mercoledì 27 giugno 2012

Mezzo vino

Il gran caldo mi fa pensare alla campagna emiliana, uno dei regni della mia infanzia. Nei poderi di mio zio Andrea - il Follo e i Filagnoni - non si coltivava grano, tutta la produzione era incentrata su frutta e ortaggi. Nonostante questo, si evocavano spesso le fatiche dei mietitori, appena alleviate dal fazzoletto in testa (una specie di bandana) e dal mezzo vino contenuto nelle damigianette da cinque litri, conservate al fresco dei fossi. "Pensate a quei poveretti che fanno i covoni con la falce, voi almeno state all'ombra" ci diceva lo zio, mentre riempivamo di pesche le cassette. Il giorno dopo, però, il sole bollente toccava anche a noi, perchè dovevamo raccogliere i pomodori perini e lì non c'erano, a proteggerci, le chiome degli alberi. A noi ragazzi quel vino annacquato non spettava, ma l'assaggiavamo di frodo quando lo preparavano nelle cantine: il suo gusto ci sembrava delizioso. Ripensando a quel mondo, ho tentato un esperimento per placare l'arsura continua di questi giorni: ho fatto la mezza aranciata, dividendo in due bottiglie il contenuto di una e aggiungendo acqua. Con mia grande sorpresa, ho ottenuto una bevanda gradevolissima, leggera e dissetante. La saggezza del nostri nonni contadini si è rivelata più che mai attuale.

giovedì 21 giugno 2012

Ada Cenni

La settimana scorsa un necrologio sul Decimonono ha ricordato che, quel giorno, Ada Cenni avrebbe compiuto cent'anni. Ada è scomparsa da tempo, come il marito Renato, pittore, giramondo, cineasta e scrittore. Erano una coppia perfetta, lei nei quadri di Cenni compare con un cappellino Belle Epoque e la veletta: un'affascinante modella.  Fuggirono insieme dall'Italia, ai tempi del fascismo e della guerra, lui "anti" e libertario, lei decisa a seguirlo ovunque. Vissero a Parigi e rientrarono quando Badoglio richiamò gli esuli. Ai posti di controllo della frontiere c'erano ancora i vecchi ordini di cattura, così Cenni finì per un po' in cella insieme a un altro ricercato, Giuseppe Saragat, futuro Presidente della Repubblica. Per farla breve, dopo la guerra l'Inps convocò Ada Cenni per dirle che, come esule antifascista, aveva diritto a una pensione speciale. Lei rifiutò: "Non voglio- disse - monetizzare i miei ideali". Il direttore la portò davanti agli sportelli e l'additò alla gente in coda: "Guardatela bene, non vi capiterà più: al contrario di voi, lei la pensione non la vuole!". "Ero rossa di vergogna" ricordava Ada. Quando morì Renato, mi regalò il portacenere del marito, accanito fumatore. E' una civetta di bronzo, un caro ricordo nel cassetto.

venerdì 15 giugno 2012

Biglietti

A Genova, l'ascensore pubblico che porta dalla centralissima via XX Settembre al soprastante corso Andrea Podestà costa ottanta centesimi a corsa. Il tragitto dura circa dieci secondi, dopo i quali il biglietto non serve più a niente. Il biglietto del bus, invece, costa un euro e cinquanta e dura cento minuti. Facendo le dovute proporzioni, il biglietto bus da seimila secondi dovrebbe costare seicento volte il prezzo dell'ascensore, cioè 480 euro. Viceversa, se il biglietto dell'ascensore da dieci secondi avesse un prezzo proporzionale a quello del biglietto bus da seimila secondi, costerebbe meno di un centesimo: una tariffa che non si può neppure pagare, per mancanza di monete adeguate. Vogliamo lasciare il biglietto dell'ascensore a 80 centesimi? Benissimo, allora allunghiamone la validità: proporzionalmente dovrebbe durare un'ora, il tempo di andare al mercato Orientale e ritornare. Particolare interessante: l'ascensore in questione è presidiato quasi costantemente da un controllore che dà la caccia ai portoghesi. Tutto questo mentre, sui bus, chi timbra il biglietto viene guardato con stupore.

sabato 9 giugno 2012

I mattoni

Nessuno l'ha scritto, che io sappia, ma il recente terremoto nel Modenese è stato soprattutto una Caporetto del mattone: le riprese televisive hanno mostrato intere facciate in laterizio finite sull'asfalto mentre i soffitti ancora resistevano; torri e campanili squarciati da irrimediabili ferite diagonali; case sbriciolate senza alcun resto di strutture portanti. E dovunque mattoni, mattoni, mattoni. Il mio pensiero di ex archeologo è andato subito ai resti di abitati dell'epoca romana che mi è spesso capitato di visitare: lì la situazione è del tutto opposta: gli edifici in pietra sono ridotti a muretti ad altezza di ginocchio, mentre le costruzioni in laterizio sono sempre le più conservate; specialmente i templi dedicati alla triade Capitolina, realizzati con mattoni larghi e sottili. E' stata questa differenza di forma a segnare i diversi destini delle costruzioni antiche e di quelle moderne? E' probabile: il mattone pieno, nella forma attuale, possiede una grande resistenza alla pressione verticale, ma sotto spinte laterali sembra slegarsi troppo facilmente dalla malta che dovrebbe tenerlo a posto. La lezione dei costruttori romani - più strati d'impasto e mattoni più sottili - è forse ancora attuale.

domenica 3 giugno 2012

Vento

Quando Domenico Modugno attaccò "Volare", il mondo gli andò dietro, in coro. E' certamente la canzone italiana più tradotta e anche la più longeva nei gusti del pubblico. Chi la canta non ci pensa, ma in quel momento sta rinverdendo le aspirazioni di Icaro, di Leonardo da Vinci, di Lindbergh e di tutti coloro che, nei secoli, hanno invidiato gli uccelli. Da ragazzi, quelli della mia generazione non conoscevano  "Volare" che era di là da venire; cantavano però una canzone analoga, che diceva "Vento, vento, portami via con te, raggiungeremo insieme il firmamento, dove le stelle brillerano a cento.,,, Vento, vento, portami via con te!". Era una canzone da tenore, mi pare che facesse parte del repertorio di Tito Schipa. Quell'idea di una folata capace di portarci in alto nel cielo ci affascinava, ma dovevamo fare i conti con lo scetticismo delle femmine nostre coetanee, che preferivano compagni con i piedi in terra e senza testa tra le nuvole. E' da quella parte che giunse la parodia: "Vento, vento, portami via il cappello, così la mamma me ne compra uno più bello...". Inguaribilmente scettiche, ma anche sempre pronte a tener d'occhio la moda. Allora, "la cappellina" era ancora un obbligo, per le signore.