lunedì 20 agosto 2012

Abdon Pamich

Un ricordo Olimpico ci vuole. Nel 1964, a Tokyo, Abdon Pamich vinse la 50 chilometri di marcia, assicurando all'Italia uno dei titoli più prestigiosi dell'atletica. Pamich, profugo da Fiume, era genovese d'adozione, meritava quindi un festeggiamento particolare della sua città. Il direttore del Decimonono, Umberto Vittorio Cavassa, venne in segreteria di redazione e mi disse, porgendomi un foglietto: "Sabato prossimo Pamich arriva in visita al giornale. Mi procuri una medaglia d'oro con questa dedica". Non rammento quel testo, mi è rimasta impressa solamente la frase "...con passo italiano...". Mancavano sei giorni alla visita. Mi misi subito alla ricerca di un orefice e di un incisore, ma piombai nello sconforto: mi chiedevano tutti dai dieci ai quindici giorni di tempo. Che fare? Mi ricordai a un tratto di Martino Fontana, l'orefice di Canino, il paese del Lazio dove avevo abitato fino a due anni prima. Martino, gran compagnone, fisarmonicista di classe, era genovese come me e nel suo lavoro non ammetteva ostacoli. Gli telefonai, si mise a ridere: "Genova è così mal ridotta? Stia tranquillo, ci penso io".  Il venerdì avevo sulla scrivania la medaglia con dedica. Martino l'aveva spedita per contrassegno: da vero ligure, non si era fidato del pagamento su fattura.   

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