giovedì 13 settembre 2012

Raiteri

E' scomparso giorni fa il dottor Giorgio Raiteri, che, nei cosiddetti "anni di piombo" genovesi, fu spesso al centro delle cronache: finì impantanato in quella terra di nessuno che stava tra la militanza ideologica e la reale partecipazione a fatti eversivi. Si fece tre anni di carcere, poi fu rilasciato e ritornò al suo lavoro di medico. Trovò posto, provvisoriamente, in un ambulatorio di San Martino e lì l'incontrai recandomi a una visita per un fastidioso disturbo. Aveva l'aria un po' assente, la rasatura trascurata. Ascoltò i miei sintomi, poi andò a frugare in un armadietto pieno di medicinali. Tirò fuori una scatoletta e me la diede: "Prenda queste pillole, le faccio la ricetta". Quando andai in farmacia a chiedere il rinnovo della medicina, il farmacista mi guardò stupito: "Sono anni che questo prodotto non è più in commercio!". Mi sembrò, in quel momento, di toccare con mano la vera pena del carcere, cioè la perdita dei contatti con il mondo esterno, il buio sugli aggiornamenti umani, sociali e anche professionali.   In morte di Raiteri sono apparse sul Secolo XIX necrologie fatte da amici che si sono firmati con il solo nome di battesimo. Capita spesso, per la verità, ma in questo caso l'assenza dei cognomi mi ha fatto pensare che certe vecchie storie scottano ancora.

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