giovedì 17 settembre 2009

Mi perplimo

Alla tenera età di settantasei anni ho imparato un nuovo verbo italiano: perplimersi. Pare che il neologismo sia italiano dal momento che l'ha usato l'autore di una lettera pubblicata dal "Secolo XIX". Alla prima lettura mi sono detto "E' il solito refuso di stampa"; poi però ho constatato che nel pur breve testo per altre due volte era stata usata l'espressione "mi perplimo" per dire "mi rammarico, mi lamento". Non è il caso di scandalizzarsi troppo, nella lingua corrente le parole nascono e muoiono in continuazione: fino a un un paio di secoli fa, invece di dire "aurora" la gente preferiva dire "dilùcolo" e il primo che cambiò termine fu sicuramente guardato con stupore e rimproverato. Certo che il "mi perplimo" è venuto alla ribalta in un frangente molto delicato per la nostra lingua: proprio ieri un rappresentante italiano ha fatto un intervento in napoletano nell'aula del parlamento europeo. Nello stesso giorno ho scoperto che persino Gabriele D'Annunzio, il Vate che indossava l'italico idioma come un morbido, aderentissimo guanto, cedeva al dialetto, dal momento che una delle sue leggendarie carte da lettera intestate portava il motto veneziano "Ti con nu, nu con ti". A quel punto mi sono concesso la licenza di esclamare in genovese: "Nu gh'è ciù un dìo de netto!", cioè "Non c'è più un dito di pulito!". Però mi perplimo di essermi lasciato andare.

1 commento:

sharptales ha detto...

http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4409&ctg_id=44

Mi sa che tocca rivedere il post!