giovedì 29 aprile 2010

Burocrazia

La burocrazia resiste a oltranza, i roghi di leggi ostentati dal ministro Calderoli non le fanno neppure il solletico. Adesso però c'è una novità, la burocrazia facoltativa. Se dovete del denaro a qualcuno e l'interessato vi chiede di farglielo avere attraverso una ricarica sulla sua carta Postepay, è logico che andiate in un ufficio postale: lì vi toccherà compilare un modulo, indicando le vostre generalità, il numero della vostra carta d'identità (da mostrare) il numero della Postepay da ricaricare e l'importo; dovrete inoltre esibire all'operatore la tesserina con il vostro codice fiscale. A quel punto l'operazione potrà avvenire, al costo di un euro. A tutto questo avete un'alternativa: potete entrare da un tabaccaio che abbia la postazione Lottomatica (quasi tutti), dargli un pezzo di carta con il numero della carta Postepay da ricaricare e consegnargli il denaro. Niente moduli, niente dati personali, niente documenti. In pochi secondi l'operazione sarà eseguita. Costo? Due euro. Vorrei proprio che il sistema si allargasse: se a qualsiasi sportello mi dessero degli stampati da compilare e un elenco di attestati da richiedere e poi mi dicessero: "Se paga un euro in più, può fare a meno di tutto questo", spenderei ben volentieri quel "Vitruvio", pur essendo ormai un mezzo genovese. Ma, ironia della sorte, una boccata di aria buona si trova per ora solamente dai tabaccai.

venerdì 23 aprile 2010

Il duello

Un tempo (parlo dell'Ottocento) fare il giornalista significava anche dover rendere conto dei propri articoli impugnando la spada. E' celebre il duello che segnò la fine di Felice Cavallotti per mano di Ferruccio Macola: uno scontro che cambiò il destino della politica italiana togliendo dalla scena un grande e amatissimo leader della sinistra. Le sfide proseguirono, in tono minore, anche nel secolo successivo: il vecchio direttore del "Secolo XIX", Umberto Vittorio Cavassa, mi raccontava che da giovane faceva un'ora di sala d'armi al giorno, per essere pronto a scendere sul terreno in caso di controversia cavalleresca. Era un'usanza barbarica? Probabilmente sì. La buttò addirittura in ridere Edoardo Ferravilla, nel suo impagabile "Duel del sciur Panera", in cui lo sfidato diceva all'avversario: "Ma se lei continua a muoversi, come faccio a infilzarla?". Sta di fatto che il duello semplificava molto le cose. Ora che non c'è più, abbiamo assistito al grande bailamme della direzione del PDL, alimentato, a quanto pare, anche da articoli del "Giornale" e di "Libero" sulla compagna del Presidente della Camera. Un Fini dei tempi andati avrebbe mandato i padrini a Feltri o a Belpietro e tutto sarebbe finito al mattino presto dietro al convento delle Carmelitane scalze: una feritina al braccio, una riconciliazione d'obbligo. Anche la signora sarebbe stata più contenta.

sabato 17 aprile 2010

Garlasco

L'intervista di "Matrix" ad Alberto Stasi e le conseguenti dichiarazioni colpevoliste della famiglia Poggi hanno riacceso i fari sul giallo di Garlasco. Io sono da tempo convinto che la soluzione vada cercata studiando soprattutto le modalità del crimine. Per parte mia, mi sono fissato su una domanda forse mai formulata nell'inchiesta: "Perché l'assassino, uccisa Chiara, ha trascinato il corpo fino alla scala interna, dietro a una porta?". La sola risposta che ho trovato è questa: "L'assassino voleva togliere il cadavere dalla vista immediata di chi fosse entrato in casa". Nuova domanda: "Quale interesse aveva l'assassino a fare tutto ciò?". Nuova risposta: "L'ha fatto perché voleva proseguire l'agguato ai danni di una seconda vittima". Terza domanda: "Chi poteva essere questa nuova vittima designata?". Terza risposta: "Tutto fa credere che fosse Alberto Stasi, atteso nella casa ma giunto tardi, quando l'assassino, snervato dal lungo appostamento, aveva deciso di rinunciare ed era fuggito". Quarta domanda: "Perché l'omicida non ha aspettato che Chiara e Alberto fossero insieme nella casa?". Quarta risposta: "Evidentemente era solo e non voleva battersi contro due". Stando così le cose, il quesito sul movente potrebbe cambiare ed essere questo: "Perché Chiara e Alberto dovevano morire?".

domenica 11 aprile 2010

De Chirico

Grande mostra a Roma, a cura di Achille Bonito Oliva, sul rapporto tra Giorgio De Chirico e la natura. E' un tema che stava a cuore al celebre artista: me ne parlò nel 1973, quando andai a intervistarlo all'albergo Bristol di Genova. Era cordiale, ma la moglie-manager, Isabella Far, lo teneva bloccato, gli impediva quasi di aprir bocca rispondendo per lui: "Il Maestro non si occupa degli aspetti economici del suo lavoro", "Il Maestro non esprime giudizi sugli altri artisti" e via di questo passo. Riuscii a far tacere la contraerea sparando a mia volta questa domanda: "Maestro, è stato detto che i suoi quadri metafisici sono sciarade senza soluzione. E' vero?". De Chirico stuzzicò la moglie: "E adesso cosa devo rispondere, cara?"; poi si rivolse, finalmente, a me: "Guardi, sui contenuti della mia arte molto è stato inventato dai critici. Che in quei quadri ci sia un po' di mistero è indubbio, ma lo stesso mistero lo si può trovare anche nel miei quadri "fisici", dedicati alla natura, o nei ritratti. E' un'atmosfera costante nella mia opera, ma non è la sua essenza. Conta, soprattutto, fare della buona pittura. Oggi troppi disprezzano la tecnica, ma "techne", in greco, significa arte". La signora Isabella era d'accordo, tanto che, a sorpresa, mi dedicò un sorriso.

lunedì 5 aprile 2010

Pasquinate

Quando, alla fine del Settecento, si scavò il Foro Traiano a Roma, si trovarono 72 colonne smozzicate, ma nessun capitello. Combinazione volle che, proprio in quell'epoca, il Sacro Collegio fosse composto da 72 cardinali. Così, sulla statua di Pasquino, fu affissa questa quartina: "Del purpureo Senato / la vera imago è questa / settantadue colonne / e tutte senza testa". La Pasquinata mi è tornata in mente la settimana scorsa, mentre visitavo la grande fiera commerciale che si svolge alla fine dell'inverno negli stessi padiglioni del Salone Nautico genovese. Avevo uno scopo preciso, cercavo un paio di pantaloni elegantini ma a buon prezzo. Non vi dico la delusione: mi sono trovato di fronte a una marea di giacche di pelle, di fustagno, di tela, di lana: file interminabili, talvolta appese ad altezze vertiginose per attirare la gente da lontano. Niente invece per la parte inferiore del corpo, a parte dieci o dodici jeans che se ne stavano tristemente accucciati in un angolo, tanto da sembrare appena sbarcati da un gommone a Lampedusa. Che fare? Ho preso la direzione dell'uscita, ma prima ho affisso idealmente sui padiglioni una mia Pasquinata alla ligure: "A Fiera Primavera / hanno le idee un po' vaghe: / settantamila giacche / e manco un pa' de braghe".