venerdì 28 giugno 2013

La Bardot

La scomparsa di Gigi Rizzi, il play-boy che conquistò il cuore di Brigitte Bardot, ha riportato d'attualità Saint Tropez e il gruppo "des italiens" al vertice del gossip nell'estate 1968.  Degli  assalti a fortezze femminili dispostissime ad alzare bandiera bianca ricevevamo, al Decimonono, resoconti di prima mano grazie al nostro collega Nino Cavassa, che vantava una preziosa amicizia con Beppe Piroddi, sicuramente il numero due, dopo Rizzi, del "commando" italiano sulla più celebre spiaggia di Francia. Nino era chiamato Cavassino per distinguerlo dal padre, direttore del giornale. Proprio quell'ingombrante parentela era stata causa, secondo lui, della sua limitata carriera redazionale, non adeguata alle reali capacità. Al Cavassino, molto sensibile alle attrattive del gentil sesso, sembrò di toccare il cielo con un dito quando riuscì a raggiungere gli irresistibili italiani di Saint Tropez.  Aspettavamo il suo rientro con grande curiosità, gìà pronti a fare la tara al  suo "decamerone"; invece il collega ritornò deluso: "Saint Tropez? Un posto noiosissimo, stavo tutto il giorno a far niente...". "E la Bardot?": "E' una ragazzetta insulsa e scontrosa. Molto meglio le genovesi del Lido...". Lo coprimmo d'insulti, ci aveva distrutto un mito.

sabato 22 giugno 2013

Quel bottone

La fotografia ufficiale di Obama con il Presidente cinese in visita negli Usa ha mostrato i due statisti senza cravatta e con  il colletto della camicia aperto. Sembravano voler dire al mondo: "Siamo uguali, tra noi ci capiamo". Questo segnale affidato all'abbigliamento è molto diffuso anche tra i politici di sinistra di casa nostra, che mettono in evidenza il colletto slacciato nei vituperati (da Grillo) talk show e nelle apparizioni pubbliche. Nulla di nuovo sotto il sole, ai tempi della guerra fredda i militanti comunisti dichiaravano la loro fede portando baffi a spazzolone (è un'usanza ancora vitale, sebbene in declino); ai tempi del Sessantotto i contestatori affidavano invece il loro credo ai capelli alla paggio. I vecchi massoni usavano segnali più riservati, quando ti davano la mano premevano con un dito sul polso: se la pressione veniva restituita, il silenzioso riconoscimento era cosa fatta. Adesso questa faccenda del colletto slacciato allarma i produttori di cravatte: durerà per sempre? Si rassicurino,  armato di lente d'ingrandimento ho scrutato decine di foto sui giornali: ebbene, in molti hanno slacciato il colletto, ma nessuno, neppure il Presidente cinese, ha tolto il bottone e ricucito l'asola. Le cravatte finiranno per ritornare.

domenica 16 giugno 2013

La Darshanova

Al Decimonono di tanti anni fa era tenuto in gran conto Carlo Marcello Rietmann, un vero principe dei critici teatrali e musicali. Ascoltarlo narrare i suoi incontri con le più grandi firme dello spettacolo era un vero godimento; c'erano però colleghi scettici che non credevano a tutto e tramavano per far cadere Marcello in qualche trappola. Inventarono la Darshanova, danzatrice russa "il cui apogeo era coinciso con il crollo degli Imperi Centrali" e si misero a parlarne con fervore ogni volta che l'amico critico arrivava a portata d'orecchio. Marcello non interveniva,  si barcamenava con qualche "già" e qualche "eh, eh", come fa chi non vuole mentire ma neppure ammettere un'imperdonabile lacuna professionale. Il gioco andò avanti per alcune sere, finché un collega troppo fantasioso raccontò che la Darshanova, in età non più verde e ormai in pieno declino, era caduta in scena durante un'esibizione a Voghera. Prontamente rialzata aveva dichiarato ai giornalisti: "Né di giorno, né di sera danzerò mai più a Voghera!".  La rima fece scoppiare una risata generale e la finzione finì. Marcello non se la prese, anzi dichiarò : "Sapevo benissimo che la Darshanova non è mai esistita, stavo al gioco per vedere dove andavate a parare...". Forse era vero.

lunedì 10 giugno 2013

Don Gallo

Il silenzio di papa Francesco sulla morte di don Gallo è stato significativo. Sembra che il Pontefice abbia voluto sottolineare ciò che è mancato nella pur meritoria parabola esistenziale del  "prete di strada" genovese: il silenzio, appunto. In passato molti apostoli della carità hanno fatto del riserbo la loro norma di vita, ricevendo poi, in morte, la glorificazione delle loro benemerenze. A Genova c'è stato un grande esempio di questa assistenza nell'ombra, quello di Bianca Costa.  Don Gallo, invece,  sceglieva sempre il clamore, la provocazione. Certo, ne aveva necessità per procacciare sostegno alla sua opera di soccorso agli "ultimi"; sta di fatto, tuttavia, che finiva per trovare soprattutto sostenitori poco abbienti, parecchi dei quali applaudivano le sue esternazioni mirando a scopi diversi dalla carità cristiana. E poi, i bambini... Che cosa hanno imparato i bambini dalle incursioni verbali di don Gallo, dal suo procedere su un filo sottilissimo tirato tra l'ortodossia e la trasgressione, tra il sacro e il profano? Lo scomparso non meritava certo che gli si legasse al collo la macina che Cristo, nel Vangelo, destina a chi scandalizza i piccoli.  Ma qualcosa di più lieve credo che gli toccasse. Un cartellino giallo, insomma. L'ha avuto dal Papa?

martedì 4 giugno 2013

Franca Rame

Sfogliando il volume sulla storia del Decimonono, ho trovato la data del mio emozionante incontro con Franca Rame: era il 18 aprile del 1973, giorno della sentenza del Tribunale di Genova contro la "banda 22 ottobre", un gruppo di semidisperati che dovevano rispondere di un omicidio per rapina e di un sequestro di persona; il tutto per finalità "rivoluzionarie". Quasi brigatisti ante litteram, insomma. Dopo la severa sentenza, centinaia di persone che avevano assistito alle udienze del lungo  processo sottoponendosi alla trascrizione dei documenti d'identità, a perquisizioni, a riprese filmate, uscirono dal salone di Palazzo Ducale e si riversarono in piazza De Ferrari, gridando contro i giudici. Fu a quel punto che un po' più in là, vicino alla chiesa del Gesù, vidi  Franca Rame, anche lei uscita, come me, dal palazzo.  Sembrava in procinto di svenire: pallidissima in  volto, con le labbra tremanti, mormorava parole dure almeno quanto lo era stata la sentenza. La sorreggeva un giovane, forse un attore della sua compagnia. Nessun altro intorno a lei, non c'erano giornalisti con il taccuino o fotografi: era lo sfogo sincero di una donna - una bellissima donna - che viveva le sue convinzioni fino a somatizzarle, fino allo svenimento. Penso a lei con rispetto.