mercoledì 21 agosto 2013

Oga Magoga

Temo che non leggerò mai il romanzo "Oga Magoga" scritto da Giuseppe Occhiato, scomparso nel 2010: mi rende lontana questa ipotesi la mole del lavoro (1785 pagine  in tre tomi) che si riverbera anche sul prezzo, circa sessanta euro. Nella mia vita ho letto poche opere di misura extra size, così a memoria ricordo Soffici, Pratolini e soprattutto Bacchelli con l'avvincente "Mulino del Po". Lascio però una porta aperta all'eventualità, perché mi attrae il linguaggio usato da Occhiato, un misto di italo-calabrese  che deve aver dato nuova linfa allo sfruttatissimo italo-toscano (Camilleri e D'Arrigo insegnano). Un'altra cosa che mi attrae nel libro di Occhiato è il titolo "Oga Magoga". Mi ha riportato con la memoria ai tempi in cui, giovane padre, cercavo di porre rimedio ai capitomboli e alle testate dei miei figli asciugando i loro lagrimoni e recitando una filastrocca abbastanza scema che diceva: "Oga Magoga, mio zio caporale, quando è guarito non fa più male". I bambini finivano per sorridere e dimenticare le disavventure. Ora, tramite il computer, ho scoperto che Oga Magoga deriva, addirittura, dall'Apocalisse di San Giovanni, che cita misteriosi e minacciosi popoli chiamati Og e Magog. Mamma mia, come scusarmi di quella filastrocca?

giovedì 15 agosto 2013

Il giallo

Il catalogo periodico della libreria antiquaria Bardini offre "Il delitto di vico Squarciafico", stampato nel 1920. E' una chicca bibliografica, probabilmente il primo libro giallo che sia stato scritto a Genova. L'autore, Gerardo Sileo, era un poliziotto, sicuramente più bravo nel suo mestiere che nei panni dello scrittore. Il libro tuttavia è di piacevole lettura e poi riferisce fatti veri. Ero geloso possessore di una copia di quell'opera  quando, parecchi anni fa, m'interpellò un amico libraio, Claudio Tassotti: "Lei ce l'ha il "Delitto di vico Squarciafico?". "Certamente!". "Allora senta: io ho un cliente che servo da molti anni. Ora, purtroppo, si è ammalato e ne ha per poco. Mi ha detto: "Sai Claudio, prima di morire vorrei rileggere "Il delitto di vico Squarciafico". Me ne procuri una copia?". Sto cercando per mare a per terra, ma non la trovo. Lei mi darebbe la sua?". Rinunciai al libro senza fiatare, si trattava di un doloroso caso umano. Passarono anni, poi un giorno il libraio mi disse d'aver trovato un esemplare del giallo di Sileo e me lo consegnò con mille ringraziamenti. Non ho più aperto quel volume, non vorrei guastare l'alone magico che lo circonda: quante altre opere letterarie hanno fatto venire a un moribondo la voglia di un'ultima lettura?

venerdì 9 agosto 2013

Il bar

Umberto Bossi è notoriamente capace di sfornare frasi destinate a fare costume: questa, per esempio: "La casa d'un uomo è dov'è il suo bar". E' il geniale capovolgimento del ritratto dell'uomo medio che frequenta il bar sotto casa: stavolta è il bar a dire dove l'uomo eleggerà il suo domicilio. Non so se gli inglesi, la cui religiosa frequentazione del "pub" è ben nota, abbiano le stesse priorità indicate da Bossi, comunque non me ne stupirei. Personalmente non frequento bar sotto casa e non ho scelto casa vicino al bar prediletto: il mio cuore ballerino mi vieta caffè e alcolici. C'è stato però un tempo in cui ogni mattina andavo a far colazione nel bar più elegante di Chiavari, il Defilla. C'erano la guerra e il razionamento, avevo diritto a mezzo decilitro di latte al giorno, non abbastanza per la mia fame. Avevo però scoperto che da Defilla continuavano a servire cappuccini: così,  prima di entrare nella scuola elementare lì vicino, tiravo fuori di tasca il mio tozzo di pane e mi concedevo, a un tavolino del bar, un'indimenticabile  pausa dolce e profumata, che lasciava anche una traccia: un po' di schiuma di latte sulla punta del mio naso. Dopo tanti anni, sentendo dire che gli stranieri in Italia stravedono per il cappuccino, li capisco perfettamente.

sabato 3 agosto 2013

Il ciuccio

Facciamo un po' di fantacronaca: "Un nostro lettore ci ha inviato una fotografia, scattata per strada, in cui si vedono una signora e il suo cane di media taglia. Al collare dell'animale è attaccato, con una catenella, un ciuccio, di quelli che si usano per far star buoni i bambini. Abbiamo interpellato un veterinario sulla possibilità che un cane possa usare un ciuccio. Ci ha dichiarato: "Escludo questa ipotesi. La conformazione della mandibola canina è tale che l'animale non può atteggiare le labbra come per dare un bacio, gesto che fanno i bimbi per ricevere e usare il ciuccio. Il cane, infatti, non bacia il padrone, ma, per esprimere affetto, lo lecca". La società per la tutela del cane ha confermato quanto detto dal veterinario, sottolineando la crudeltà della scelta di dare all'animale un oggetto che lui non può usare. Siamo allora riusciti a trovare la padrona del cane, che ha dichiarato:"Cosa volete, sono distratta. Ho dimenticato di togliere il ciuccio dopo che il bambino, per gioco, l'aveva attaccato lì". "Signora, per distrazione, non avrà anche dato un osso a suo figlio?". La risposta è irriferibile". Come dice la parola fantacronaca, questo è un testo giornalistico inventato. C'è una sola cosa vera: a Genova sta circolando un cane con un ciuccio attaccato al collare.

domenica 28 luglio 2013

Alpini

A Bergamo è morto il presidente degli alpini locali. Un vigile, anche lui alpino, ha regolato la folla presente al funerale tenendo in testa il cappello con la penna nera. E' finito sotto inchiesta per "divisa non regolamentare" e perderà  probabilmente dieci giorni di paga. Conoscendo gli alpini e il loro modo di pensare, sono sicuro che l'accusato dirà "Signorsì" e non si curerà più di tanto della punizione, nell'intima certezza d'aver fatto una cosa giusta; perché gli alpini sono  rigorosi nell'osservanza delle leggi, ma vivono di idee e di sentimenti assolutamente autonomi. Sono gente simpatica, con un fortissimo legame tra commilitoni. Le loro sezioni, piene di targhe e di foto evocative, sembrerebbero musei se non fosse che ad ogni ora del giorno risuonano di voci infervorate, che discutono temi del passato o di attualità. La silenziosa fratellanza di questi uomini con la penna nera è commovente. Mi raccontava un capogruppo: "Quando ci accorgiamo che uno dei nostri alpini versa in condizioni economiche disagiate, andiamo a casa sua e gli riempiamo il frigo". E' passata così nella vita civile la tradizione della sussistenza, della pagnotta, del rancio portato in trincea sotto le bombe. Dopo tutto, anche noi oggi siamo dei bombardati.  

