giovedì 4 luglio 2013

Esposito

Se l'avessi saputo in tempo sarei andato anch'io alla cerimonia organizzata in Albaro per ricordare i 35 anni dall'uccisione del commissario Antonio Esposito, vittima dei brigatisti. Il funzionario, quando fu assassinato a colpi di pistola su un bus urbano, era senza scorta e disarmato; eppure sapeva che i terroristi l'avevano nel mirino dopo che si era distinto nella caccia ai latitanti come componente della squadra politica torinese. Ma lui era fatalista e rassegnato, intuiva che il trasferimento al commissariato di Nervi, deciso per salvargli la vita, non sarebbe bastato. Lo conobbi  in una delle tante sere drammatiche del periodo più duro del terrorismo: era scoppiato uno stranissimo incendio nel parco di Villa Imperiale a San Fruttuoso e si parlava di attentato. Arrivai sul posto quando già i vigili del fuoco avevano concluso l'intervento; c'era la polizia, il parco era immerso nel buio, si sentiva odor di bruciato. Esposito, alle mie domande, allargò le braccia: "Dobbiamo aspettare - disse - se è un attentato ci sarà una rivendicazione". "Non abbiamo altri appigli - continuò - loro sanno chi siamo e dove siamo, noi no". Aveva la corporatura e il volto pacioso di un buon meridionale: un bersaglio troppo facile per dieci colpi sul bus.

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