martedì 6 dicembre 2011

Aviatori

Ho già raccontato che, da ragazzo, ero tifoso del grande Torino, quello che perì nella sciagura di Superga. Nel settembre 1949 andai a a visitare il luogo della tragedia, avvenuta quattro mesi prima. C'era ancora un gran buco nel basamento della basilica, nel punto in cui l'aereo si era schiantato. Mi accompagnava mio cugino Aurelio Pavesi; dopo il pellegrinaggio, mi portò in auto all'aeroporto di Caselle, dove stava per partire un piccolo monomotore, un "Bonanza", diretto negli Usa con un volo da record. Era da poco riuscita l'impresa di Bonzi e Lualdi con l'"Angelo dei bimbi", cosicché il nuovo tentativo non sembrava folle, nonostante la stagione avversa. Quando arrivammo, i piloti, due biellesi che si chiamavano Brondello e Barioglio, stavano conversando amabilmente con la piccola folla che li circondava. Uno di loro indossava pantaloni chiari e scarpe bianche, come se si accingesse a giocare a tennis. Poco dopo l'aereo decollò. Seguii il resto dell'avventura attraverso i giornali: un atterraggio di fortuna alle Azzorre, la decisione di giocare il tutto per tutto, il grande balzo sull'Atlantico, un messaggio, "Hello America!", lanciato dal Bonanza in vista di New York. Poi un tragico silenzio. Ogni tanto ripenso a quelle scarpe bianche, forse erano un modo di gettare il cuore oltre l'ostacolo.

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