mercoledì 31 ottobre 2012

Finanziamenti

Ecco uno spaccato di come funziona, ai nostri giorni, il credito in Italia. Il signor Giuseppe ha bisogno di un'auto: ne trova una usata che fa al caso suo, concorda il prezzo e chiede un pagamento rateale. Il venditore s'informa preventivamente: "Lei ha subìto dei protesti? E' un lavoratore precario? In questi casi non potrà ottenere un prestito rateizzato dalla finanziaria". Risposta: "Ho un lavoro fisso da cinque anni e finora non ho mai fatto ricorso al credito". "E' il cliente ideale" pensa il venditore e inoltra la richiesta alla finanziaria, che però, dopo una rapida istruttoria, risponde negativamente. Venditore e acquirente, sbalorditi, sollecitano una spiegazione: "Il richiedente - replica la finanziaria - non ha mai fatto ricorso al credito, quindi non c'è la prova della sua propensione a pagare le rate d'un debito". I guai del signor Giuseppe non finiscono qui: la pratica andata a male ha anche provocato l'inserimento del suo nome in un elenco di coloro che sono stati "bocciati" da una finanziaria.  D'ora in poi ogni sua richiesta ad altri prestasoldi verrà inesorabilmente respinta. E sarà inutile spiegare il perché dell'inserimento nell'elenco. Risponderanno: "Può essere, ma è anche possibile che si siano apprese sul richiedente cose che noi ignoriamo. Meglio non rischiare".

giovedì 25 ottobre 2012

Il riso

L'altro giorno, al supermercato, ho visto una cosa insolita, una pila di sacchetti di riso da cinque chili l'uno. Mi è sembrato d'imbattermi nel simbolo dell'Italia come sarà tra quattro o cinque anni. Il commercio ha già capito che gli italiani stanno avviandosi per conto loro a una lotta incruenta che avrà come unico avversario il potente mondo economico cinese. L'uomo della strada ha fatto un suo ragionamento: la Cina ci invade di prodotti industriali a bassissimo prezzo perché la sua mano d'opera lavora quattordici ore al giorno, non fa ferie, mangia una ciotola di riso, indossa una casacchina blu e fa ginnastica in strada invece che nelle palestre. Tutte cose che potremmo fare anche noi, ritornando così a fabbricare a basso costo tutto ciò che ci occorre: il dragone cinese finirebbe sommerso dall'invenduto. Dovremmo però realizzare una cosa di segno contrario a quanto prescrivono i governanti di Pechino: loro obbligano le coppie a non avere più d'un figlio, noi dovremmo indurre i nostri sposi a farne almeno uno. Le mammelle decorative e i pancini senza gonfiori possono servire per far bella figura sulle spiagge e sui rotocalchi, ma hanno il segno del presente, non quello del futuro. (Ma guarda un po' dove va a finire uno guardando un sacchetto di riso. A proposito, costa tre euro e qualcosa).

venerdì 19 ottobre 2012

Cristiana

La trasmissione  Tv "La storia siamo noi" ha rievocato Gigi Meroni, che negli anni Sessanta era il calciatore più estroso della serie A. Lanciato dal Genoa, passato al Torino, riempiva le cronache con i suoi fantastici gol e con le sue stranezze esistenziali: capellone, barba lunga, si era fatto vedere in giro con una gallina al guinzaglio. Amava con totale dedizione una ragazza del luna park, Cristiana, che gestiva un tiro a segno. Mori giovanissimo, investito da un'auto nel 1967. Un paio di mesi dopo la disgrazia, un tifoso granata dalla mente instabile, convinto che la morte del suo idolo fosse solo una messa in scena, andò ad aprire la tomba, profanò la salma e portò un sacchetto di resti  in questura a Torino.  Ricevetti, al giornale, quell'orribile notizia e mi accingevo a riscriverla in modo accettabile, quando mi passarono una telefonata: era Cristiana, che si trovava a Genova con il suo luna park. Singhiozzando mi chiese conferma dell'accaduto, voleva particolari. Non mi sentii di darglieli, temetti,  conoscendo la sua grande storia d'amore, un gesto disperato. Mentii e divagai, riuscii infine a calmarla e a congedarmi da lei. Povera Cristiana, mi ha emozionato, dopo tanti anni, vederla sul teleschermo con i segni del tempo sul volto, ancora bellissima.

