mercoledì 18 marzo 2009

Alfabeto muto

Volevo insegnare l'alfabeto muto a mio nipote Leo, ma ho scoperto che lo conosce meglio di me. O mi hanno preceduto gli altri nonni o il linguaggio dei segni ha ancora una sua cittadinanza nel mondo infantile, come ai miei lontanissimi tempi. A proposito di segni, seguo spesso il telegiornale del tardo pomeriggio con l'annunciatore affiancato da una signora che traduce le notizie per i sordomuti. Lo faccio anche perché ho un simpatico ricordo dei capannelli gesticolanti che sostavano accanto all'istituto di via Santi Giacomo e Filippo e sembravano comunicarsi sempre cose divertentissime, che rimpiangevo di non poter apprendere. Dunque, ascolto lo speaker Tv e guardo i gesti dell'interprete, per scoprire le possibili corrispondenze tra voce e mani. L'altro giorno l'annunciatore parlava di una persona "portatrice di un lieve handicap psichico"; incuriosito, ho scrutato l'interprete e ho visto che traduceva la complicata definizione appoggiandosi semplicemente l'indice sulla tempia; proprio come facevamo noi da bambini, nella nostra crudele innocenza, per far notare che a qualcuno "girava la pallina". Evidentemente il linguaggio "politicamente corretto" non è ancora riuscito a fare proseliti tra i sordomuti. Non so perché, ma proprio non riesco a rammaricarmene.

1 commento:

Unknown ha detto...

Bellissimo! Quando c'è necessità di sintesi, il politically correct finalmente scompare. A proposito di alfabeto muto, da bambino mi piaceva tantissimo. Mi ricordo che una volta avevo un amichetto straniero in spiaggia e non ci capivamo tanto, ma una volta a casa mi ero entusiasmato all'idea di poter comunicare con lui appunto con l'alfabeto muto! Mi sembrava l'uovo di Colombo e non capivo come mai a nessuno era mai venuto in mente: tutto il mondo poteva parlarsi con l'alfabeto muto, senza più bisogno di imparare le lingue. Naturalmente quando è stato il momento di "mimargli" una parola ho finalmente realizzato il problema. E mi sono sentito un fesso clamoroso...