giovedì 28 aprile 2011

Koblet

Vidi il ciclista svizzero Hugo Koblet in piazza Acquaverde, a Genova, nel 1954. Era appena uscito dall'hotel Colombia: appoggiato alla bici da corsa, si pettinava i capelli biondi, che portava all'indietro, con un accenno di onda. Guardava nel vuoto, sorridendo: stava gustando mentalmente una raffinata vendetta sportiva. L'anno prima il suo compatriota Carlo Clerici, che militava in un'altra squadra, gli aveva dato una mano nella lotta per la maglia rosa; lui aveva vinto il Giro, ma Clerici era stato licenziato in tronco. Koblet promise all'amico: "L'anno prossimo vincerai tu". Infatti, grazie a una "fuga bidone", il modesto gregario indossò la maglia rosa e non se la tolse più fino a Milano. Koblet fu ben lieto di arrivare secondo. Il campione svizzero non era nuovo a rivincite del genere: nel 1951, durante il Giro di Francia, aveva chiesto un po' d'acqua a Bartali, ma il campione toscano, per tutta risposta, l'aveva platealmente versata in terra. Pochi giorni dopo, in una tappa a cronometro, Koblet raggiunse Bartali partito prima di lui e, senza dire una parola, gli mise nel porta-borraccia un contenitore pieno d'acqua. Poi andò a vincere. Più che per la bravura, mi piaceva per questa sua signorilità, Hugo Koblet, così rimasi a guardarlo finché non ripose il pettine nella tasca della maglia e si avviò alla partenza di tappa.

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