venerdì 7 settembre 2012

Spadolini

Eravamo i soliti quattro gatti del turno di notte, quella sera del 1982: ogni ora facevamo il giro di telefonate alla polizia, ai carabinieri, al pronto soccorso; chi giocava a scacchi, chi a scopone. Improvvisamente entrò in redazione Giovanni Spadolini, allora presidente del Consiglio. Era venuto a Genova per una cerimonia e indossava eleganti pantaloni da tight. Si mise comodo su una sedia, accavallò a squadra una gamba e disse: "Oggi mi sono veramente annoiato, la politica non mi entusiasma. Parliamo un po' di giornalismo?". Era un conversatore amabile, in pochi minuti svariò dai ricordi del passato all'attualità della carta stampata. Sapeva tutto sui direttori in carica, compreso il nostro; si capiva che aveva nostalgia dei tempi in cui dirigeva "Il resto del Carlino" e, ancor più, il "Corriere della Sera". S'interessò anche alla tecnologia tipografica, parlammo della rivoluzione portata dai computers e della fine dei caratteri di piombo; delle meravigliose linotypes messe in pensione dalle stampanti su carta. Quando l'illustre ospite si congedò, lo chiamai "direttore" anziché "presidente", poi mi scusai della "gaffe". Si mise a ridere: "Non si scusi, è il mestiere che preferisco". Lo accompagnammo fino in strada e ci rendemmo conto che era solo, non aveva scorta.

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