiamò il mio collega Zamorani: "Comandante, la "Raffaello" ha avuto un incendio in Atlantico, pare che stia rientrando a Genova, ma alla società Italia non vogliono darci altre notizie. Che dice, andiamo a dare un'occhiata?". "Andiamo" rispose Sbragi. Partirono con l'aeroplanino, fecero il Mediterraneo, superarono Gibilterra e finalmente videro il transatlantico che stava ritornando: la scia asimmetrica non lasciava dubbi, la nave  procedeva con un solo propulsore. Almeno quella volta, le cortine fumogene che la società di navigazione era solita stendere sui propri guai svanirono: le aveva spazzate via l'elica di Sbragi.      

giovedì 13 settembre 2012

Raiteri

E' scomparso giorni fa il dottor Giorgio Raiteri, che, nei cosiddetti "anni di piombo" genovesi, fu spesso al centro delle cronache: finì impantanato in quella terra di nessuno che stava tra la militanza ideologica e la reale partecipazione a fatti eversivi. Si fece tre anni di carcere, poi fu rilasciato e ritornò al suo lavoro di medico. Trovò posto, provvisoriamente, in un ambulatorio di San Martino e lì l'incontrai recandomi a una visita per un fastidioso disturbo. Aveva l'aria un po' assente, la rasatura trascurata. Ascoltò i miei sintomi, poi andò a frugare in un armadietto pieno di medicinali. Tirò fuori una scatoletta e me la diede: "Prenda queste pillole, le faccio la ricetta". Quando andai in farmacia a chiedere il rinnovo della medicina, il farmacista mi guardò stupito: "Sono anni che questo prodotto non è più in commercio!". Mi sembrò, in quel momento, di toccare con mano la vera pena del carcere, cioè la perdita dei contatti con il mondo esterno, il buio sugli aggiornamenti umani, sociali e anche professionali.   In morte di Raiteri sono apparse sul Secolo XIX necrologie fatte da amici che si sono firmati con il solo nome di battesimo. Capita spesso, per la verità, ma in questo caso l'assenza dei cognomi mi ha fatto pensare che certe vecchie storie scottano ancora.

venerdì 7 settembre 2012

Spadolini

Eravamo i soliti quattro gatti del turno di notte, quella sera del 1982: ogni ora facevamo il giro di telefonate alla polizia, ai carabinieri, al pronto soccorso; chi giocava a scacchi, chi a scopone. Improvvisamente entrò in redazione Giovanni Spadolini, allora presidente del Consiglio. Era venuto a Genova per una cerimonia e indossava eleganti pantaloni da tight. Si mise comodo su una sedia, accavallò a squadra una gamba e disse: "Oggi mi sono veramente annoiato, la politica non mi entusiasma. Parliamo un po' di giornalismo?". Era un conversatore amabile, in pochi minuti svariò dai ricordi del passato all'attualità della carta stampata. Sapeva tutto sui direttori in carica, compreso il nostro; si capiva che aveva nostalgia dei tempi in cui dirigeva "Il resto del Carlino" e, ancor più, il "Corriere della Sera". S'interessò anche alla tecnologia tipografica, parlammo della rivoluzione portata dai computers e della fine dei caratteri di piombo; delle meravigliose linotypes messe in pensione dalle stampanti su carta. Quando l'illustre ospite si congedò, lo chiamai "direttore" anziché "presidente", poi mi scusai della "gaffe". Si mise a ridere: "Non si scusi, è il mestiere che preferisco". Lo accompagnammo fino in strada e ci rendemmo conto che era solo, non aveva scorta.

sabato 1 settembre 2012

Uno sbadiglio

Con l'immatura scomparsa di Salvatore Orlando, avvenuta giorni fa, si è estinta una dinastia di armatori ed industriali legata alla storia del Risorgimento. Mazziniani, esuli dalla Sicilia borbonica, i tre fratelli Orlando - Luigi, Giuseppe e Paolo - si stabilirono a Genova, dove impiantarono, alla Foce, un grande cantiere navale. Passarono poi a Livorno, dove costruirono la più potente nave da guerra dell'epoca, la "Lepanto". A Genova nacque un comitato per onorare gli Orlando e, tramite un  neonato giornale, "Il Mare", si aprì una sottoscrizione per una medaglia d'oro. La raccolta superò le attese, tanto che il denaro avanzato fu distribuito tra gli operai poveri del cantiere livornese. Non ebbe invece successo il giornale, che cessò le pubblicazioni, lasciando disoccupata la tipografia, sistemata in un seminterrato di Salita San Gerolamo. La scoprì, passeggiando, Ferruccio Màcola, un giovane professore di francese che insegnava nella vicina via Caffaro, coltivava ferventi idee politiche e in cattedra si annoiava parecchio. Gli venne un'idea:"E se facessi io un giornale?". Cominciò così la sua  esistenza "Il Secolo XIX", il quotidiano nel quale ho lavorato per 28 anni e che compro ogni mattina. Una grande e longeva impresa nata da uno sbadiglio.