domenica 30 novembre 2008

Una targa e una via

In piazza Corvetto, a Genova, è stata inaugurata una targa che ricorda il sacco della città, nel 1849, da parte delle truppe sabaude comandate dal generale La Marmora. La targa parla di violenze sull' "inerme popolazione genovese" e di "morte di molti pacifici cittadini". Leggo però sul dizionario delle strade di Genova alla voce "via Angelo Ceppi": "Maggiore dei carabinieri (1803-1849). Dedicatosi giovanissimo alla carriera militare il Ceppi venne inviato a Genova per esplicare le sue mansioni nel periodo che precedette i moti del 1849. Nonostante la convenzione, tra l'esercito piemontese e i rivoltosi, di salvaguardare i militari, Angelo Ceppi fu trucidato". La targa di piazza Corvetto non ricorda che Genova si era ribellata: è una rimozione che risalta maggiormente dal momento che il testo della lapide si conclude così: "Affinché ciò che è stato troppo a lungo rimosso non venga più dimenticato, il Comune di Genova pose". Insomma, si chiude con le vecchie rimozioni ma si ricomincia con le nuove. La cosa non sorprende, viste le opposte tesi sul famoso G 8 genovese. Rimane un problema: a rigor di logica l'intitolazione della via ad Angelo Ceppi è incompatibile con il significato della targa di piazza Corvetto.

lunedì 24 novembre 2008

Ricercatori di cattedre

Il Presidente della Repubblica dice che la parola "dialogo" è ormai consunta. Sono d'accordo. Conosco però un altro vocabolo che forse è ancora più consunto: si tratta della "ricerca". Quotidiani, telegiornali, dibattiti pubblici e cortei vari ne stanno facendo un uso smodato e per la maggior parte improprio. Mi spiego: un tempo all'università i ruoli e i compiti erano molto più chiari di adesso: c'erano i titolari di cattedra, gli incaricati, i liberi docenti e gli assistenti. I cattedratici facevano lezione e gli assistenti curavano i "seminari" , insegnando il metodo della ricerca e indicando gli strumenti utili alla ricerca stessa. Punto e basta. Poi, un giorno, qualcuno della Comunità europea disse che i rigorosi limiti nei bilanci potevano essere travalicati solamente in caso di finanziamenti alla ricerca. Da quel momento, all'università, sparirono gli assistenti e dilagarono i "ricercatori". Cambiati i nomi, le aspirazioni rimasero tuttavia le stesse: gran parte dei ricercatori dell'università ricerca soprattutto una cattedra. Una meta più che onesta, intendiamoci; ma fare un unico mucchio di queste persone e dei ricercatori autentici serve solamente ad ingigantire un problema che gigantesco non è. Meglio ridividere i ruoli, cominciando dalle denominazioni.

mercoledì 19 novembre 2008

La signora Minnie

Se n'è andata in avanzata età la scrittrice Minnie Alzona, protagonista per molti anni della cultura genovese. E' stata commemorata sui quotidiani con la citazione dei titoli dei suoi libri più noti. Nessuno però ha ricordato un volumetto antico di Minnie, intitolato "Il giro del fronte". E' un'operina importante dal punto di vista storico, specialmente quest'anno che si celebrano i novant'anni dalla Grande Guerra. Quando il conflitto finì, furono le donne a partire verso le prime linee ormai deserte, per vedere di persona il teatro delle battaglie che avevano sostenuto da lontano lavorando per il fronte interno. Quel pellegrinaggio a gruppi si chiamava appunto "Il giro del fronte". Minnie lo fece da ragazza e lo raccontò. L'altro giorno sul "Corriere" Magdi Cristiano Allam si chiedeva che cosa ci fosse mai da ricordare, il 4 novembre, dell"inutile strage". Gli è sfuggito il risvolto personale, familiare di quella guerra. Ogni italiano di vecchia data ha avuto un parente in grigioverde, in quegli anni: mio padre era un diciassettenne volontario in artiglieria, mio nonno dirigeva un ospedale militare, due mie zie erano crocerossine, uno zio materno finì in campo di concentramento, suo fratello fu accusato di diserzione e assolto. Uno zio di mia moglie cadde in combattimento e fu decorato con medaglia d'argento al valor militare. Nulla di ciò che essi hanno fatto può essere dimenticato.

sabato 15 novembre 2008

Perché Bellagamba

"Così parlò Bellagamba" è un evidente omaggio al "Bellavista" di Luciano De Crescenzo pubblicato trent'anni fa. E' anche un ricordo del cognome di un farmacista che, il 26 luglio del1943, mi svillaneggiò davanti a una platea di clienti perché gli avevo chiesto una medicina usando l' "italianissimo voi" che mi avevano insegnato a scuola. Proclamò a gran voce che lui era sempre stato antifascista e che era ora di finirla con il voi e di ritornare al lei. Mi affrettai a compiere la conversione linguistica, perché la medicina mi occorreva, ma che fatica! Del " lei" conoscevo i soli ingredienti tratti dalla vecchia traduzione di un romanzo francese trovato in casa. Così dissi: "Ella sarà così gentile da porgermi un vasetto di pomata per le bruciature". Mi ritrovai fuori dall'uscio. Terzo ricordo, il titolo (identico) di una mia sfortunata rubrica giornalistica che fu soppressa dopo un paio di uscite perché avevo osato scrivere che l'ingresso monumentale del Palazzo Ducale di Genova dal lato di piazza De Ferrari era un falso pacchiano da eliminare e che la gente avrebbe meglio capito la grandiosa architettura del palazzo entrando dal vero portone, quello di piazza Matteotti. Devo ancora sapere a chi pestai i piedi quella volta, spero che non fosse un altro farmacista.

lunedì 10 novembre 2008

Pesso prima bon

Il gioco delle figurine era fondamentale per noi ragazzi. Si tiravano verso un muro infilandole tra due dita e chi più si avvicinava aveva la precedenza nella fase successiva. Si raccoglievano le figurine lanciate, si appoggiavano al muro e si lasciava che sfarfallassero verso il basso. Chi era di turno nella scelta diceva testa o croce e prendeva le figurine che cadevano nel modo da lui scelto. Qui cominciava il contenzioso: se le figurine erano cadute a piombo invece di sfarfallare oppure se si erano sovrapposte nella caduta si poteva reclamare l'annullamento e la ripetizione del lancio. Se, tuttavia, durante il volo, qualcuno gridava "Pesso prima bon tersa pela" ogni reclamo veniva precluso e il lancio era valido a tutti gli effetti. Che cosa significasse la frase magica nessono lo sapeva ma tutti si adeguavano. Oggi che c'è la crisi della giustizia per i processi troppo lunghi, si potrebbe pensare a una soluzione del genere: il presidente del tribunale di primo grado legge la sentenza e poi dice: "Pesso prima bon tersa pela" . In tal modo il verdetto diviene immediato e definitivo come il fischio di un arbitro di calcio. S'inventerà magari un appello televisivo come quello di Biscardi, ma non avrà alcuna efficacia pratica.