venerdì 26 giugno 2009

I bigatti

Di questi tempi, quando ero ragazzo, i contadini padani mettevano ancora i mobili di casa sull'aia e cominciavano a vivere all'aperto: l'interno della cascina veniva infatti occupato dai graticci per i "bigatti", i bachi da seta che furono poi resi obsoleti dall'avvento del nylon. Io feci in tempo a partecipare a una delle ultime "campagne", che iniziavano ponendo su foglie di gelso la "semenza", composta da bigatti tanto piccoli da risultare quasi invisibili. Cominciava allora il miracolo della crescita: si udiva nelle stanze un ronzio provocato da migliaia di minuscole mandibole che facevano sparire a poco a poco le foglie di gelso, come in un gioco di magia. Poi, giorno dopo giorno, i bigatti diventavano visibili, sempre più grossi, bianchi e grassi, finché non facevano il loro bozzolo, filando la preziosa seta. Il mio compito consisteva nell'andare a procacciare sacchi di foglie, lungo gli argini dove i gelsi segnavano i confini e producevano grosse more, meno gustose di quelle dei roveti. Quando finirono i bigatti, finirono anche i gelsi: a milioni vennero sradicati, i contadini dicevano che ormai non servivano più e facevano dannosa ombra alle semine. Di quell'esperienza mi è rimasto soprattutto il ricordo del ronzio segreto di migliaia d'invisibili mandibole: talvolta mi pare di riascoltarlo, specie quando qualcuno parla di buchi nei pubblici bilanci.

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