lunedì 22 luglio 2013

Cantando

Una volta, passando per strada, si sentiva qualcuno cantare, ora non più. Il mio ricordo più antico di questa bella usanza risale ai primi anni Quaranta, quando il garzone di un negozio veniva nelle nostre scale e intonava "Un'ora sola ti vorrei" sperando d'intenerire una servetta che lavorava al terzo piano. Era una canzone d'amore contrastato ma speranzoso, divenne poi un tormentone antifascista, perché qualcuno immaginò di rivolgersi al Duce, reo dell'entrata in guerra. Ricordo poi i canti pagani e religiosi nei pellegrinaggi alla Guardia e le ottave malandrine dei miei operai sullo scavo archeologico di Vulci. Tutto finì con il karaoke, quando il canto divenne un impegno più che uno svago. Il "Corriere" dell'altro giorno ha citato le compagnie piemontesi che in quaresima andavano a "canté j'euv", a cantare le uova, per farsi offrire la merenda dai contadini. Anche al di qua dell'Appennino c'era un'usanza simile, ma a parti invertite: in Val Polcevera, infatti, erano i contadini ad andare a cantare di villa in villa nel periodo autunnale, per augurare buona fortuna ( con la speranza di una mancia) a chi si apprestava al rientro in città dopo le vacanze. Erano auguri dallo strano nome, "Cantegue". Oggi diremmo "canzoni a chilometri zero".

martedì 16 luglio 2013

Riposo Tv

Alla mia età è comprensibile l'abbiocco davanti alla Tv accesa: in tal caso, il sonnellino riesce meglio se il teleschermo non trasmette sparatorie. L'ideale è una partita di "snooker", con le palline del biliardo che fanno appena tac al contatto fra loro e s'infilano silenziosamente in buca. Forse sarebbe il caso di vergognarsi di questa fuga dagli spettacoli meno tranquillizzanti; mi conforta tuttavia apprendere, dal "Corriere Economia", che gran parte del popolo norvegese è della mia idea e ha inventato "la Tv più noiosa del mondo" basata su telecamere installate per ore su un treno, su lavori a maglia e all'uncinetto e su navigazioni nei fiordi. Il record di telespettatori è stato raggiunto da una stazione Tv che ha trasmesso un'intervista di trenta ore a un popolare autore di gialli. Di fronte a quest'ultima notizia ho trasferito l'attenzione dai gusti dei telespettatori agli autori di thriller: ho pensato infatti a mio figlio Claudio che  ha appena pubblicato il suo quarto giallo  ("L'enigma di Leonardo") ed è un tipico genovese taciturno: come se la sarebbe cavata di fronte a un'intervista di trenta ore? A un doge nostrano condotto a forza a Versailles fu chiesto che cosa lo meravigliasse di più in tutto quel fasto: rispose "Mi chi (io qui)". Tre secondi.

mercoledì 10 luglio 2013

Bambini

Da buon ipocondriaco,  leggo volentieri le rubriche mediche sui giornali, c'è sempre qualcosa da imparare,  sia dal lato positivo sia da quello negativo.  Ecco il caso di una mamma apprensiva che ogni sera fa l'aerosol con soluzione fisiologica alla figlioletta di 22 mesi al solo scopo di prevenire tosse e raffreddori. Chiede se fa bene. La pediatra titolare della rubrica le risponde consigliandole di sostituire l'aerosol con sistematici lavaggi nasali da praticare con un siringa, sempre con soluzione fisiologica: "Il lavaggio - prescrive -  va eseguito anche quando il bambino sta bene, almeno due volte al giorno. Se il lavaggio è ben fatto, il liquido inserito uscirà dalla narice opposta o, in caso di ipertrofia adenoidea, dalla stessa narice". Tutto questo per evitare qualche colpo di tosse o qualche sternuto. Mi è ritornata in mente la prima volta che uno dei miei figli (non ricordo quale dei tre) fece "eccì": era piccolissimo, mi guardò stupito, poi si mise a ridere della novità. Mi congratulo con me stesso per non aver acchiappato per la collottola due volte al giorno la mia prole per praticarle il lavaggio nasale e penso con profonda tristezza a quella creatura di 22 mesi presa tra l'incudine della madre e il martello della dottoressa. Che infanzia l'attende!

giovedì 4 luglio 2013

Esposito

Se l'avessi saputo in tempo sarei andato anch'io alla cerimonia organizzata in Albaro per ricordare i 35 anni dall'uccisione del commissario Antonio Esposito, vittima dei brigatisti. Il funzionario, quando fu assassinato a colpi di pistola su un bus urbano, era senza scorta e disarmato; eppure sapeva che i terroristi l'avevano nel mirino dopo che si era distinto nella caccia ai latitanti come componente della squadra politica torinese. Ma lui era fatalista e rassegnato, intuiva che il trasferimento al commissariato di Nervi, deciso per salvargli la vita, non sarebbe bastato. Lo conobbi  in una delle tante sere drammatiche del periodo più duro del terrorismo: era scoppiato uno stranissimo incendio nel parco di Villa Imperiale a San Fruttuoso e si parlava di attentato. Arrivai sul posto quando già i vigili del fuoco avevano concluso l'intervento; c'era la polizia, il parco era immerso nel buio, si sentiva odor di bruciato. Esposito, alle mie domande, allargò le braccia: "Dobbiamo aspettare - disse - se è un attentato ci sarà una rivendicazione". "Non abbiamo altri appigli - continuò - loro sanno chi siamo e dove siamo, noi no". Aveva la corporatura e il volto pacioso di un buon meridionale: un bersaglio troppo facile per dieci colpi sul bus.

venerdì 28 giugno 2013

La Bardot

La scomparsa di Gigi Rizzi, il play-boy che conquistò il cuore di Brigitte Bardot, ha riportato d'attualità Saint Tropez e il gruppo "des italiens" al vertice del gossip nell'estate 1968.  Degli  assalti a fortezze femminili dispostissime ad alzare bandiera bianca ricevevamo, al Decimonono, resoconti di prima mano grazie al nostro collega Nino Cavassa, che vantava una preziosa amicizia con Beppe Piroddi, sicuramente il numero due, dopo Rizzi, del "commando" italiano sulla più celebre spiaggia di Francia. Nino era chiamato Cavassino per distinguerlo dal padre, direttore del giornale. Proprio quell'ingombrante parentela era stata causa, secondo lui, della sua limitata carriera redazionale, non adeguata alle reali capacità. Al Cavassino, molto sensibile alle attrattive del gentil sesso, sembrò di toccare il cielo con un dito quando riuscì a raggiungere gli irresistibili italiani di Saint Tropez.  Aspettavamo il suo rientro con grande curiosità, gìà pronti a fare la tara al  suo "decamerone"; invece il collega ritornò deluso: "Saint Tropez? Un posto noiosissimo, stavo tutto il giorno a far niente...". "E la Bardot?": "E' una ragazzetta insulsa e scontrosa. Molto meglio le genovesi del Lido...". Lo coprimmo d'insulti, ci aveva distrutto un mito.

