domenica 25 settembre 2011

Nini Paglieri

E' un dolore privato quello per la perdita di mio cugino Nini Paglieri, industriale dei cosmetici, perito per un malore nella piscina della sua casa, a Cascinagrossa. Voglio però che del tragico evento rimanga memoria anche in questo diario elettronico. Con Nini ci eravamo incontrati per la prima volta nella villa dei suoi nonni, a Castelceriolo. Era l'8 settembre del 1943, la radio trasmetteva l'annuncio dell'armistizio. Nini aveva quattro anni, io - orfano di padre da pochi giorni - dieci. La guerra ci disperse nei rifugi, nei paesi, sulle colline, ma le nostre famiglie non cessarono mai di mantenere i contatti. Ci ritrovammo con il ritorno della pace e, da allora in poi, ci demmo appuntamento ogni anno, a mezzogiorno del primo Novembre, davanti alle tombe dei nostri vecchi, nel cimitero di Alessandria. Mantenemmo l'impegno per 65 anni: una preghiera per chi se n'era andato, una carezza ai figli cresciuti, il racconto degli ultimi eventi a scuola e sul lavoro. Poi a tavola con gli altri cugini, giunti da Torino, da Novi, persino dal Kenia. Nini, ospite generosissimo, era sempre puntuale e affettuoso, anche se non credeva ciecamente nei legami di sangue. Diceva "E' importante che siamo parenti, ma è soprattutto importante che siamo amici veri". Avevi ragione, Nini, con te ho perduto un grande amico.

lunedì 19 settembre 2011

Contrabbando

ll postulante che assediava Enrico Bassano per ottenere recensioni, non era troppo gradito come visitatore del giornale; era invece benvisto un simpatico arruffone, di cognome Aguggia, che praticava un piccolo traffico ai limiti della legge, proponendo più o meno gli stessi articoli che si trovavano sui banchetti di via Pré, ma a prezzi leggermente più favorevoli: per questo era soprannominato "l'onesto contrabbandiere". Nella sua borsa si potevano trovare i famosi "zippi", gli accendini che parevano lanciafiamme; le macchinette "originali Ronson" ambitissime dalle signore fumatrici; soprattutto stecche di sigarette con la fascetta "Sea Store"(cioè "provvista di bordo") che arrivavano direttamente dall'America ed erano - si diceva - molto più buone delle consorelle della stessa marca uscite dalle fabbriche europee. L'"onesto contrabbandiere" offriva anche, sporadicamente, i "rand" sudafricani, monete d'oro fuori commercio in Italia per via della lotta all'apartheid. Il "clou" delle vendite veniva raggiunto quando apparivano le sigarette e proseguiva poi quando uscivano dalla borsa pregiati pezzi di "mosciame", carne essiccata ottenuta sottraendo il filetto a sventurati delfini. Cibo ecologicamente scorretto ma insuperabile complemento, a fettine sottili, di gustose insalate di pomodori.

martedì 13 settembre 2011

Raccomandazioni

Enrico Bassano era, negli anni Cinquanta, il critico musicale e teatrale più seguito di Genova e ogni suo intervento sul "Secolo XIX" veniva letto, riletto e commentato dagli artisti. Tanta autorevolezza comportava anche il fastidioso onere delle raccomandazioni, delle quali era assiduo portatore uno di quei personaggi un po' misteriosi che da sempre si aggirano nei giornali. Bassano, pro bono pacis, subiva l'assedio del postulante con buona grazia e s'infilava in tasca i biglietti con i nomi dei raccomandati, spesso dimenticandosene. Il che provocava recriminazioni e scuse, con promesse "per la prossima volta". Una sera Bassano sta per uscire dal giornale e si ricorda improvvisamente di aver garantito un "soffietto" per una signora, protagonista di un concerto alla "Serenissima". Non ha assistito all'esibizione, comunque ritorna alla scrivania e scrive quattro righe magnificando l'impostazione della voce, la sicurezza nei gorgheggi e la grazia dell'artista nel recitato. Spedisce il tutto in tipografia e se ne va. Il giorno dopo, arrivando al giornale, scorge il raccomandante che l'aspetta sul portone: "Hai visto - gli dice - che mi sono ricordato? La finirai di dire che non mantengo mai le promesse!". L'altro si mette una mano sulla fronte e geme: "Bassàn, a l'èa 'na pianista!" (Bassano, era una pianista!).

mercoledì 7 settembre 2011

Scialla

Al festival di Venezia hanno proiettato un film che s'intitola "Scialla". Il regista, Francesco Bruni, ha spiegato che la strana parola scelta per il titolo ricorda un certo slang giovanile romano e significa "Stai calmo, non te la prendere". Lui stesso si sente dire "Scialla" una cinquantina di volte al giorno dai figli adolescenti. Che i giovani romani abbiano adottato questa forma gergale non c'è dubbio, ma che si tratti di romanesco ho i miei dubbi: non occorre essere dei gran linguisti per capire che "scialla" è stato portato a Roma dagli extracomunitari arabi nella sua forma originale "Insciallàh" che significa "E' volere di Dio". Gli arabi usano con frequenza questa esclamazione (che ha dato anche il titolo a un romanzo della Fallaci) per esprimere il fatalismo religioso che accompagna, nei successi e nelle crisi, la loro esistenza. Se, adesso, anche i giovani romani (che già hanno fama di non essere dei fulmini) si mettono a considerare gli eventi grandi e piccoli come fatti ineluttabili ed estranei al volere umano, non siamo ben messi. Una nota nostrana: nell'Ottocento si diceva "Scialla!" anche a Genova: corrispondeva all'italo-partenopeo "sciala popolo!" che commentava ironicamente concessioni micragnose. Luigi Bianchi detto il Boa scriveva: "Scialla, scialla, vivaddio, semmo o popolo ciù istruìo!". Lo siamo ancora?

giovedì 1 settembre 2011

Incendi

Il caldo quest'anno non ci ha dato tregua e non sono mancati, come al solito, gli incendi boschivi. Annunciatori costernati, in Tv, hanno parlato di "autentici roghi di macchia mediterranea". Ai tempi della Prima Repubblica, la musica era diversa: il ministro dell'Interno, Paolo Emilio Taviani, rimasto di guardia a Roma, faceva sapere che la situazione ferragostana in Italia era tranquillissima: "Si segnalano solamente alcuni incendi di macchie". Questo succedeva quando la macchia non si tirava dietro, costantemente, l'aggettivo "mediterranea", così come il cane fa con la sua coda. Uno sentiva degli incendi e pensava: "Bene, l'anno prossimo le more saranno più grosse e più buone!". Invece, adesso, se gli arbusti pigliano fuoco, i Canadair ti sfiorano i capelli per andare a spegnerli. Perché c'è stato questo cambiamento? Credo che la svolta sia avvenuta quando bruciò una parte del monte di Portofino: in quella circostanza uno studioso fece notare che erano andate distrutte delle rare specie vegetali, esclusive di quella zona, denominate "macchia mediterranea". Apriti cielo, da allora la macchia semplice ha cessato di esistere: dovunque bruci uno sterpeto, anche sul Gran Sasso o nelle Dolomiti, è sempre la "macchia mediterranea" ad andare in fumo. Le frasi fatte sono riposanti per il cervello, non per i Canadair.