mercoledì 29 maggio 2013

Dove andiamo

Il sindaco di New York, Bloomberg, ha ammonito chi ha l'ambizione di fare costosi studi: "Vai ad Harvard, poi cerchi un posto adeguato al tuo sapere e scopri che quel lavoro lo sta già facendo un computer. Dammi retta, fai l'idraulico, ce n'è più bisogno". Il sindaco ha ragione, le tecnologie ci portano verso un nuovo Medioevo, con la distruzione della classe media che era un'invenzione dei tempi moderni. In futuro ci saranno solo ricchi e poveri, ahimè. A questo proposito, benemeriti studiosi sono andati a leggere gli elenchi dei deceduti a Milano tra il 1400 e il 1600, con le rispettive professioni: tanti ufficiali, magistrati, religiosi, sovrintendenti; ma anche focacciai, pollivendoli, uccellatori, distillatori, ammazzatopi, svuotapozzi, stufaioli, lavandai; e poi setaioli e allevatori di bachi, berrettai, calzai, drappieri e vellutieri; e, ancora, fabbricanti di cucchiai, cestai, vasai e produttori di aghi. Se Bloomberg avesse avuto a portata di mano questi elenchi (pubblicati dal "Corriere della Sera") non avrebbe esitato a rafforzare la sua tesi con  proposte ancor più  pittoresche  per i giovani del Duemila. Aggiungendo, magari, gli acchiappafantasmi e i cacciatori di "tornados", tanto per dare un tocco americano a questo "sol dell'avvenire" mondiale. 

giovedì 23 maggio 2013

Lo scoglio

Mi ha colpito in modo particolare la notizia secondo la quale lo scoglio che ha squarciato la chiglia della "Costa Concordia" ed è rimasto infisso tra le lamiere sarà "restituito" all'insidiosa secca del Giglio che tradì capitan Schettino. La decisione rappresenta il non plus ultra dello spirito ambientalistico prevalente nel mondo d'oggi e risalta ancor più se messa a confronto con quanto accadde nel 1887, quando un'altra nave passeggeri, l'"Umberto I", sfiorando un'altra isola,  Ventotene, entrò in collisione con un altro scoglio e vi rimase incastrata. Per fortuna la nave non aveva viaggiatori a bordo, andava ad imbarcarli a Napoli. Da Genova partirono immediati soccorsi e un bravo capitano d'armamento, che si chiamava Brizzolesi, con l'aiuto della marea e del traino di tre navi, riuscì a liberare l'"Umberto I" e a ripararlo. Dalla chiglia fu estratto uno scoglio di tre quintali che non venne restituito al mare, ma fu portato a Genova dove, munito di iscrizione commemorativa, rimase esposto nella sede della società di navigazione. Questo avveniva quando chi andava per mare pensava di sfidare una natura ostile, di vincerla e di farsene un trofeo. Oggi la natura è rimasta quella di allora, ma l'uomo non la sfida più, anzi, la idolatra.

venerdì 17 maggio 2013

Molo Giano

Nella sciagura del molo Giano è finita in pezzi anche la "Madonnina dei piloti", un'immagine che traeva origine da una tradizione di alcuni secoli fa. Sulle porte seicentesche di Genova avevano infatti  il posto d'onore statue della Vergine "regina e custode della città" scolpite da valenti artisti. Demolite nell'Ottocento le porte, le statue furono  salvate. Quella di porta della Lanterna, opera di Bernardo Carlone, trovò posto in un oratorio e vi rimase fino al 1937, quando la collocarono su un piedistallo proprio al molo Giano, a "protezione celeste" del porto.  Nel 1944 una bomba d'aereo la scaraventò in mare. Ripescata malconcia due anni dopo, venne restaurata dallo scultore Armando Del Sette e ritornò sul suo piedistallo (molti anni fa, Del Sette mi parlò a lungo di quel restauro, lo considerava l'evento più importante della sua vita artistica).  Nel 1997, costruita la nuova Torre dei piloti ora abbattuta, si progettò di ornarla con la veneranda immagine. L'Autorità portuale, però, prese una decisione che oggi sembra essere nata da un presentimento: fece eseguire e collocare nel posto previsto una copia della statua e mise al riparo l'originale in una sala di Palazzo San Giorgio. Là, d'ora in poi, ricorderà ai visitatori le nove vittime del molo Giano.

sabato 11 maggio 2013

Andreotti

La commemorazione di Andreotti (pagine e pagine di giornali, video interminabili) mi è sembrata, a dir poco, contraddittoria: troppe parole per sostenere, in tanti, la stessa cosa che mio nonno Filippo diceva, con sprezzante concisione, quando decedeva uno dei suoi nemici: "A l'era 'na carogna, da viv e da mort". Per un Andreotti trapassato con l'opprimente sudario di una simile nomea, la misura giusta poteva essere una frase in fine di telegiornale. Il di più mi è sembrato un inutile esercizio di allusioni, sogghigni e anche polemica contro i soliti bersagli vivi. Si obietterà che Andreotti fu a lungo protagonista della politica italiana: allora era forse il caso di commemorarlo in altro modo, senza dilungarsi, quasi esclusivamente, sulle pulci nella criniera d'un cavallo di razza. Della Prima Repubblica che vide il fulgore andreottiano io ricordo due cose che rimpiango, l'esenzione ventennale dalle imposte per le case di nuova costruzione e l'emissione di Buoni del Tesoro novennali al portatore, con l'interesse del cinque per cento. Del trapasso dell'altro giorno mi ha colpito il rosario tra le dita del morto. Forse i conclamati Misteri del Divo Giulio erano quelli da recitare sui grani più importanti della coroncina, subito dopo le dieci Ave Maria e prima del Pater.

domenica 5 maggio 2013

La gallina

Antonio Banderas che promuove le fette biscottate parlando con la gallina Rosita è una gradevole novità nel mondo pubblicitario della Tv. Mi piace in modo particolare perché mi fa evocare i tempi del primo dopoguerra, quando anch'io parlavo con due galline, Bianca e Frifrin, che giravano sul terrazzino e per casa, scodellando ogni tanto preziosissime uova.  Erano momenti ancora duri per le provviste e quasi ogni famiglia aveva creato un pollaio domestico, partendo dai pulcini. Le mie galline erano socievoli e anche intelligenti, al contrario di quanto sostengono Cochi e Renato in una nota canzoncina. Del resto, anche la Storia si è occupata, oltre che delle oche del Campidoglio, di galline: un'antenata di Rosita, che si chiamava Roma, era la confidente preferita di Onorio, l'imperatore che si divise con il fratello Arcadio l'impero romano. Fuggito a Ravenna dalla Capitale minacciata  da Alarico, l'imperatore aveva trovato rimedio alla sua solitudine dedicandosi alla gallina. Un giorno lo raggiunse un servitore, annunciandogli che Roma era perduta. "Ma come? - gridò costernato l'imperatore - se poco fa era qui che mi beccava in mano!". "Ma no, mio Signore, parlo dell'Urbe, non della gallina". "Meno male!" disse, sollevato, Onorio.