sabato 22 giugno 2013

Quel bottone

La fotografia ufficiale di Obama con il Presidente cinese in visita negli Usa ha mostrato i due statisti senza cravatta e con  il colletto della camicia aperto. Sembravano voler dire al mondo: "Siamo uguali, tra noi ci capiamo". Questo segnale affidato all'abbigliamento è molto diffuso anche tra i politici di sinistra di casa nostra, che mettono in evidenza il colletto slacciato nei vituperati (da Grillo) talk show e nelle apparizioni pubbliche. Nulla di nuovo sotto il sole, ai tempi della guerra fredda i militanti comunisti dichiaravano la loro fede portando baffi a spazzolone (è un'usanza ancora vitale, sebbene in declino); ai tempi del Sessantotto i contestatori affidavano invece il loro credo ai capelli alla paggio. I vecchi massoni usavano segnali più riservati, quando ti davano la mano premevano con un dito sul polso: se la pressione veniva restituita, il silenzioso riconoscimento era cosa fatta. Adesso questa faccenda del colletto slacciato allarma i produttori di cravatte: durerà per sempre? Si rassicurino,  armato di lente d'ingrandimento ho scrutato decine di foto sui giornali: ebbene, in molti hanno slacciato il colletto, ma nessuno, neppure il Presidente cinese, ha tolto il bottone e ricucito l'asola. Le cravatte finiranno per ritornare.

domenica 16 giugno 2013

La Darshanova

Al Decimonono di tanti anni fa era tenuto in gran conto Carlo Marcello Rietmann, un vero principe dei critici teatrali e musicali. Ascoltarlo narrare i suoi incontri con le più grandi firme dello spettacolo era un vero godimento; c'erano però colleghi scettici che non credevano a tutto e tramavano per far cadere Marcello in qualche trappola. Inventarono la Darshanova, danzatrice russa "il cui apogeo era coinciso con il crollo degli Imperi Centrali" e si misero a parlarne con fervore ogni volta che l'amico critico arrivava a portata d'orecchio. Marcello non interveniva,  si barcamenava con qualche "già" e qualche "eh, eh", come fa chi non vuole mentire ma neppure ammettere un'imperdonabile lacuna professionale. Il gioco andò avanti per alcune sere, finché un collega troppo fantasioso raccontò che la Darshanova, in età non più verde e ormai in pieno declino, era caduta in scena durante un'esibizione a Voghera. Prontamente rialzata aveva dichiarato ai giornalisti: "Né di giorno, né di sera danzerò mai più a Voghera!".  La rima fece scoppiare una risata generale e la finzione finì. Marcello non se la prese, anzi dichiarò : "Sapevo benissimo che la Darshanova non è mai esistita, stavo al gioco per vedere dove andavate a parare...". Forse era vero.

lunedì 10 giugno 2013

Don Gallo

Il silenzio di papa Francesco sulla morte di don Gallo è stato significativo. Sembra che il Pontefice abbia voluto sottolineare ciò che è mancato nella pur meritoria parabola esistenziale del  "prete di strada" genovese: il silenzio, appunto. In passato molti apostoli della carità hanno fatto del riserbo la loro norma di vita, ricevendo poi, in morte, la glorificazione delle loro benemerenze. A Genova c'è stato un grande esempio di questa assistenza nell'ombra, quello di Bianca Costa.  Don Gallo, invece,  sceglieva sempre il clamore, la provocazione. Certo, ne aveva necessità per procacciare sostegno alla sua opera di soccorso agli "ultimi"; sta di fatto, tuttavia, che finiva per trovare soprattutto sostenitori poco abbienti, parecchi dei quali applaudivano le sue esternazioni mirando a scopi diversi dalla carità cristiana. E poi, i bambini... Che cosa hanno imparato i bambini dalle incursioni verbali di don Gallo, dal suo procedere su un filo sottilissimo tirato tra l'ortodossia e la trasgressione, tra il sacro e il profano? Lo scomparso non meritava certo che gli si legasse al collo la macina che Cristo, nel Vangelo, destina a chi scandalizza i piccoli.  Ma qualcosa di più lieve credo che gli toccasse. Un cartellino giallo, insomma. L'ha avuto dal Papa?

martedì 4 giugno 2013

Franca Rame

Sfogliando il volume sulla storia del Decimonono, ho trovato la data del mio emozionante incontro con Franca Rame: era il 18 aprile del 1973, giorno della sentenza del Tribunale di Genova contro la "banda 22 ottobre", un gruppo di semidisperati che dovevano rispondere di un omicidio per rapina e di un sequestro di persona; il tutto per finalità "rivoluzionarie". Quasi brigatisti ante litteram, insomma. Dopo la severa sentenza, centinaia di persone che avevano assistito alle udienze del lungo  processo sottoponendosi alla trascrizione dei documenti d'identità, a perquisizioni, a riprese filmate, uscirono dal salone di Palazzo Ducale e si riversarono in piazza De Ferrari, gridando contro i giudici. Fu a quel punto che un po' più in là, vicino alla chiesa del Gesù, vidi  Franca Rame, anche lei uscita, come me, dal palazzo.  Sembrava in procinto di svenire: pallidissima in  volto, con le labbra tremanti, mormorava parole dure almeno quanto lo era stata la sentenza. La sorreggeva un giovane, forse un attore della sua compagnia. Nessun altro intorno a lei, non c'erano giornalisti con il taccuino o fotografi: era lo sfogo sincero di una donna - una bellissima donna - che viveva le sue convinzioni fino a somatizzarle, fino allo svenimento. Penso a lei con rispetto.

mercoledì 29 maggio 2013

Dove andiamo

Il sindaco di New York, Bloomberg, ha ammonito chi ha l'ambizione di fare costosi studi: "Vai ad Harvard, poi cerchi un posto adeguato al tuo sapere e scopri che quel lavoro lo sta già facendo un computer. Dammi retta, fai l'idraulico, ce n'è più bisogno". Il sindaco ha ragione, le tecnologie ci portano verso un nuovo Medioevo, con la distruzione della classe media che era un'invenzione dei tempi moderni. In futuro ci saranno solo ricchi e poveri, ahimè. A questo proposito, benemeriti studiosi sono andati a leggere gli elenchi dei deceduti a Milano tra il 1400 e il 1600, con le rispettive professioni: tanti ufficiali, magistrati, religiosi, sovrintendenti; ma anche focacciai, pollivendoli, uccellatori, distillatori, ammazzatopi, svuotapozzi, stufaioli, lavandai; e poi setaioli e allevatori di bachi, berrettai, calzai, drappieri e vellutieri; e, ancora, fabbricanti di cucchiai, cestai, vasai e produttori di aghi. Se Bloomberg avesse avuto a portata di mano questi elenchi (pubblicati dal "Corriere della Sera") non avrebbe esitato a rafforzare la sua tesi con  proposte ancor più  pittoresche  per i giovani del Duemila. Aggiungendo, magari, gli acchiappafantasmi e i cacciatori di "tornados", tanto per dare un tocco americano a questo "sol dell'avvenire" mondiale. 

