lunedì 30 novembre 2009

Il precario

E così un garante ha inibito a Calzedonia l'uso dell'inno di Mameli. Applaudendo, un'interpellata da uno dei tanti "Cosa ne pensa?" televisivi ha detto che l'inno non è un collant, ma un collante degli italiani. Ottima battuta, se non fosse che il pezzo forte di Calzedonia sono le autoreggenti. E anche "Fratelli d'Italia" è un autoreggente (senza apostrofo, a scanso di vilipendio) in quanto sta attendendo da sessant'anni di diventare inno ufficiale della Repubblica. E' un eterno provvisorio, un precario, un paziente fidanzato che spera nel "sì" di una ragazza invecchiata. Mi pare il momento di tirar fuori una poesiola dedicata a Mameli da Pompeo Bettini, poeta socialista di fine Ottocento e traduttore del "Manifesto" di Marx. Dice: "O fratello d'Italia/o guerriero innocente/ sognatore di rime/ a vent'anni cadente/ d'una morte sublime:/le trombe di fanfara/ dove alberga il tuo canto/ destano ai dì festivi/per strada un clamor santo/che fa fremere i vivi;/ danno ai giovani il passo/dei padri volontari, /fanciulli tolti al gioco/che con fucili impari/ rispondevano al fuoco./Resta la tua canzone/eco spenta di guerra;/i militi son vecchi,/liberata è la terra,/ gli allori cadon secchi:/ gloria di baionetta/ a che serve, o fratello?/ L'Italia non è forte/ed il suo cielo è bello./ Io non amo la morte". Oggi Bettini sarebbe in imbarazzo.

1 commento:

isabella ha detto...

Aggiungo una bella e commovente testimonianza di Carlo Alberto Barrili, poeta e patriota, amico e biografo di Goffredo Mameli (dal sito www.radiomarconi.com)

Come nacque l'Inno

“Colà [a Torino], in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d’accordo, si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell’anno per ogni terra d’Italia, da quello del Meucci, di Roma, musicato dal Magazzari Del nuovo anno già l’alba primiera al recentissimo del piemontese Bertoldi Coll’azzurra coccarda sul petto musicata dal Rossi. In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l’egregio pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: – To’, – gli disse ; – te lo manda Goffredo. –
Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove. Gli chiedono tutti cos’è; gli fan ressa d’attorno. – Una cosa stupenda! – esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio.
– Io sentii – mi diceva il Maestro nell’aprile del ’75, avendogli io chiesto notizie dell’Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli – io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo. Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all’inno, mettendo giù frasi melodiche, l’un sull’altra, ma lungi le mille miglia dall’idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po’ in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c’era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d’un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l’originale dell’inno Fratelli d’Italia.”