mercoledì 30 dicembre 2009

L'assessore

A Genova è andata in scena una guerricciola occulta tra l'assessore alla Cultura, il responsabile delle mostre di Palazzo Ducale e il consulente del sindaco per i grandi eventi. Persone con competenze talmente simili tra loro da rendere quasi inevitabile lo scontro, specie in presenza di un budget troppo magro per poter soddisfare le elaborazioni di troppi cervelli. Per contrasto, mi viene in mente un comune viterbese, Canino (sede delle mie lontane esperienze archeologiche) in cui si piange proprio in questi giorni la scomparsa di un assessore alla Cultura che forse avrebbe potuto insegnare qualcosa ai dirigenti genovesi. Questo pubblico amministratore, Roberto Selleri, con fondi centellinati era riuscito a trasformare un vecchio convento francescano in un museo straordinario, da togliersi il cappello. Mi sono chiesto più volte quale fosse il segreto delle realizzazioni dell'assessore, al di là della sua simpatia personale, che era enorme, e della fiducia dei suoi concittadini, che era totale. Sono arrivato a concludere che Selleri raggiungeva i suoi obiettivi perché era lui stesso un produttore di cultura: studiava, faceva ricerche, scriveva articoli e libri. Avrebbe litigato per un vecchio documento o per una scultura etrusca, mai per un budget. Così ha potuto lasciarci qualcosa di reale e d' importante, che onorerà per sempre la sua memoria.

giovedì 24 dicembre 2009

Le transenne

Sono pochi i potenti che non si fanno calamitare dalle transenne colme di popolo plaudente. Forse aumenteranno di numero dopo il fattaccio Berlusconi. Il più strano di questi "bagni di folla" capitò a Sandro Pertini quando andò a visitare la Cina nel 1980. Me ne raccontò i particolari il giornalista Pietro Ferro, al seguito del Presidente. Dunque, quando il corteo arriva nella piazza Tienanmen, il vulcanico Pertini, circondato dai dignitari, comincia a dare segni d'impazienza: "Basta cerimonie - esclama - voglio parlare con il popolo". E si dirige verso le transenne dove un folto gruppo di giovani sta applaudendo. "Tu - ordina, rivolgendosi a uno degli spettatori - fammi una domanda!". Naturalmente il cinese non capisce e cerca soccorso da un vicino, che gli sibila qualcosa, con piglio militaresco. A quel punto Ferro intuisce che gli spettatori sono finti, probabilmente poliziotti in borghese. Allora, da ligure a ligure, dice in dialetto a Pertini: "Prescidente, scià l'ammìe che quello lì o l'è un sbiro" (Presidente, guardi che quello lì è un agente). Pertini, deluso, ritorna nei ranghi. cercando una rivincita a spese di Ferro: "Lei è un maleducato - gli grida - non ci si rivolge in dialetto al Presidente!". Poi però aggiunge, scendendo di tono: "Scià nu scrive ninte, nu l'è u casu..." (Non scriva niente, non è il caso...).

venerdì 18 dicembre 2009

Il cartellino

Il presidente della Repubblica Napolitano ha esortato a continuare a cercare "qualsiasi frammento di verità" sulla strage di piazza Fontana: evidentemente, al di là delle dichiarazioni ufficiali, non tutto è stato accertato come si vorrebbe far credere. Ho letto, anno dopo anno, centinaia di articoli e libri sul terribile massacro, per poter scriverne a mia volta sul "Decimonono"; qualcosa, quindi, ne so. C' è un punto che considero cruciale e che le inchieste non hanno chiarito, quello delle borse di fabbricazione tedesca usate per gli attentati a Milano e a Roma. Ci sono altissime probabilità che quelle borse fossero le stesse che uno sconosciuto aveva acquistato a Padova (regno di Freda e Ventura) nella valigeria Duomo. Marca identica, meno certa la corrispondenza dei colori. C'era la possibilità di raggiungere la prova regina dell' identità: la valigeria Duomo usava infatti appendere alle borse un cartellino particolare, con indicazioni di magazzino e di prezzo. Anche gli inquirenti di Milano avevano tra le prove un cartellino da valigeria, repertato sulla scena del crimine dagli artificieri, ma quando decisero di confrontarlo con quelli di Padova, non riuscirono a ritrovarlo: disperso - dissero - nel "mare magnum" degli incartamenti. In quarant'anni si sarebbe potuto recuperare. Perché non è stato fatto?

sabato 12 dicembre 2009

La Moira

Un vecchio pittore, Giannetto Fieschi, ama rappresentare il destino sotto le sembianze di una tartaruga, "la signora Moira": così la chiama l'artista rifacendosi al nome che gli antichi greci davano alle Parche. La signora Moira mi fece un regalo dieci anni fa (era l'ultimo giorno del millennio) quando permise a un ottimo chirurgo, il professor Antonio Lijoi, di salvarmi con un intervento d'urgenza sull'aorta ostruita. Mi ripromettevo di festeggiare il decennale inviando una bottiglia di champagne al professor Lijoi, per ricordargli quelle ore drammatiche in cui dovette fermarmi il cuore (cioè uccidermi) per operarmi; per dirgli anche che era stato il suono della sua voce a farmi capire che stavo ritornando in vita. Lo champagne non partirà perché Lijoi è morto. Era ancora in buona età, aveva tredici anni meno di me. Da quando, mercoledì scorso, ho letto il suo necrologio sul giornale, m'insegue un pensiero molesto: quello che la signora Moira abbia rivoluto da lui i dieci anni e forse più che ha concesso a me. E' un'impressione assurda, lo so, chissà quante altre vite ha salvato Lijoi: perché dovrebbe essere stata proprio la mia rinascita a indurre la Parca a tagliare il filo dell'esistenza del chirurgo? Ma tant'è, il pensiero rimane. E durerà quanto il cammino della fatale tartaruga.

domenica 6 dicembre 2009

Bienvenido

Andavo qualche volta nella chiesa di Santa Caterina Fieschi per rivedere la sontuosa urna della nobildonna genovese salita all'onore degli altari. Vi sono ritornato venerdì scorso per la Messa di trigesimo d'un amico tragicamente perduto e ho assistito a una celebrazione eucaristica colma di preghiere e di inni in lingua spagnola: nel tempio si riunisce infatti la comunità equadoriana di Genova. Ho ascoltato suppliche e invocazioni che parlavano di solitudine, di sofferenza e ho intuito che i canti, più che glorificare il Signore, davano un po' di speranza, di serenità. Socchiudendo gli occhi, immaginavo di trovarmi in una di quelle missioni d'Oltreoceano, bianche di calce, che vediamo nei film; mi aspettavo che dal portale entrassero il Buono, il Brutto e il Cattivo. A me, che conosco Santa Caterina da una vita, il frate celebrante ha detto "Bienvenido hermano", come se fossi un neofita. Non mi sono adombrato, mi stavo crucciando al pensiero delle nostre chiese ormai deserte, sentivo di amare questo tempio gremito di ragazze minute e brune che cantavano il Pater Noster facendo una catena di braccia. Ho capito che ogni epoca finisce e che le sovrapposizioni di popoli sono fatali. E ho anche pensato: quando la Patria si allontana, il tuo Dio ti segue ovunque.