giovedì 23 maggio 2013

Lo scoglio

Mi ha colpito in modo particolare la notizia secondo la quale lo scoglio che ha squarciato la chiglia della "Costa Concordia" ed è rimasto infisso tra le lamiere sarà "restituito" all'insidiosa secca del Giglio che tradì capitan Schettino. La decisione rappresenta il non plus ultra dello spirito ambientalistico prevalente nel mondo d'oggi e risalta ancor più se messa a confronto con quanto accadde nel 1887, quando un'altra nave passeggeri, l'"Umberto I", sfiorando un'altra isola,  Ventotene, entrò in collisione con un altro scoglio e vi rimase incastrata. Per fortuna la nave non aveva viaggiatori a bordo, andava ad imbarcarli a Napoli. Da Genova partirono immediati soccorsi e un bravo capitano d'armamento, che si chiamava Brizzolesi, con l'aiuto della marea e del traino di tre navi, riuscì a liberare l'"Umberto I" e a ripararlo. Dalla chiglia fu estratto uno scoglio di tre quintali che non venne restituito al mare, ma fu portato a Genova dove, munito di iscrizione commemorativa, rimase esposto nella sede della società di navigazione. Questo avveniva quando chi andava per mare pensava di sfidare una natura ostile, di vincerla e di farsene un trofeo. Oggi la natura è rimasta quella di allora, ma l'uomo non la sfida più, anzi, la idolatra.

venerdì 17 maggio 2013

Molo Giano

Nella sciagura del molo Giano è finita in pezzi anche la "Madonnina dei piloti", un'immagine che traeva origine da una tradizione di alcuni secoli fa. Sulle porte seicentesche di Genova avevano infatti  il posto d'onore statue della Vergine "regina e custode della città" scolpite da valenti artisti. Demolite nell'Ottocento le porte, le statue furono  salvate. Quella di porta della Lanterna, opera di Bernardo Carlone, trovò posto in un oratorio e vi rimase fino al 1937, quando la collocarono su un piedistallo proprio al molo Giano, a "protezione celeste" del porto.  Nel 1944 una bomba d'aereo la scaraventò in mare. Ripescata malconcia due anni dopo, venne restaurata dallo scultore Armando Del Sette e ritornò sul suo piedistallo (molti anni fa, Del Sette mi parlò a lungo di quel restauro, lo considerava l'evento più importante della sua vita artistica).  Nel 1997, costruita la nuova Torre dei piloti ora abbattuta, si progettò di ornarla con la veneranda immagine. L'Autorità portuale, però, prese una decisione che oggi sembra essere nata da un presentimento: fece eseguire e collocare nel posto previsto una copia della statua e mise al riparo l'originale in una sala di Palazzo San Giorgio. Là, d'ora in poi, ricorderà ai visitatori le nove vittime del molo Giano.

sabato 11 maggio 2013

Andreotti

La commemorazione di Andreotti (pagine e pagine di giornali, video interminabili) mi è sembrata, a dir poco, contraddittoria: troppe parole per sostenere, in tanti, la stessa cosa che mio nonno Filippo diceva, con sprezzante concisione, quando decedeva uno dei suoi nemici: "A l'era 'na carogna, da viv e da mort". Per un Andreotti trapassato con l'opprimente sudario di una simile nomea, la misura giusta poteva essere una frase in fine di telegiornale. Il di più mi è sembrato un inutile esercizio di allusioni, sogghigni e anche polemica contro i soliti bersagli vivi. Si obietterà che Andreotti fu a lungo protagonista della politica italiana: allora era forse il caso di commemorarlo in altro modo, senza dilungarsi, quasi esclusivamente, sulle pulci nella criniera d'un cavallo di razza. Della Prima Repubblica che vide il fulgore andreottiano io ricordo due cose che rimpiango, l'esenzione ventennale dalle imposte per le case di nuova costruzione e l'emissione di Buoni del Tesoro novennali al portatore, con l'interesse del cinque per cento. Del trapasso dell'altro giorno mi ha colpito il rosario tra le dita del morto. Forse i conclamati Misteri del Divo Giulio erano quelli da recitare sui grani più importanti della coroncina, subito dopo le dieci Ave Maria e prima del Pater.

domenica 5 maggio 2013

La gallina

Antonio Banderas che promuove le fette biscottate parlando con la gallina Rosita è una gradevole novità nel mondo pubblicitario della Tv. Mi piace in modo particolare perché mi fa evocare i tempi del primo dopoguerra, quando anch'io parlavo con due galline, Bianca e Frifrin, che giravano sul terrazzino e per casa, scodellando ogni tanto preziosissime uova.  Erano momenti ancora duri per le provviste e quasi ogni famiglia aveva creato un pollaio domestico, partendo dai pulcini. Le mie galline erano socievoli e anche intelligenti, al contrario di quanto sostengono Cochi e Renato in una nota canzoncina. Del resto, anche la Storia si è occupata, oltre che delle oche del Campidoglio, di galline: un'antenata di Rosita, che si chiamava Roma, era la confidente preferita di Onorio, l'imperatore che si divise con il fratello Arcadio l'impero romano. Fuggito a Ravenna dalla Capitale minacciata  da Alarico, l'imperatore aveva trovato rimedio alla sua solitudine dedicandosi alla gallina. Un giorno lo raggiunse un servitore, annunciandogli che Roma era perduta. "Ma come? - gridò costernato l'imperatore - se poco fa era qui che mi beccava in mano!". "Ma no, mio Signore, parlo dell'Urbe, non della gallina". "Meno male!" disse, sollevato, Onorio.

lunedì 29 aprile 2013

La sparatoria

Non si sparava nei pressi dei palazzi del potere dal luglio del '48, quando un esaltato, lo studente Antonio Pallante, tentò di uccidere Palmiro Togliatti che usciva da una porta secondaria del Parlamento. L'illustre ferito raccomandò subito ai suoi di tenere  i nervi saldi, ma a Genova un bel po' di guerriglia ci fu comunque. Da casa, udii le raffiche sparate in aria dai partigiani comunisti che avevano tirato fuori le armi dai nascondigli e ne provavano l'efficienza. Poi furono caroselli di polizia, botte, pietrate, addirittura trincee scavate dai dimostranti. Di quelle ore drammatiche mi sono rimasti impressi due particolari: a Sestri i manifestanti saldarono alle rotaie le ruote di un tram, per farne un fortilizio; in centro cinque autoblindo della polizia (che tempi, i poliziotti con le autoblindo!) furono catturate e portate via. Le ritrovarono presso un cimitero, senza le mitraglitrici. Ad acque calmate nacque una barzelletta. Diceva: "Il PCI ha subito inviato al Cremlino un telegramma cifrato. Diceva S.P.Q.R., significava Sparò Pallante Quattro Revolverate. Il KGB ha risposto U.R.S.S.: Urge Ripetere Senza Sbagliare". Oggi purtroppo temo che la vicenda del povero carabiniere ferito al collo a Palazzo Chigi non potrà finire in un sorriso.