sabato 13 ottobre 2012

Il battipanni

Il portinaio m'interpella: "Lei che è di un'altra generazione, lo possiede un battipanni? L'avvocato tale mi mette a perdere perché gli tolga la polvere dai tappeti, ma mi manca lo strumento...". Faccio mente locale:" Sì, il battipanni l'avevo, era di giunco, ma l'ho eliminato nell'ultimo trasloco. Mi spiace...C'è però una donnetta che tutti i martedì batte i tappeti su un terrazzino del palazzo accanto... Provi con lei...". "Sì, la conosco, ma è difficile parlarle... Ho chiesto anche alla signora del quarto piano, si è messa a ridere e mi ha detto che ormai i suoi figli sono adulti, il battipanni non le serve più...". La spiritosa risposta mi ha aperto un orizzonte quasi storico: insieme al mattarello, il battipanni è al primo posto, ex aequo, tra gli strumenti domestici di uso improprio; un uso glorificato da decine di fumetti che hanno allietato la mia infanzia: Bibì e Bibò, gemelli terribili, venivano presi a mattarellate dalla Tordella e qualche legnata toccava anche a Capitan Cocoricò e all'Ispettore. Il battipanni era invece l'arma preferita di Petronilla, in perenne lotta con il marito Arcibaldo, refrattario alle manie di grandezza della consorte. Dalle mani di Petronilla il battipanni era poi passato a quelle di Paperino, alla caccia di Qui, Quo e Qua. Dio mio, quanta scorrettezza pedagogica e quante risate!

domenica 7 ottobre 2012

Portaborse

Il sindaco di Genova, Marco Doria, è stato aggredito per strada da un tizio che l'ha colpito (per fortuna in modo non grave) e ha cercato di strappargli lo zainetto. Che un sindaco giri con lo zainetto non è cosa da tutti i giorni: direi che siamo al cospetto della pietra tombale sui portaborse, caratteristici paria della giungla politica e protagonisti di infinite storie parlamentari. Una me la raccontò, molti anni fa, Mario Del Vecchio, caposervizio del Decimonono. Fin dai tempi della Resistenza, Del Vecchio era amico fraterno di Paolo Emilio Taviani, poi divenuto un potente ministro democristiano: gli faceva un po' da ufficio stampa e andava a salutarlo alla stazione quando rientrava da Roma per il fine settimana. Una volta, dopo i soliti convenevoli all'arrivo del treno, il ministro, forse distratto, allungò il braccio con la borsa verso l'amico, come per dargliela. Del Vecchio lo guardò addolorato e non la prese. Taviani fece finta di nulla, ma da quel momento tra i due amici calò un'impercettibile cortina di gelo. Il mancato portaborse capì che si era chiusa una porta e, lasciata perdere la politica, si dedicò unicamente al giornalismo. Era un caustico, disincantato napoletano e sapeva insegnare il mestiere ai giovani. Lo insegnò anche a me.   

lunedì 1 ottobre 2012

Sallusti

Gran rumore e grande scandalo perché il direttore responsabile del "Giornale", Sallusti, dovrà scontare una condanna per un articolo ritenuto diffamatorio. La levata di scudi mi sembra esagerata: ogni giornalista conosce le regole del proprio mestiere e deve sempre applicarle. Ho passato quasi trent'anni a soppesare notizie e parole per evitare la galera ai diciassette direttori che ho avuto. Oggi si fa meno attenzione (me ne accorgo da lettore) ma non è certo un fatto positivo. Nell'Ottocento, con un giornalismo incentrato sulla polemica più che sull'informazione, i direttori non ricevevano denunce, ma sfide a duello; quanto poi ai problemi con la Procura del Re, si era escogitata un'astuta soluzione, il "gerente responsabile". Questo gerente era un tizio di bassa estrazione sociale che riceveva una paga per firmare il giornale e incassava un'indennità extra per ogni giorno di carcerazione scontato a causa di un articolo fuori dalle righe. I processi a questi poveracci erano uno spasso: portato di fronte al tribunale, il "gerente responsabile" inforcava gli occhiali, fingeva di rileggere l'articolo e dichiarava, sempre con la stessa frase, di non trovarvi alcunché d'illecito. Perché fingeva di rileggere? Perché spessissimo era totalmente analfabeta.