venerdì 28 gennaio 2011

Barzellette

Alle Medie la professoressa Rita Cerati Masi faceva lezione leggendoci, sul "Candido" di Guareschi, le rubriche "Visto da destra" e "Visto da sinistra": era un modo per alimentare in noi il libero giudizio sui fatti. La ricetta si può applicare oggi ai casi del Cavaliere, contrapponendo due vecchie barzellette. Visto da destra: una vecchietta telefona alla polizia: "Il mio dirimpettaio gira in casa nudo con le finestre spalancate!". La polizia accorre, scruta e obietta: "Ma signora, si vede solamente dalla cintola in su, c'è il davanzale!". "Si arrampichi sull'armadio e vedrà!" ribatte la vecchietta. Visto da sinistra: in treno, un viaggiatore, solo nello scompartimento, viene colto da un'incontenibile crisi intestinale. Apre un giornale sul pavimento, si libera e spinge il tutto sotto il sedile. Arriva un altro viaggiatore che si lamenta dell'odoraccio. "Io non sento niente" dice il furbacchione. Il nuovo arrivato non ci sta, scorge un lembo del giornale, lo tira e scopre il malloppo. "Ha visto?" esclama. E l'altro: "Eh, se dà retta a tutto quello che c'è sui giornali...". E' quasi inutile aggiungere che, nel caso specifico, la vecchietta sull'armadio rassomiglia alla Boccassini, mentre l'incontinente del treno è l'alter ego del "premier più amato del mondo". Quale delle due vecchie barzellette mi diverte di più? Nessuna, le cose ripetute mi annoiano.

sabato 22 gennaio 2011

Il palazzo

Mio genero, Renato Buratti, ingegnere edile, non sa darsi delle arie, ma realizza opere molto importanti: l'altro giorno mi ha invitato a fare una visita al palazzo che ha costruito (come direttore dei lavori) in piazza Sopranis, nel quartiere genovese di Dinegro. L'imponente bellezza dell'edificio mi ha sbalordito, se l'avessi visto senza saper niente della sua storia, avrei pensato di trovarmi di fronte a un'opera di Giuseppe Terragni, che fu il miglior architetto italiano nel periodo tra le due guerre mondiali. Tutta la piazza è stata rifatta in meglio, non è più lo spazio semi abbandonato nel quale mi spingevo, da ragazzo, per andare a curiosare in una vecchia fabbrica del ghiaccio: un sito magico, pieno di corsie mobili e di serpentine. Ora la fabbrica è sparita, ha lasciato il posto al nuovo palazzo. Le ho dato l'addio con un sonetto: "La fabbrica del ghiaccio era a Dinegro,/ riforniva le navi bananiere: / le liste s'inseguivano leggere/sui rulli, tra uno sgocciolare allegro./ Un blocchetto (fasciato nella lana/ per durare) bastava alla ghiacciaia/ fatta di legno e zinco. La massaia/ vi riponeva l'acqua di fontana/ resa frizzante con le due cartine./Rubando qualche scheggia di quel gelo/sognavo le granite smeraldine/ di Cornigliano, favola smarrita:/ sui bicchieri restava un freddo velo,/ ora ricopre questa nostra vita".