martedì 23 aprile 2013

Rodotà

Di tutto il bailamme per l'elezione del Presidente della Repubblica mi è rimasto impresso soprattutto un interrogativo che mi ha colto quando sono apparse schede con il cognome Rodotà: mi sono chiesto "Rodotà chi? Il padre o la figlia?". Il dubbio non era infondato, si era parlato parecchio di eleggere una donna e Maria Laura Rodotà era candidabile, avendo giusto 52 anni, Oltre tutto, a me sembrava che la giornalista fosse ben più nota e popolare del padre Stefano, da anni ormai scomparso dalle cronache politiche quotidiane, dopo aver retto una di quelle "Autority" che spaccano il capello in quattro e fanno venire il mal di testa a chi tira avanti a colpi di buon senso. Quando penso a Rodotà padre, mi viene in mente, immancabilmente, quel gentleman inglese che, da naufrago, si lasciò divorare da una squalo per non toccare il pesce col coltello. La figlia, invece, mi è simpaticissima, con quel suo modo strampalato di scrivere, tutto pieno di sospensioni, finte interruzioni, vocaboli che sembrano messi lì per caso e invece sono più eloquenti di una frase intera. Quanto ai contenuti, siamo spesso in disaccordo, ma con allegria. E poi, Maria Laura Rodotà è sincera: intervistata dichiarò (vedi Wikipedia)  "Sono ancora un'imbecille di sinistra". Chapeau!

mercoledì 17 aprile 2013

Tartarugando

Condivido con mio figlio Claudio una grande simpatia per le tartarughe: lui le colleziona in immagine, che siano di legno o di coccio non importa; io ammiro quelle dipinte da  Giannetto Fieschi, che le chiamava Moire, evocando la lentezza inesorabile del Fato. E poi ci sono le tartarughe di Trilussa, sognatrici e bonaccione: quella che cadde a zampe all'aria e non riusciva a salvarsi ("Un rospo je strillò "Scema che sei! Queste so' scappatelle che costano la pelle..." "Lo so - rispose lei - ma prima de morì vedo le stelle..."). E quella che se ne stava nascosta tra le foglie di lattuga e borbottava: "Io non vedo più lontano de la casa che strascino, dormo sempre e se cammino vado piano, piano, piano...". Ora, però, il mio idillio tartarughesco si è incrinato, con la scoperta, sul giornale,  di una grossa tartaruga azzannatrice che, nel laghetto di Villa Reale, a Milano, fa strage di anatroccoli. Vigili, Protezione animali e Corpo forestale stanno cercando di catturare l'assassina,  ma non ce la fanno, la latitante è più svelta di loro, sembra più imprendibile  della fuggiasca che il Pie' Veloce Achille non riusciva a raggiungere nel paradosso di Zenone. ULTIM'ORA: l'ha acchiappata tale Gianluca Baldon, un vero Mennea dei dipendenti comunali meneghini.

giovedì 11 aprile 2013

L'anticipo

Il ciabattino di via Fieschi è sommerso dai pacchi di scarpe riparate che nessuno va a ritirare. "Ho rintracciato - racconta - l'indirizzo di una cliente sparita e le ho telefonato. Mi ha risposto "Sono scarpe di mio padre che nel frattempo è morto, non mi servono più". Così ho deciso, adesso mi faccio pagare in anticipo, anche se un cliente mi ha obiettato "E se poi il lavoro non mi piace?". Gli ho detto che ha sempre la possibilità di farsi fare i prossimi tacchi da un altro calzolaio". Certo, con le scarpe "cinesi" a venti euro è facile pentirsi d'aver chiesto una riparazione di vecchie calzature, ma chi ha lavorato ci rimette. Il ricorso al pagamento anticipato non è la scelta isolata d'un artigiano beffato, ne ho scoperto un altro, con ben diverse implicazioni morali e sociologiche. Fate gli scongiuri perché si tratta di tombe: per i seppellimenti nei campi comuni il municipio di Genova si fa pagare le spese, che ammontano ad una cifra considerevole, 429 euro. Tanti soldini, considerato l'impegno lavorativo dei necrofori ormai motorizzati; il prezzo è però comprensivo del costo della successiva esumazione dei resti, da compiersi da 10  a 13 anni dopo. Segno che il Comune non si fida dei superstiti. Meglio l'anticipo a pronta cassa, tanto per restare in argomento.        

venerdì 5 aprile 2013

Carosello

Mi rallegra l'annuncio del ritorno, su Rai Uno, di Carosello, la mitica rassegna di brevi scenette pubblicitarie che tanto successo ebbe negli anni '60-'70. Oltre a confortare la prima sera, Carosello era una piccola fabbrica di slogan che poi venivano spesi nei conversari quotidiani: chiacchierando, si troncavano le polemiche affermando "Con quella bocca può dire quel che vuole!", oppure "Per me tutto va ben, tutto fa brodo!". Sparito da molti anni Carosello, molte di quelle frasi-tormentoni sono appassite nella memoria e non dicono nulla alle nuove generazioni: nessun ventenne ride quando, parlando delle ambizioni politiche di Grillo diciamo "Dura minga!", imitando i due gentiluomini "ancien régime" del Carosello China Martini. Nessun lumacone da strada ha oggi probabilità di successo con un'avvenente passante se le dice "Carmencita, sei già mia, chiudi il gas e vieni via!". Se, invece, Carosello avesse proseguito la sua gloriosa corsa, avremmo certamente visto sui quotidiani una vignetta con papa Francesco che, subito dopo l'elezione, sussurra allo specchio: "Il Signore sì che se ne intende..." E lo specchio avrebbe potuto rispondere "Non esageriamo", evocando il mite dottor Ciccarelli, il suo dentifricio e il sorriso di Georgia Moll.  

