sabato 12 novembre 2011

Buoni del Tesoro

Si fa un gran parlare delle peripezie dei Buoni del Tesoro italiani, ormai sappiamo tutto sullo "spread" e pranziamo con un occhio ai grafici dei telegiornali. Lo faccio anch'io, chissà poi perché, dal momento che non ho investimenti del genere. So però che una volta era tutto più semplice: i Buoni si compravano allo sportello bancario, erano stampati e al portatore. Ogni cedolina raffigurata su quei fogli filigranati rappresentava l'interesse semestrale: alla scadenza, bastava ritagliarla e incassarla in banca. La durata dei buoni era novennale, all'interesse annuo del cinque per cento. In più c'erano le estrazioni a premio a ingolosire i risparmiatori: si sperava sempre che al proprio numero di serie toccasse un milioncino. Non si pagavano commissioni bancarie e diritti di custodia, gli interessi erano esentasse. Tutto questo paradiso, per noi e per lo Stato, finì all'epoca di Tangentopoli, quando gli inquirenti si accorsero che, dato l'alto valore nominale di alcuni Buoni de Tesoro, in una valigetta si potevano trasportare comodamente alcuni miliardi di lire. Così i Buoni cartacei, sospettati di essere l'ideale strumento per il contrabbando di valuta e soprattutto per il pagamento di tangenti, furono soppressi. Li sostituirono i Buoni virtuali, registrati, tassati e senza premi. E con poco appeal.

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