sabato 30 marzo 2013

Annarella

Sul Decimonono del 7 marzo ho pescato una frase che mi ha incuriosito non poco: "... Confronto che sa di nanarellarsi, di un voluto non decidere, di una politica del rinvio". "Nanarellarsi? E che roba è?" mi sono chiesto. Sono andato su Google e ho cercato il misterioso verbo: il motore di ricerca mi ha ripetuto, pari pari, lo stesso articolo che avevo letto io, tratto dalla versione digitale del quotidiano. Per farla breve, nell'universo infinito delle registrazioni di Google, il verbo "nanarellarsi" è comparso una sola volta. E una parola che compare una sola volta - c'insegna la filologia classica - è spesso una parola scritta male o mal tradotta. A questo punto ho fatto l'ipotesi che il verbo originario fosse "annarellarsi", ma la ricerca su Google mi ha dato esito negativo. Ho però scoperto una canzone, "Annarella", cantata da un gruppo musicale denominato C.S.I., che dice "Lasciami qui, lasciami stare, lasciami così, non dire una parola che non sia di amore". E' in perfetta sintonia con il concetto espresso nell'articolo. Che il verbo sia davvero "annarellarsi"?. Intanto, però, la versione "nanarellarsi" è nata e qualcuno la riprenderà senza farsi troppe domande, ne sono sicuro. Fra un po' la ritroverò su Google, non più sola ma moltiplicata.

domenica 24 marzo 2013

Cerimonie

Aveva un soprannome singolare, Bambù, ed era vedova di un mio carissimo collega in giornalismo, Giancarlo Zuccaro. Ho trovato il suo necrologio sul giornale e sono riandato  con il pensiero a lei e all'amico, scomparso ormai da parecchi anni. Di Giancarlo potrei raccontare mille storie, ma stavolta me ne è ritornata in mente una in particolare. Era venuto a casa mia in visita e parlavamo del comune amore per Tortona, patria sua e di mio padre. A un tratto mi disse: "Ti ho portato il distintivo del Dertona, la squadra di calcio tortonese". "Grazie!" risposi e allungai la mano. "No - ribatté subito - un distintivo si riceve in piedi e sull'attenti". Non c'erano testimoni, così potei adeguarmi alla prescrizione senza imbarazzo. Questo episodio è saltato fuori dalla memoria forse perché stavo rimuginando e recriminando sugli articoli del giornale che magnificavano la semplicità e l'umiltà del nuovo Papa, Francesco. Credo di essere in procinto di finire tra gli eretici, perché da sempre rifiuto la Messa beat con la chitarra e le cantatine, mentre mi commuovo al suono possente dell'organo che accompagna il Gregoriano. Addirittura, per il Papa preferirei la sedia gestatoria rispetto alla jeep bianca. Andrò certamente all'Inferno, ma con la dovuta solennità.

lunedì 18 marzo 2013

Lazagna

Conobbi l'avvocato Giovanni Battista Lazagna nei primi anni Sessanta, quando ancora non era coinvolto nell'avventura guerrigliera di Gian Giacomo Feltrinelli. Già allora, però, manifestava la sindrome della clandestinità, forse ereditata dalla guerra partigiana. Si presentava al Decimonono e chiedeva di me, che facevo il segretario di redazione; gli andavo incontro e lui, circospetto, si metteva un dito sulle labbra e sussurrava: "Vorrei parlare con Cavassa". Veniva accolto a braccia aperte dal direttore, anche lui vecchio partigiano e i loro discorsi non avevano nulla di segreto. Eppure, ogni volta, quell'arrivo da carboneria si ripeteva.  Della stessa mania soffriva Feltrinelli, che si aggirava sull'Appennino Ligure come se fosse sulla Sierra Maestra con Fidel e  Che Guevara. Il mio collega Nelio Ferrando lo incontrò  una volta nella casa di campagna del professor Venturi, marito della scrittrice Salvago Raggi: "A cena - mi raccontò Nelio - fu presentato collettivamente ai commensali come "il signor Osvaldo", ma era evidente che si trattava di Feltrinelli. Lo accompagnava un giovane, entrambi vestivano alla militare. Non disse una parola e se ne andò alla svelta". Nessuno, allora, lo cercava, il suo sogno sembrava un gioco. Quando passò all'azione, perse la vita.

martedì 12 marzo 2013

Avvalimento

Avete letto bene, la parola nel titolo non è "avvilimento" e tanto meno "avvallamento": è proprio "avvalimento". L'ho trovata in un titolo del giornale economico "Italia Oggi": "Gare lavori, l'avvalimento non può essere limitato". Niente di più attraente per uno come me, che va a caccia di parole nuove e sconosciute. Dunque, leggendo l'articolo, ho scoperto che il misterioso termine altro non è che un sostantivo tratto dal verbo "avvalersi".  Se io mi avvalgo di qualcosa (ad esempio del computer) compio un avvalimento. Il vocabolo, che odora di burocrazia lontano un miglio, si trova nel Codice dei contratti pubblici, in cui si prescrivono limiti agli "avvalimenti" di altre ditte nell'esecuzione di appalti conseguiti con gare pubbliche. Ora la Corte di giustizia europea ha bocciato quei limiti:  da ora in poi gli avvalimenti saranno liberi e forse potremo chiamarli subappalti anche nei pomposi codici ministeriali. Non nei titoli però: un grande settimanale in crisi di vendite ha infatti chiesto a uno studio specializzato in diffusione i motivi della propria sfortuna: gli hanno risposto che non deve usare, nei titoli, la lettera U, perché è "respingente". Quindi, niente "subappalti" nelle intitolazioni e le vendite torneranno a volare.

mercoledì 6 marzo 2013

Mannaggia La Rocca

Durante la sua visita in Germania, il presidente Napolitano si è trovato a dover prendere le difese di Grillo e di Berlusconi definiti "clown" da un politico teutonico in vena d'insulti. Non è la prima volta che, dall'estero, riceviamo "guanciate" (come dicono i toscani), finora, però, gli sputi più abbondanti erano venuti dai cugini francesi. Cominciò, intorno al 1840, il poeta Lamartine, definendo l'Italia "la terra dei morti": gli rispose, con una sciabolata in duello, un tale colonnello Pepe; il poeta Giuseppe Giusti  aggiunse per buon peso un sarcastico poemetto che diceva "...con noi spreca il  priore l'acqua battesimale e, quando si rimuore, ci ruba il funerale...". Il caso più divertente capitò nel 1897, quando un principe d'Orléans criticò il comportamente degli ufficiali italiani in Africa. Dopo le nostre proteste, un celebre spadaccino d'Oltralpe,  Tomegueux, si disse disposto a difendere sul campo l'onore di Francia.  Ricevuto un telegramma di sfida, rispose indicando i suoi padrini. Il messaggio italiano era però apocrifo, firmato da un "generale Mannaggia La Rocca" che altri non era che una maschera del carnevale romano. Tomegueux rimase beffato. Un vero duello comunque ci fu, tra un rampollo di casa Savoia e il principe d'Orléans, che si beccò una feritina.