sabato 30 marzo 2013

Annarella

Sul Decimonono del 7 marzo ho pescato una frase che mi ha incuriosito non poco: "... Confronto che sa di nanarellarsi, di un voluto non decidere, di una politica del rinvio". "Nanarellarsi? E che roba è?" mi sono chiesto. Sono andato su Google e ho cercato il misterioso verbo: il motore di ricerca mi ha ripetuto, pari pari, lo stesso articolo che avevo letto io, tratto dalla versione digitale del quotidiano. Per farla breve, nell'universo infinito delle registrazioni di Google, il verbo "nanarellarsi" è comparso una sola volta. E una parola che compare una sola volta - c'insegna la filologia classica - è spesso una parola scritta male o mal tradotta. A questo punto ho fatto l'ipotesi che il verbo originario fosse "annarellarsi", ma la ricerca su Google mi ha dato esito negativo. Ho però scoperto una canzone, "Annarella", cantata da un gruppo musicale denominato C.S.I., che dice "Lasciami qui, lasciami stare, lasciami così, non dire una parola che non sia di amore". E' in perfetta sintonia con il concetto espresso nell'articolo. Che il verbo sia davvero "annarellarsi"?. Intanto, però, la versione "nanarellarsi" è nata e qualcuno la riprenderà senza farsi troppe domande, ne sono sicuro. Fra un po' la ritroverò su Google, non più sola ma moltiplicata.

domenica 24 marzo 2013

Cerimonie

Aveva un soprannome singolare, Bambù, ed era vedova di un mio carissimo collega in giornalismo, Giancarlo Zuccaro. Ho trovato il suo necrologio sul giornale e sono riandato  con il pensiero a lei e all'amico, scomparso ormai da parecchi anni. Di Giancarlo potrei raccontare mille storie, ma stavolta me ne è ritornata in mente una in particolare. Era venuto a casa mia in visita e parlavamo del comune amore per Tortona, patria sua e di mio padre. A un tratto mi disse: "Ti ho portato il distintivo del Dertona, la squadra di calcio tortonese". "Grazie!" risposi e allungai la mano. "No - ribatté subito - un distintivo si riceve in piedi e sull'attenti". Non c'erano testimoni, così potei adeguarmi alla prescrizione senza imbarazzo. Questo episodio è saltato fuori dalla memoria forse perché stavo rimuginando e recriminando sugli articoli del giornale che magnificavano la semplicità e l'umiltà del nuovo Papa, Francesco. Credo di essere in procinto di finire tra gli eretici, perché da sempre rifiuto la Messa beat con la chitarra e le cantatine, mentre mi commuovo al suono possente dell'organo che accompagna il Gregoriano. Addirittura, per il Papa preferirei la sedia gestatoria rispetto alla jeep bianca. Andrò certamente all'Inferno, ma con la dovuta solennità.

lunedì 18 marzo 2013

Lazagna

Conobbi l'avvocato Giovanni Battista Lazagna nei primi anni Sessanta, quando ancora non era coinvolto nell'avventura guerrigliera di Gian Giacomo Feltrinelli. Già allora, però, manifestava la sindrome della clandestinità, forse ereditata dalla guerra partigiana. Si presentava al Decimonono e chiedeva di me, che facevo il segretario di redazione; gli andavo incontro e lui, circospetto, si metteva un dito sulle labbra e sussurrava: "Vorrei parlare con Cavassa". Veniva accolto a braccia aperte dal direttore, anche lui vecchio partigiano e i loro discorsi non avevano nulla di segreto. Eppure, ogni volta, quell'arrivo da carboneria si ripeteva.  Della stessa mania soffriva Feltrinelli, che si aggirava sull'Appennino Ligure come se fosse sulla Sierra Maestra con Fidel e  Che Guevara. Il mio collega Nelio Ferrando lo incontrò  una volta nella casa di campagna del professor Venturi, marito della scrittrice Salvago Raggi: "A cena - mi raccontò Nelio - fu presentato collettivamente ai commensali come "il signor Osvaldo", ma era evidente che si trattava di Feltrinelli. Lo accompagnava un giovane, entrambi vestivano alla militare. Non disse una parola e se ne andò alla svelta". Nessuno, allora, lo cercava, il suo sogno sembrava un gioco. Quando passò all'azione, perse la vita.

martedì 12 marzo 2013

Avvalimento

Avete letto bene, la parola nel titolo non è "avvilimento" e tanto meno "avvallamento": è proprio "avvalimento". L'ho trovata in un titolo del giornale economico "Italia Oggi": "Gare lavori, l'avvalimento non può essere limitato". Niente di più attraente per uno come me, che va a caccia di parole nuove e sconosciute. Dunque, leggendo l'articolo, ho scoperto che il misterioso termine altro non è che un sostantivo tratto dal verbo "avvalersi".  Se io mi avvalgo di qualcosa (ad esempio del computer) compio un avvalimento. Il vocabolo, che odora di burocrazia lontano un miglio, si trova nel Codice dei contratti pubblici, in cui si prescrivono limiti agli "avvalimenti" di altre ditte nell'esecuzione di appalti conseguiti con gare pubbliche. Ora la Corte di giustizia europea ha bocciato quei limiti:  da ora in poi gli avvalimenti saranno liberi e forse potremo chiamarli subappalti anche nei pomposi codici ministeriali. Non nei titoli però: un grande settimanale in crisi di vendite ha infatti chiesto a uno studio specializzato in diffusione i motivi della propria sfortuna: gli hanno risposto che non deve usare, nei titoli, la lettera U, perché è "respingente". Quindi, niente "subappalti" nelle intitolazioni e le vendite torneranno a volare.

mercoledì 6 marzo 2013

Mannaggia La Rocca

Durante la sua visita in Germania, il presidente Napolitano si è trovato a dover prendere le difese di Grillo e di Berlusconi definiti "clown" da un politico teutonico in vena d'insulti. Non è la prima volta che, dall'estero, riceviamo "guanciate" (come dicono i toscani), finora, però, gli sputi più abbondanti erano venuti dai cugini francesi. Cominciò, intorno al 1840, il poeta Lamartine, definendo l'Italia "la terra dei morti": gli rispose, con una sciabolata in duello, un tale colonnello Pepe; il poeta Giuseppe Giusti  aggiunse per buon peso un sarcastico poemetto che diceva "...con noi spreca il  priore l'acqua battesimale e, quando si rimuore, ci ruba il funerale...". Il caso più divertente capitò nel 1897, quando un principe d'Orléans criticò il comportamente degli ufficiali italiani in Africa. Dopo le nostre proteste, un celebre spadaccino d'Oltralpe,  Tomegueux, si disse disposto a difendere sul campo l'onore di Francia.  Ricevuto un telegramma di sfida, rispose indicando i suoi padrini. Il messaggio italiano era però apocrifo, firmato da un "generale Mannaggia La Rocca" che altri non era che una maschera del carnevale romano. Tomegueux rimase beffato. Un vero duello comunque ci fu, tra un rampollo di casa Savoia e il principe d'Orléans, che si beccò una feritina.

