martedì 29 marzo 2011

La Mille Miglia

La guerra di Libia mi ha riportato agli anni Quaranta, quando seguivo su una cartina le sorti delle truppe italiane; e anche agli anni Cinquanta, quando mi trovai a lavorare con connazionali che erano stati costretti a lasciare la Tripolitania dopo la guerra perduta. Mi sono accorto di familiarizzare ancora con i nomi delle città più note, Tobruk, Bengasi, Agedabia, Misurata, Tripoli, Leptis Magna, Sabratha; sono anche andato su tutte le furie quando un inviato della Tv, descrivendo i luoghi degli scontri, ha detto: "All'interno c'è una località che si chiama Giarabub...". Santo cielo, era mai possibile parlare in quel modo di un'oasi divenuta un mito della mia generazione grazie all'ostinata resistenza del maggiore Castagna circondato dagli inglesi? Ma non è di quelle lontane battaglie che volevo parlare. Volevo dire, invece, che in Libia si è sempre fatta una guerra di movimento, con lunghissimi spostamenti da un caposaldo all'altro, su distanze di centinaia di chilometri. Ad ogni successo e ad ogni avanzata, corrispondeva un allungamento insostenibile delle linee di rifornimento, cosicché la vittoria si trasformava in sconfitta e l'avanzata in ritirata. I soldati chiamavano quell'andirivieni bellico sull'unica strada litoranea con un nome ironico: "La Mille Miglia". Chissà chi la spunterà, stavolta, in quella continua rincorsa.

mercoledì 23 marzo 2011

Il telefonino

Un telefonino ritorna spesso nei miei pensieri, in questi giorni: è quello di Yara, la ragazzina di Brembate uccisa misteriosamente. Il quadro generale delle indagini delinea un fatto violento in cui Yara è stata solo vittima fin dall'inizio: fatta salire con l'inganno su un automezzo, stordita, ferita e lasciata morire, forse di freddo. C'è però un elemento che contrasta con questa ricostruzione: il fatto che la ragazzina avesse in tasca la scheda e la batteria del suo telefonino. Nessun sequestratore, credo, si curerebbe di riconsegnare scheda e batteria a una persona rapita dopo averle sottratto e disattivato il telefonino. E' più logico pensare che sia stata Yara stessa a togliere quegli elementi e a riporli in tasca. Perché lo avrebbe fatto? E' stata costretta sotto la minaccia di un'arma? Sul momento, il gesto non poteva scatenare allarmi: si fanno ricerche sulle celle telefoniche solamente dopo assenze prolungate. La disattivazione poteva quindi servire per non lasciare tracce sul lungo periodo. In generale, il fatto di scollegarsi volontariamente ma di conservare telefonino, scheda e batteria, sia pur separati, è una scelta che si può attribuire a coloro che, intendendo sparire, si lasciano una possibilità di ricollegamento. Ma può essere compatibile con la tragedia della povera Yara uno scenario di fuga come questo?

giovedì 17 marzo 2011

Il Centenario

Oggi, 17 marzo, è giornata di festa nazionale per commemorare i 150 anni dell'Unità d'Italia. Le scuole sono chiuse. Nel 1961, ricorrenza del Centenario, non fecero, invece, vacanza. Me lo ricordo bene, perché in quell'anno insegnavo lettere nella scuola media di Canino, un piccolo centro del Viterbese. Il 17 marzo del '61, dunque, facemmo lezione fino alle undici, poi ordinammo in corteo gli allievi e andammo in cima al paese, a portare dei fiori a un monumentino dedicato ai Caduti della prima guerra mondiale. Ero incaricato di fare il discorso ufficiale e temevo di non sapermela cavare: quel territorio era stato feudo del "Papa Re", poi del principe Luciano Bonaparte fratello di Napoleone, poi del principe Torlonia; neppure la nascita dell'Ente Maremma aveva riscattato i popolani da una condizione di misero bracciantato. Parlare ai loro figli di una grande e generosa Madre Patria non mi sembrava il caso, non mi avrebbero capito. Parlai allora dei morti in guerra, li descrissi come dei giovani che erano andati nelle trincee per dovere, accantonando i loro sogni: c'era chi voleva fare il cantante, chi il pittore, chi vinceva in bicicletta, chi era un grande centravanti. Persone reali, non statue. I ragazzi mi ascoltarono con attenzione, poi ritornarono a scuola in silenzio. Fu una giornata utile, credo.

venerdì 11 marzo 2011

Lo "chaperon"

Il quotidiano che riferisce i commenti alla Festa della donna annuncia anche la dipartita dell'ottuagenaria avvocatessa Anna Maria Secondino, che, negli anni Settanta, teneva un'apprezzata rubrica di critica d'arte sulla "Gazzetta del lunedì". Avevo il suo stesso incarico al "Secolo XIX" e l'incontravo nelle gallerie cittadine. Non dava confidenza, le sue visite alle mostre si svolgevano all'insegna d'un attento rigore. Un anziano, elegante signore l'accompagnava costantemente . I galleristi riferivano che era un ufficiale in pensione il quale svolgeva, per pura amicizia, il compito di "chaperon" della signorina Secondino. Insomma, un garante della sua impeccabile reputazione. Oggi un compito del genere causerebbe un comizio femminista a De Ferrari, ma già in quegli anni l'insolito sodalizio pareva anacronistico. Seguì un colpo di scena: da un giorno all'altro, la rubrica di Anna Maria Secondino sparì dal giornale. Dispiaciuto, m'informai e venni a sapere che il diligente "chaperon", giunto in punto di morte, aveva chiesto alla sua pupilla di non proseguire le visite alle gallerie d'arte "perché non stava bene che una giovane donna svolgesse quel compito senza accompagnatore". E l'avvocatessa, sebbene ormai cinquantenne, aveva esaudito l'estremo desiderio dell'ultimo "chaperon".

sabato 5 marzo 2011

Yara

Leggo sul Decimonono di giovedì 3 marzo: "Yara è salita di sua volontà sull'auto del suo assassino, una persona conosciuta, della quale si fidava. Ha accettato il passaggio in auto forse per arrivare puntuale a casa entro le 19, come chiesto dalla mamma. La ragazzina è stata uccisa pochi minuti dopo. Strangolata". Scrivete Milena al posto di Yara e 17,30 al posto di 19: avrete la cronaca esatta della tragica fine di un'altra tredicenne, Milena Sutter. Accadde a Genova nel maggio del 1971, quarant'anni fa. Il corpo di Milena fu restituito dal mare quindici giorni dopo. Per il delitto ebbe l'ergastolo un giovane, Lorenzo Bozano. Non confessò mai, non fu mai possibile provare che conoscesse Milena. La condanna (dopo un'assoluzione in primo grado) fu pronunciata in base ad altre prove. Ricordo questa storia non soltanto per le analogie con il caso di Yara, ma anche perché tremo all'idea che le indagini in corso portino a una soluzione non evidente, tale da dividerci tra colpevolisti ed innocentisti. Sarebbe davvero il peggior seguito della tragedia. Spero quindi in un altro intervento della buona sorte, dopo quello che ha portato un aeroplanino in panne ad atterrare accanto al povero, introvabile corpo. Solamente buona sorte o evento soprannaturale? E' una domanda inquietante, ma, date le circostanze, inevitabile.