lunedì 17 agosto 2009

Cannonate

Il porto di Genova, anche ora che hanno tolto le cancellate, rimane estraneo alla città: è un corpo a sé stante, con i suoi riti e i suoi segreti. Un tempo era governato da un Consorzio autonomo, che legiferava per conto proprio: ora è sparita l'autonomia e il presidente deve tener conto sia delle leggi dello Stato, sia delle istituzioni che lo rappresentano. E' un obbligo assai sofferto da un settore in cui, da sempre, dominano le corporazioni. Per dare un'idea dell'ambiente, una sola volta ho sentito un compagno di scuola o di giochi dire "Voglio andare a lavorare in porto". In quell'unica occasione chi parlava era figlio di un portuale. Ho rischiato anch'io di entrare nel giro, mio zio Albino Gordesco era infatti commesso di bordo e, non avendo discendenti diretti, aveva la possibilità di farmi assumere al suo posto, al momento della pensione. Girai alla larga e feci bene, tutto sommato; conservo però con orgoglio il "lattone" dello zio, la sua tessera di lavoratore portuale chiusa dentro a una custodia di metallo, antipioggia (una protezione teorica, perché da sempre alle prime gocce il lavoro sulle banchine portuali si ferma). Il presidente del Consorzio dei nostri tempi è dunque un cireneo condannato a sgobbare duramente. Forse non sa neppure che ai suoi predecessori "autonomi" spettavano gli onori di un Capo di Stato, comprese le cannonate a salve delle navi da guerra.

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