giovedì 28 febbraio 2013

Diecimila

In quattro anni e qualche mese di attività, "Così parlò Bellagamba" ha superato l'asticella dei diecimila contatti. Secondo le statistiche elaborate dal Web, la maggior  parte dei lettori di questo blog risiede in Italia, gli altri sono distribuiti in tutto il mondo: si va dai numerosi estimatori negli Stati Uniti a singoli lettori in Lettonia e in Indonesia. In questi ultimi tempi sono in forte aumento i contatti dall'Est europeo, grazie, probabilmente, all'immigrazione vai e vieni (si chiama "golondrina") che ha diffuso la conoscenza della lingua italiana.  Ho scoperto con Google un sito che valuta i blog:  intitolato Web Stats Domain, ha preso in considerazione anche il "Bellagamba", gli ha attribuito il valore di 220 dollari  (dovrò metterli nell'"Unico"?) e gli ha assegnato due stelle e mezzo su cinque. Risultati poco rilevanti se considerati nel gigantismo del Web, comunque per me soddisfacenti. Il diligente sito statistico segnala anche altri blog paragonabili (forse per diffusione) con il "Bellagamba": uno si chiama "Di' la tua su ciò che t'interessa", un altro è denominato in modo dolcissimo "Irinkerindò" ed è un sito informativo sull'emigrazione africana. Un terzo fa capo all' Hoa Bin Hotel di Da Nang.  Un nome, quest'ultimo, legato al ricordo del tragico Vietnam.   

venerdì 22 febbraio 2013

La prigionia

Come tanti altri figli (me compreso) il Direttore di Palazzo Ducale, Luca Borzani, ha estratto da un cassetto gli appunti di guerra di suo padre, Giovanni, ormai scomparso, li ha integrati con le lettere familiari e ne ha tirato fuori un bel libro, incentrato sulla dura prigionia a cui furono costretti, a migliaia, gli ufficiali italiani catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre. Una storia di umiliazioni e di fame nera dopo il rifiuto dell'adesione a Salò. Ho letto d'un fiato il libro, intitolato "La guerra di mio padre", spinto anche da particolari motivi: Giovanni Borzani fu infatti preso prigioniero ad Alessandria proprio nelle ore in cui, alla stazione della stessa città, io cercavo di salvare dalla cattura un ufficiale italiano in borghese, fingendo di essere suo figlio.  Quella volta rischiai anch'io, ragazzino, il campo di concentramento. Un altro motivo del mio interesse  veniva dal ricordo di un carissimo collega, Nelio Ferrando, che aveva subito la stessa odissea di Giovanni Borzani  e l'aveva raccontata subito dopo la guerra sotto forma di un romanzo, intitolato "Combattere con le ombre". Ho confrontato i due testi e ho trovato nel romanzo l'assoluta conferma dei fatti storici e, nel libro di storia, pagine da romanzo. In entrambi, la fierezza dei prigionieri e la viltà dei loro torturatori.

sabato 16 febbraio 2013

L'esodato

Dal primo marzo ci sarà un esodato in più, il Papa. Il Santo Padre lascia infatti il suo incarico, ma non avrà una pensione: non esiste infatti  un istituto di previdenza per i Pontefici; non si è mai ritenuto che fosse necessario crearlo, dal momento che nessun successore di Pietro aveva pensato di doversi arrendere alla vecchiaia. Sono tutti morti sul campo, abbiamo ancora negli occhi l'immagine di Papa Wojtyla che prendeva a pugni il leggìo perché, soffocato dal Parkinson,  non riusciva a parlare ai fedeli radunati in piazza San Pietro. Benedetto sedicesimo, quando (lontano sia) passerà a miglior vita e sarà elevato agli onori degli altari, potrà divenire il santo protettore  dei 392mila poveri disgraziati che la riforma Fornero ha messo in mezzo a una strada. C'è da scommettere che ad attendere una soluzione ci saranno ancora migliaia di ex lavoratori privi di pensione, sopravvissuti a spese della liquidazione e dei risparmi familiari.  Il particolare più doloroso di questa tragedia è che nella valanga di dibattiti televisivi inflitti agli elettori non si propongono interventi immediati e reali a favore di tutti gli esodati. Si parla molto di "polvere sotto il tappeto": ma è a proposito di altre vicende. L'angolo dei senza pensione non viene ancora spolverato a fondo.

domenica 10 febbraio 2013

La Colonia

Da bambino, il solo profumo ammesso in casa era l'Acqua di Colonia.  Mio padre la usava come dopobarba, mia madre ne metteva un po' nel fazzoletto. Per me, invece, l'odoroso flacone si apriva solamente quando ritornavo a casa con le ginocchia sbucciate: la disinfezione avrebbe richiesto una  strofinatura delle ferite "con lo spirito", cioè con l'alcol denaturato; io, però, mugugnando e supplicando, riuscivo più di una volta a far intervenire l'Acqua di Colonia (detta semplicemente "la Colonia"), che bruciava ugualmente, ma veniva usata in dosi meno massicce, per via della sua preziosità.  Non ricordo quale marchio portasse il flacone, ma non si trattava certamente di Jean-Marie Farina o di un altro dei maggiori nomi della profumeria; la delicata essenza a base di bergamotto, inventata a fine Seicento da un novarese, accumulava etichette in abbondanza, magari con innovazioni nella formula e diciture variate: Acqua di Parma, Acqua di Biella... Sotto la Lanterna era nata, fin dal 1853, l'Acqua di Genova (tuttora sul  mercato) concepita e lanciata da  un profumiere di via Nuovissima (oggi Cairoli) che si chiamava Stefano Frecceri. Si dice che la Contessa di Castiglione ne facesse uso nelle sue "trattative diplomatiche" con Napoleone Terzo:   

lunedì 4 febbraio 2013

Assessoradu

L'assessorato della Pubblica Istruzione della regione Sardegna ha pubblicato sul "Corriere della Sera" l'annuncio dell'aggiudicazione di una gara. Mi ha incuriosito il bilinguismo dell'intestazione che, volendo riconoscere pari dignità e importanza alla lingua italiana e a quella sarda, dà addirittura la precedenza a quest'ultima, definendo così l'ente inserzionista: "Assessoradu de s'Istrutzione publica, benes culturales, informatzione, Ispetaculu e Isport". Si tratta con ogni evidenza di vocaboli mai esistiti nella nobile e antica favella della Sardegna e coniati "ad hoc" per dare una veste autoctona a un'entità burocratica di provenienza forestiera. L'operazione non è una novità assoluta: c'è stato un periodo in cui il Vaticano si dedicava con una certa assiduità ad aggiornare il vocabolario latino con parole del nostro tempo, tipo bomba atomica, treno, computer e via dicendo.  In quell'epoca, i documenti ufficiali della Santa Sede venivano scritti in latino, considerato lingua universale: di qui la necessità dei buffi aggiornamenti. Ora il Papa si esprime più di frequente con le lingue del nostro tempo. Dovrebbero farlo anche in Sardegna, usando la loro misteriosa e affascinante parlata nel solo ambito della vita privata quotidiana. Tanto per non esporsi a ironie e risolini.

