domenica 28 luglio 2013

Alpini

A Bergamo è morto il presidente degli alpini locali. Un vigile, anche lui alpino, ha regolato la folla presente al funerale tenendo in testa il cappello con la penna nera. E' finito sotto inchiesta per "divisa non regolamentare" e perderà  probabilmente dieci giorni di paga. Conoscendo gli alpini e il loro modo di pensare, sono sicuro che l'accusato dirà "Signorsì" e non si curerà più di tanto della punizione, nell'intima certezza d'aver fatto una cosa giusta; perché gli alpini sono  rigorosi nell'osservanza delle leggi, ma vivono di idee e di sentimenti assolutamente autonomi. Sono gente simpatica, con un fortissimo legame tra commilitoni. Le loro sezioni, piene di targhe e di foto evocative, sembrerebbero musei se non fosse che ad ogni ora del giorno risuonano di voci infervorate, che discutono temi del passato o di attualità. La silenziosa fratellanza di questi uomini con la penna nera è commovente. Mi raccontava un capogruppo: "Quando ci accorgiamo che uno dei nostri alpini versa in condizioni economiche disagiate, andiamo a casa sua e gli riempiamo il frigo". E' passata così nella vita civile la tradizione della sussistenza, della pagnotta, del rancio portato in trincea sotto le bombe. Dopo tutto, anche noi oggi siamo dei bombardati.  

lunedì 22 luglio 2013

Cantando

Una volta, passando per strada, si sentiva qualcuno cantare, ora non più. Il mio ricordo più antico di questa bella usanza risale ai primi anni Quaranta, quando il garzone di un negozio veniva nelle nostre scale e intonava "Un'ora sola ti vorrei" sperando d'intenerire una servetta che lavorava al terzo piano. Era una canzone d'amore contrastato ma speranzoso, divenne poi un tormentone antifascista, perché qualcuno immaginò di rivolgersi al Duce, reo dell'entrata in guerra. Ricordo poi i canti pagani e religiosi nei pellegrinaggi alla Guardia e le ottave malandrine dei miei operai sullo scavo archeologico di Vulci. Tutto finì con il karaoke, quando il canto divenne un impegno più che uno svago. Il "Corriere" dell'altro giorno ha citato le compagnie piemontesi che in quaresima andavano a "canté j'euv", a cantare le uova, per farsi offrire la merenda dai contadini. Anche al di qua dell'Appennino c'era un'usanza simile, ma a parti invertite: in Val Polcevera, infatti, erano i contadini ad andare a cantare di villa in villa nel periodo autunnale, per augurare buona fortuna ( con la speranza di una mancia) a chi si apprestava al rientro in città dopo le vacanze. Erano auguri dallo strano nome, "Cantegue". Oggi diremmo "canzoni a chilometri zero".

martedì 16 luglio 2013

Riposo Tv

Alla mia età è comprensibile l'abbiocco davanti alla Tv accesa: in tal caso, il sonnellino riesce meglio se il teleschermo non trasmette sparatorie. L'ideale è una partita di "snooker", con le palline del biliardo che fanno appena tac al contatto fra loro e s'infilano silenziosamente in buca. Forse sarebbe il caso di vergognarsi di questa fuga dagli spettacoli meno tranquillizzanti; mi conforta tuttavia apprendere, dal "Corriere Economia", che gran parte del popolo norvegese è della mia idea e ha inventato "la Tv più noiosa del mondo" basata su telecamere installate per ore su un treno, su lavori a maglia e all'uncinetto e su navigazioni nei fiordi. Il record di telespettatori è stato raggiunto da una stazione Tv che ha trasmesso un'intervista di trenta ore a un popolare autore di gialli. Di fronte a quest'ultima notizia ho trasferito l'attenzione dai gusti dei telespettatori agli autori di thriller: ho pensato infatti a mio figlio Claudio che  ha appena pubblicato il suo quarto giallo  ("L'enigma di Leonardo") ed è un tipico genovese taciturno: come se la sarebbe cavata di fronte a un'intervista di trenta ore? A un doge nostrano condotto a forza a Versailles fu chiesto che cosa lo meravigliasse di più in tutto quel fasto: rispose "Mi chi (io qui)". Tre secondi.

mercoledì 10 luglio 2013

Bambini

Da buon ipocondriaco,  leggo volentieri le rubriche mediche sui giornali, c'è sempre qualcosa da imparare,  sia dal lato positivo sia da quello negativo.  Ecco il caso di una mamma apprensiva che ogni sera fa l'aerosol con soluzione fisiologica alla figlioletta di 22 mesi al solo scopo di prevenire tosse e raffreddori. Chiede se fa bene. La pediatra titolare della rubrica le risponde consigliandole di sostituire l'aerosol con sistematici lavaggi nasali da praticare con un siringa, sempre con soluzione fisiologica: "Il lavaggio - prescrive -  va eseguito anche quando il bambino sta bene, almeno due volte al giorno. Se il lavaggio è ben fatto, il liquido inserito uscirà dalla narice opposta o, in caso di ipertrofia adenoidea, dalla stessa narice". Tutto questo per evitare qualche colpo di tosse o qualche sternuto. Mi è ritornata in mente la prima volta che uno dei miei figli (non ricordo quale dei tre) fece "eccì": era piccolissimo, mi guardò stupito, poi si mise a ridere della novità. Mi congratulo con me stesso per non aver acchiappato per la collottola due volte al giorno la mia prole per praticarle il lavaggio nasale e penso con profonda tristezza a quella creatura di 22 mesi presa tra l'incudine della madre e il martello della dottoressa. Che infanzia l'attende!

giovedì 4 luglio 2013

Esposito

Se l'avessi saputo in tempo sarei andato anch'io alla cerimonia organizzata in Albaro per ricordare i 35 anni dall'uccisione del commissario Antonio Esposito, vittima dei brigatisti. Il funzionario, quando fu assassinato a colpi di pistola su un bus urbano, era senza scorta e disarmato; eppure sapeva che i terroristi l'avevano nel mirino dopo che si era distinto nella caccia ai latitanti come componente della squadra politica torinese. Ma lui era fatalista e rassegnato, intuiva che il trasferimento al commissariato di Nervi, deciso per salvargli la vita, non sarebbe bastato. Lo conobbi  in una delle tante sere drammatiche del periodo più duro del terrorismo: era scoppiato uno stranissimo incendio nel parco di Villa Imperiale a San Fruttuoso e si parlava di attentato. Arrivai sul posto quando già i vigili del fuoco avevano concluso l'intervento; c'era la polizia, il parco era immerso nel buio, si sentiva odor di bruciato. Esposito, alle mie domande, allargò le braccia: "Dobbiamo aspettare - disse - se è un attentato ci sarà una rivendicazione". "Non abbiamo altri appigli - continuò - loro sanno chi siamo e dove siamo, noi no". Aveva la corporatura e il volto pacioso di un buon meridionale: un bersaglio troppo facile per dieci colpi sul bus.