sabato 29 maggio 2010

Heysel

Grande giornalismo l'altro lunedì in tarda serata, a "La storia siamo noi" di Minoli. E' stato mostrato un documentario sulla tragedia dell'Heysel, lo stadio di Bruxelles che vide la morte di 39 tifosi (32 italiani) schiacciati dalla folla messa in fuga dalle violenze dei supporters inglesi. Era la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, nel 1985, il 29 maggio (oggi). Nel documentario, oltre ai ricordi dei superstiti, apparivano immagini girate durante la tragedia: tanto perfette (ed atroci) da sembrare un film. Abbiamo visto i morti, la gente che agonizzava, le ondate di fuggiaschi che si salvavano calpestando i caduti. La frase più amara e più vera l'ha detta un sopravvissuto: "Mentre sentivo che mi schiacciavano, pensavo: ecco, sono venuto fino a Bruxelles a morire per una partita di calcio". Quelle parole mi hanno ricordato un altro lutto calcistico, qui a Genova: la morte di un ragazzo accoltellato al cuore da un tifoso avversario. Anche in quella povera vittima la fine incombente aveva ridimensionato i miti e portato alla ribalta ciò che era importante: mentre entrava in sala operatoria, dalla quale sarebbe uscito cadavere, il ragazzo non inneggiava alla sua squadra, non imprecava contro l'avversario; gridava, disperato, la sola cosa che ormai contava per lui: "Non voglio morire, non voglio morire...".

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