martedì 29 gennaio 2013

Garrone

Cordoglio di mezza Genova per la scomparsa di Riccardo Garrone, presidente della Sampdoria. L'altra metà, quella genoana, si è associata sinceramente al lutto. Per trovare unanime attenzione alla propria persona e alle proprie idee, il grande petroliere ha dovuto attendere il momento del trapasso. Prima aveva incassato fior di delusioni quando, avendo capito che il volto industriale della Superba era fasullo e sarebbe miseramente crollato non appena fossero cessate le sovvenzioni a fondo perduto dell'Iri,  aveva "osato" dire qualcosa su un diverso futuro della città con un suo progetto che si chiamava "Viva Genova".  E' una storia di tanti anni fa, i politici gli dissero che facesse il suo mestiere e non rompesse; non era ancora di moda il ricorso a quella "società civile" che oggi imperversa sui media e nella liste elettorali ed è considerata la panacea dei mali italiani. Garrone mi ricordava il Duca di Galliera, quel ricco signore che, nell'Ottocento,  regalò venti milioni di lire oro alla città perché si costruisse la nuova diga foranea del porto. Dopo, si aspettava giustamente un po' di riconoscenza e decise di tentare la via della politica, cominciando dal consesso più umile: si presentò alle elezioni del consiglio di quartiere di Prè, ma fu incredibilmente bocciato.

mercoledì 23 gennaio 2013

Fumo d'Africa

Un guerrigliero africano, Moktar Belmoktar, è il nuovo babau dell'Occidente: lo chiamano poco elegantemente "il Guercio", per via di una menomazione fisica; il suo vero soprannome è però Mister Marlboro, dal momento - sostengono i giornali - che si dedica al contrabbando di sigarette nel Sahara. Non so quanti clienti possa rimediare Moktar tra le dune del deserto;  d'altra parte, come mettere in dubbio la carta stampata? Una cosa è certa, che tra il continente africano e le sigarette c'è un feeling quasi secolare: i Monopoli dell'epoca del Regno d'Italia mettevano in vendita pacchetti di "bionde" che si chiamavano Giubek e A.O.I. , cioè Africa Orientale Italiana. Perduta la lontana colonia, l'Italia repubblicana non si rassegnò a scegliere un nome del tutto differente per quelle sue sigarette, si limitò a chiamarle, più semplicemente "Africa". Credo di averne fumato centinaia, i tabaccai le vendevano anche sciolte, avvolte in vecchie schedine della Sisal (oggi Totocalcio). Era il mondo povero di una nazione sconfitta e ancora in ginocchio. I vincitori, intanto, amoreggiavano a loro volta con l'Africa fumando le "Camel",  dal profumo davvero inebriante, specie per chi aveva dovuto accontentarsi delle "Popolari", concesse, con il contagocce, dalla tessera annonaria.

giovedì 17 gennaio 2013

La determina

La regione Lazio, prossima al ricambio elettorale, ha acquistato una settantina di macchinette distruggi-documenti. Non sono mancati sospetti e ironici corsivi, ai quali la presidente Polverini ha risposto perentoriamente: "Non è una delibera di giunta, è una determina!". Confesso che, alla mia veneranda età e con un passato di cronista politico, io di "determina" non avevo mai sentito parlare. Ho pensato a una voce gergale tipica dei romani, invece un'altra determina è saltata fuori dalle cronache del comune di Milano. Insomma, si tratta di burocratese puro e diffuso. Compulsando pazientemente gli articoli, sono arrivato alla conclusione che la determina è un atto amministrativo deciso da un dirigente non politico nell'ambito dello svolgimento del suo lavoro. Per semplificare: il funzionario addetto agli acquisti, notato che dalle scorte mancavano una settantina di macchinette, ha reintegrato il magazzino. Chiarito il significato del vocabolo, mi è rimasto un fastidioso dubbio: quello che non siano le delibere di giunta, da sempre sotto i riflettori, a causare la continua emorragia di denaro pubblico , bensì le determine. Un mondo misterioso e riservatissimo nel quale nessun controllore pensa di andare a ficcare sistematicamente il naso.        .

venerdì 11 gennaio 2013

Monete

La mia passione per l'archeologia mi porta talvolta a passare in rassegna, tra le offerte di Ebay, le monete antiche. Sono bellissime, veri capolavori di minuta incisione in spazi limitati, a opera di artefici che non potevano, allora, avvalersi dei nostri mezzi d'ingrandimento.  Un tempo le monete antiche erano reperti rari e costosi, oggi non è più così: dall'Est europeo sono arrivate valanghe di monetine rintracciate con il metal detector; di conseguenza i prezzi degli esemplari più comuni sono scesi fino a livelli infimi. Lo Stato italiano ha inoltre rinunciato all'esclusiva proprietà pubblica di questi reperti, certamente antichi ma esistenti in centinaia di migliaia di repliche; fermo restando che, da noi, la ricerca e lo scavo sono preclusi ai non autorizzati. Nel sito delle monete antiche, ogni tanto, il computer insinua a sorpresa esemplari moderni: così, l'altro giorno,  mi sono trovato di fronte a una moneta tedesca da due euro, del 2010, offerta a un prezzo base di 1 euro e 50. Ho cercato di spiegarmi come mai qualcuno avesse messo in vendita la moneta a quel prezzo, invece di spendersela al bar con tutto il suo valore facciale. Non ne sono venuto a capo. Mi è solamente rimasto  il sospetto che la Merkel se la passi meno bene di quanto voglia farci credere.

sabato 5 gennaio 2013

I perfettini

Sarà l'assonanza tra Fred e Spread a farmi pensare a Fred Astaire tutte le volte che mi capita di vedere Mario Monti in televisione. Astaire era un grandissimo ballerino, sia che si abbandonasse alle larghe onde del valzer sia che ritmasse il tip tap. Il bianco e nero dei film anni Trenta sembrava fatto apposta per esaltare la sua elegante figura. Nessuno come lui sapeva portare con naturalezza il frac, nessuno gli era pari nel dire battute moderatamente spiritose e nel sorridere direttamente all'obiettivo. Con tutto questo, quando l'esile trama del film s'interrompeva per fare spazio alle evoluzioni di Fred con Ginger Rogers, gli spettatori si distraevano e approfittavano di quei minuti per rifornirsi di bruscolini e gazzose. Ho l'impressione che qualcosa d'analogo accada quando sul teleschermo appare il Professore, sia che indossi il suo impeccabile loden, sia che ammanti la sua asciutta figura con un grigio d'ordinanza. Il suo modo di snocciolare garbate allusioni  ed evasivi annunci mi ha indotto più di una volta a pensare che era il momento di andare a bere un bicchiere d'acqua. E' il destino dei perfettini quello di suscitare poco interesse, forse per invidia, forse per una insanabile differenza di linguaggio. Credo che anche il compianto cardinale Martini avesse questo problema.