venerdì 21 agosto 2009

Il caffè

Il rito del caffè offerto o preso in compagnia è sempre stato diffusissimo anche a Genova. Oltre quarant'anni fa si accettava l'invito con una clausola fissa: "Grazie, però andiamo da Tubino". Effettivamente in quel bar di via Venti Settembre (che ancora esiste) si beveva il miglior caffè della città, magari disputando se il merito fosse della macchina espresso o di una segreta miscela. Il signor Tubino, proprietario del bar, era un grande importatore di caffè, con un vasto magazzino nel porto franco, cioè in una zona dove si poteva lavorare il prodotto prima di rispedirlo all'estero, oppure farlo entrare in Italia pagando i tributi. In quest'ultimo caso i sacchi di caffè superavano un varco tra due grandi battenti di ferro che scorrevano su rotaie. Alla sera i portelloni venivano chiusi e sulla linea di contatto si ponevano i sigilli doganali, da rompere il mattino seguente. Il sistema sembrava inattaccabile; invece si scoprì che il signor Tubino e i suoi complici, grazie alle rotaie troppo lunghe, nella notte facevano scorrere i due portelloni uniti nelle stessa direzione, senza rompere i sigilli: si apriva così, dalla parte opposta, un passaggio attraverso il quale tonnellate di caffè entravano in Italia senza pagare una lira di tassa. Insomma, il caffè Tubino era buono anche perché aveva il malizioso retrogusto del contrabbando.

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