domenica 16 gennaio 2011

La Fiat

Quarant'anni fa, nel giugno del 1970, ero anch'io ai cancelli della Fiat Mirafiori durante una delle crisi cicliche del colosso. Inviato a Torino per una serie di articoli, avevo già preso contatto con le ali estreme del conflitto, il capo del personale dell'azienda e un leader di "Lotta Continua", il movimento che soffiava sul fuoco delle rivendicazioni. Due colloqui, due delusioni: il manager Fiat aveva preteso che all'intervista assistesse un testimone di sua fiducia, dicendo di temere che gli attribuissi frasi mai dette; nel campo avverso il "big" rivoluzionario mi aveva chiesto trentamila lire per una dichiarazione: in cambio del pagamento mi garantiva che non avrebbe fatto reclami qualora - come prevedeva - avessi stravolto il suo pensiero. Rifiutai e me ne andai. In conclusione, ero ai cancelli deluso e triste come un cane bagnato. Mi chiarì la situazione, con poche centrate parole, un operaio che usciva: "Guardi, se la Fiat fa un investimento, non lo fa certo per migliorare le mie condizioni di lavoro...". Era la certificazione di una disamore totale tra le parti. Ripensandoci, mi viene da collegare alle vicende di allora e di oggi una celebre frase di Gianni Agnelli: "Innamorarsi? E' roba da cameriere!". Così mi coglie un dubbio paradossale: ma gli Agnelli si saranno mai innamorati davvero delle loro fabbriche?

lunedì 10 gennaio 2011

Radetzky

La signora Vincenzi, sindaco di Genova, considera un oltraggio ai 150 anni dell'Unità d'Italia il fatto che, nel concerto di Capodanno al teatro Carlo Felice, si sia suonata la ben nota marcia di Radetzky, il maresciallo austriaco che fu accerrimo nemico dei patrioti milanesi. Io credo che, se si fosse fatto un sondaggio, la maggioranza degli entusiasti spettatori, interrogata sull'identità di Radetzky, avrebbe risposto "Ma è l'autore della marcia!". Ignoranza che giustifico, poiché io stesso non sentivo citare le repressioni di Radetzky da almeno mezzo secolo; da quando, cioè, il Risorgimento è stato messo nel limbo per far spazio ad argomenti dai risvolti più sociali: ad esempio le cannonate del generale Bava Beccaris contro i manifestanti milanesi del 1898. Nonostante i silenzi, io di Radetzky sapevo ugualmente tutto, grazie al mio quaderno "di bella" di quarta elementare: su una pagina di copertina erano infatti narrate le vicende delle Cinque giornate di Milano, con l'effimera vittoria dei patrioti seguita dal ritorno del bieco maresciallo. Il racconto era anche corredato da una poesia in dialetto milanese, della quale ricordo ancora i primi versi: "El Radeschi el se vantava/ de cognoss i Milanès/ ed inscì ridend el ne schersava/ co i sò Croàt, co i Ungherès..." Chissà chi l'aveva scritta: l'ho cercata invano su Internet.

martedì 4 gennaio 2011

Studenti

Giorgio Napolitano ha firmato la legge Gelmini che entra quindi in vigore: nonostante appelli, manifestazioni, scontri, scalate di tetti, digiuni, studenti e ricercatori nulla hanno ottenuto, neppure in fatto di visibilità; in una tale adunata di cervelli e di lauree, il solo personaggio venuto alla ribalta è stato un "pizzaiolo precario", munito di licenza media, che, forse per far fede al suo mestiere, ha dato una mostruosa "pizza" con il casco a un compagno di corteo, procurandogli un naso alla Bearzot. Mi viene in mente, certo per contrasto, la sola manifestazione studentesca alla quale io abbia partecipato. Era il 1953, Tito cercava d'impadronirsi di Trieste e il presidente del Consiglio Pella aveva inviato le nostre truppe al confine. Al liceo Colombo pensammo di fare un corteo di sostegno al governo e chiedemmo il permesso al preside (accidenti, come eravamo disciplinati!). Il professor Ciminiello ci ascoltò, paonazzo in volto:"Permesso? Io vi ordino di andare a manifestare! Io ho combattuto per Trieste nella prima guerra mondiale!". Partimmo giulivi, ma dopo cinquanta metri ci fermò un picchetto di portuali che impugnavano i ganci d'acciaio in uso per spostare le balle di cotone. Ci dissero seccamente: "Guerra per Trieste? Siete matti, non se ne parla! Tornate a scuola!". Cinque minuti dopo eravamo di nuovo nei banchi.