mercoledì 21 agosto 2013

Oga Magoga

Temo che non leggerò mai il romanzo "Oga Magoga" scritto da Giuseppe Occhiato, scomparso nel 2010: mi rende lontana questa ipotesi la mole del lavoro (1785 pagine  in tre tomi) che si riverbera anche sul prezzo, circa sessanta euro. Nella mia vita ho letto poche opere di misura extra size, così a memoria ricordo Soffici, Pratolini e soprattutto Bacchelli con l'avvincente "Mulino del Po". Lascio però una porta aperta all'eventualità, perché mi attrae il linguaggio usato da Occhiato, un misto di italo-calabrese  che deve aver dato nuova linfa allo sfruttatissimo italo-toscano (Camilleri e D'Arrigo insegnano). Un'altra cosa che mi attrae nel libro di Occhiato è il titolo "Oga Magoga". Mi ha riportato con la memoria ai tempi in cui, giovane padre, cercavo di porre rimedio ai capitomboli e alle testate dei miei figli asciugando i loro lagrimoni e recitando una filastrocca abbastanza scema che diceva: "Oga Magoga, mio zio caporale, quando è guarito non fa più male". I bambini finivano per sorridere e dimenticare le disavventure. Ora, tramite il computer, ho scoperto che Oga Magoga deriva, addirittura, dall'Apocalisse di San Giovanni, che cita misteriosi e minacciosi popoli chiamati Og e Magog. Mamma mia, come scusarmi di quella filastrocca?

giovedì 15 agosto 2013

Il giallo

Il catalogo periodico della libreria antiquaria Bardini offre "Il delitto di vico Squarciafico", stampato nel 1920. E' una chicca bibliografica, probabilmente il primo libro giallo che sia stato scritto a Genova. L'autore, Gerardo Sileo, era un poliziotto, sicuramente più bravo nel suo mestiere che nei panni dello scrittore. Il libro tuttavia è di piacevole lettura e poi riferisce fatti veri. Ero geloso possessore di una copia di quell'opera  quando, parecchi anni fa, m'interpellò un amico libraio, Claudio Tassotti: "Lei ce l'ha il "Delitto di vico Squarciafico?". "Certamente!". "Allora senta: io ho un cliente che servo da molti anni. Ora, purtroppo, si è ammalato e ne ha per poco. Mi ha detto: "Sai Claudio, prima di morire vorrei rileggere "Il delitto di vico Squarciafico". Me ne procuri una copia?". Sto cercando per mare a per terra, ma non la trovo. Lei mi darebbe la sua?". Rinunciai al libro senza fiatare, si trattava di un doloroso caso umano. Passarono anni, poi un giorno il libraio mi disse d'aver trovato un esemplare del giallo di Sileo e me lo consegnò con mille ringraziamenti. Non ho più aperto quel volume, non vorrei guastare l'alone magico che lo circonda: quante altre opere letterarie hanno fatto venire a un moribondo la voglia di un'ultima lettura?

venerdì 9 agosto 2013

Il bar

Umberto Bossi è notoriamente capace di sfornare frasi destinate a fare costume: questa, per esempio: "La casa d'un uomo è dov'è il suo bar". E' il geniale capovolgimento del ritratto dell'uomo medio che frequenta il bar sotto casa: stavolta è il bar a dire dove l'uomo eleggerà il suo domicilio. Non so se gli inglesi, la cui religiosa frequentazione del "pub" è ben nota, abbiano le stesse priorità indicate da Bossi, comunque non me ne stupirei. Personalmente non frequento bar sotto casa e non ho scelto casa vicino al bar prediletto: il mio cuore ballerino mi vieta caffè e alcolici. C'è stato però un tempo in cui ogni mattina andavo a far colazione nel bar più elegante di Chiavari, il Defilla. C'erano la guerra e il razionamento, avevo diritto a mezzo decilitro di latte al giorno, non abbastanza per la mia fame. Avevo però scoperto che da Defilla continuavano a servire cappuccini: così,  prima di entrare nella scuola elementare lì vicino, tiravo fuori di tasca il mio tozzo di pane e mi concedevo, a un tavolino del bar, un'indimenticabile  pausa dolce e profumata, che lasciava anche una traccia: un po' di schiuma di latte sulla punta del mio naso. Dopo tanti anni, sentendo dire che gli stranieri in Italia stravedono per il cappuccino, li capisco perfettamente.

sabato 3 agosto 2013

Il ciuccio

Facciamo un po' di fantacronaca: "Un nostro lettore ci ha inviato una fotografia, scattata per strada, in cui si vedono una signora e il suo cane di media taglia. Al collare dell'animale è attaccato, con una catenella, un ciuccio, di quelli che si usano per far star buoni i bambini. Abbiamo interpellato un veterinario sulla possibilità che un cane possa usare un ciuccio. Ci ha dichiarato: "Escludo questa ipotesi. La conformazione della mandibola canina è tale che l'animale non può atteggiare le labbra come per dare un bacio, gesto che fanno i bimbi per ricevere e usare il ciuccio. Il cane, infatti, non bacia il padrone, ma, per esprimere affetto, lo lecca". La società per la tutela del cane ha confermato quanto detto dal veterinario, sottolineando la crudeltà della scelta di dare all'animale un oggetto che lui non può usare. Siamo allora riusciti a trovare la padrona del cane, che ha dichiarato:"Cosa volete, sono distratta. Ho dimenticato di togliere il ciuccio dopo che il bambino, per gioco, l'aveva attaccato lì". "Signora, per distrazione, non avrà anche dato un osso a suo figlio?". La risposta è irriferibile". Come dice la parola fantacronaca, questo è un testo giornalistico inventato. C'è una sola cosa vera: a Genova sta circolando un cane con un ciuccio attaccato al collare.